BODO IL CONTADINO |
La vita in un possedimento di campagna ai tempi di Carlo Magno Oggi visiteremo un possedimento di campagna al principio del secolo IX. La nostra fonte principale d\'informazione \u00E8 un libro catastale che Irminione, abate di Saint-Germain-des-Pres, presso Parigi, compil\u00F2 perch\u00E9 l\'abbazia potesse sapere con esattezza quali terre le appartenevano e chi le abitava Consideriamo brevemente com\'era organizzato il feudo in questione: le terre dell\'abbazia di Saint-Germain-des-Pres erano divise m un certo numero di fondi, ciascuno di grandezza tale da poter essere convenientemente amministrato da un fattore. Ognuno di questi fondi era diviso in terre signorili e in terre tributarie: le prime amministrate dai monaci per mezzo di un fattore o di qualche altro loro funzionario, le seconde concesse in uso ai vari coloni, che ne ricevevano l\'usufrutto dall\'abbazia. Queste terre tributarie erano divise in una quantit\u00E0 di piccole fattorie, chiamate mansi, ciascuna occupata da una o pi\u00F9 famiglie. Se foste andati a visitare il manso principale o signorile, che i monaci gestivano direttamente, avreste trovato una piccola casa di tre o quattro stanze, probabilmente costruita in pietra, che si affacciava su un cortile interno, e a un lato di esso avreste visto un particolare gruppo di edifici, tutto cintato, dove vivevano e lavoravano le serve appartenenti alla casa; sparse qua e l\u00E0 avreste visto altre piccole case di legno in cui vivevano i servi, le botteghe degli artigiani, una cucina, un essiccatoio, granai, stalle e altri edifici agricoli, e tutt\'intorno una siepe fitta di piante a mo\' di recinto. Annessa a questo manso centrale c\'era una notevole estensione di terra: campi seminati, pascoli, vigne, frutteti e quasi tutti i boschi e le foreste del fondo. Certo, doveva essere necessaria una grande quantit\u00E0 di lavoro per coltivare tutte queste terre. Un po\' di questo lavoro era fornito dalla manodopera dei servi ( rimanenza della manodopera schiavile) che appartenevano al manso principale e vivevano nella corte. Ma questi servi non bastavano nemmeno lontanamente al lavoro che occorreva fare sulla terra dei monaci, e la stragrande maggioranza di esso doveva essere compiuta mediante prestazioni o servizi forniti dai coloni che vivevano sul fondo. Oltre al manso principale, c\'era una gran quantit\u00E0 di piccoli mansi dipendenti. Questi ultimi appartenevano a uomini e donne che si trovavano a livelli di libert\u00E0 diversi, accomunati dal fatto che tutti dovevano lavorare sulla terra del manso principale. La categoria pi\u00F9 importante era quella dei cosiddetti coloni o servi della gleba, che erano liberi come persone (cio\u00E8 considerati liberi dalla legge), ma legati alla terra, cosicch\u00E9 non potevano mai lasciare le loro fattorie ed erano venduti col fondo se questo era venduto. Ciascuno dei mansi dipendenti era condotto da una famiglia, o da due o tre famiglie che si univano insieme per compiere il lavoro necessario. Consisteva di una o pi\u00F9 case e di edifici agricoli come quelli del manso principale, ma pi\u00F9 poveri e fatti di legno, e comprendeva terre seminate, un prato e, a volte, un piccolo pezzo di vigna. In cambio di questi possessi, il colono doveva lavorare sulla terra del manso principale per circa tre giorni alla settimana. Il compito principale del fattore era appunto quello di controllare che eseguissero bene il lavoro, e da ciascuno egli aveva il diritto di pretendere due tipi di prestazioni. Il primo era il lavoro dei campi: ogni anno ciascun uomo era obbligato ad arare una certa superficie del dominio (la terra del manso principale) ed anche a fare la cosiddetta corv\u00E9e, cio\u00E8 una quantit\u00E0 imprecisata dello stesso lavoro, che l\'amministratore poteva richiedere in pi\u00F9 ogni settimana secondo il bisogno. Il secondo tipo di lavoro era chiamato manovalanza: i coloni dovevano contribuire a riparare gli edifici o a tagliare gli alberi o a cogliere la frutta o a fare la birra o a portare pesi - tutto, insomma, ci\u00F2 che occorresse fare o che il fattore dicesse di fare. Grazie a questi servizi anche i monaci avevano la loro terra coltivata. In tutti gli altri giorni della settimana questi coloni, duramente sottoposti alla fatica, erano liberi di coltivare le loro piccole fattorie, e si pu\u00F2 star certi che raddoppiavano di lena in questo secondo lavoro! Ma i loro obblighi non finivano qui, perch\u00E9 non solo dovevano prestare servizi, bens\u00EC anche pagare tributi alla casa grande. Non c\'erano tasse dello Stato a quei tempi, ma ogni uomo doveva pagare una certa quota per l\'esercito, quota che Carlo Magno esigeva dall\'abbazia e l\'abbazia esigeva dai coloni. Il pagamento avveniva in natura, cio\u00E8 sotto forma di un bue e di un certo numero di pecore, o dell\'equivalente in moneta. I coloni dovevano pagare, inoltre, per qualsiasi privilegio speciale che i monaci accordassero loro: dovevano trasportare un carico di legna alla casa grande in cambio del permesso di raccogliere legna da ardere nei boschi, che erano gelosamente riservati all\'uso dell\'abbazia; dovevano pagare alcune damigiane di vino per il diritto di pascolare i loro maiali negli stessi preziosissimi boschi; ogni due anni dovevano cedere una delle loro pecore per il diritto di farle pascolare nei campi del manso principale; dovevano pagare una specie di tassa individuale di quattro denari a testa. Oltre a questi speciali tributi, ogni colono doveva pagarne altri in natura: ogni anno doveva dare alla casa grande 3 polli e 15 uova e una rilevante quantit\u00E0 di assi di legno per riparare gli edifici; spesso doveva dare una coppia di porci; a volte del grano, del vino, del miele, della cera, del sapone o dell\'olio. ( da Power E., vita nel medioevo, Einaudi, Torino ) |