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"Gostanza da Libbiano",
rigoroso e in bianco nero La storia di un processo per
stregoneria |
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La ricerca di
Paolo Benvenuti alle radici dell'arte del cinema |
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di PAOLO
D'AGOSTINI |
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Non può né deve
essere il solo cinema esistente. Ma può, ma deve continuare
sempre ad esistere, per la salute di tutto il cinema, anche un
cinema come quello che fa Paolo Benvenuti. Non tutti lo sanno e
allora diciamo chi è, Paolo Benvenuti. Pisano, 55enne o forse
qualcosa di più, non ha mai fatto del cinema un mestiere - è sempre
vissuto di altro - ma una fede, una missione, o meglio un bisogno.
Senz'ombra di fanatismo, malgrado il rigore della persona. E' il
primo a sapersi minoritario ma senza compiacimento, il primo a non
essere intollerante verso altri modi di fare cinema, il primo a non
lamentare i mancati finanziamenti pubblici e a percorrere non senza
enormi sforzi ma senza vittimismo la strada dell'autofinanziamento,
il primo perfino ad ammettere l'opportunità del divieto ai minori
per il suo ultimo film.
Che s'intitola Gostanza da
Libbiano. E' difficile trovare un esempio più potente di
assoluta aderenza ai grandi temi di sempre e quindi anche di oggi, a
dispetto della remota collocazione spaziotemporale di ciò che il
film mette in scena: un processo per stregoneria da parte della
Santa Inquisizione ai danni di una donna nella Toscana - siamo dalle
parti di San Miniato - della fine del XVI secolo. A dispetto della
dimensione claustrofobica, punitiva di una messa in scena che, in
bianco e nero, riduce gli ambienti a due o al massimo tre "interni"
e i personaggi a quattro: l'imputata e tre inquisitori. E l'azione,
il movimento, all'essenziale: facendo della parola movimento e
azione. Dimensione che, incredibilmente e con un effetto che ha del
miracoloso, non impedisce al film - che al contrario esalta del film
- l'effetto appassionante, coinvolgente, addirittura, e
paradossalmente, spettacolare. Sarà anche per via della statura
della protagonista Lucia Poli, un'attrice che come pochissime è
capace di esporsi, darsi, anche umiliarsi così con tanta
autorità.
La sua vicenda è puntigliosamente, ma non
pedantescamente ricostruita sulla base di documenti relativi appunto
a un processo realmente celebratosi in quel tempo e in quei luoghi,
cui l'autore si è attenuto scrupolosamente. Ma sapendo sollevarsi
dall'intento pur rigorosissimamente documentario e documentato,
facendone trampolino di lancio per un racconto emozionante che a sua
volta si fa grande, universale metafora sulla libertà di pensiero e
sui danni incalcolabili che ogni tentativo di ridurre gli spazi di
libertà può produrre. Motivo che non è nuovo al percorso di questo
artista, così come non gli è nuovo l'interesse nei confronti del
ruolo da assoluta protagonista che nel corso di una lunga storia ha
esercitato la Chiesa cattolica nel reprimere, intimidire,
condizionare, imporre la propria ideologia con ogni strumento e con
la pretesa di essere nel giusto e di convincere di questo le sue
vittime. Imitata, malamente e senza lo stesso successo, ma
soprattutto senza la stessa straordinaria capacità di sopravvivere
ai propri mostruosi errori, dallo stalinismo.
Meraviglioso
precedente il suo secondo film Confortorio. La vicenda di due
ladruncoli ebrei nella Roma secentesca. Imprigionati e condannati
alla pena capitale, i due vengono sottoposti dall'Inquisizione a
interrogatori e torture allo scopo di estorcere loro la conversione
al cristianesimo. Un po' come i due indimenticabili fanti Gassman e
Sordi de La grande guerra i due poveracci diventano loro
malgrado due eroi. Un estremo scatto di dignità li condurrà a
rifiutare il ricatto e a trovare il loro riscato, ad affrontare il
patibolo a testa alta, da ebrei.
C'è bisogno di artisti come
Benvenuti, di film belli (peraltro sempre memori di accuratissime
ricerche pittoriche, valorizzate nonostante la sobrietà per non dire
la povertà) e impegnativi come i suoi. Così come c'è stato, c'è e ci
sarà sempre bisogno di artisti, di poeti del cinema come Bresson,
come Dreyer, come Bergman.
GOSTANZA DA LIBBIANO Regia
di PAOLO BENVENUTI Con LUCIA POLI, R. CERRATO
(9
marzo 2001) |
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