Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, come per rotto
incanto. Il vortice si era fatto negli ultimi tempi sempre più intenso,
poi improvvisamente più nulla, il mondo ristagnava in una orizzontale
apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo
ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme, e attorno né una
casa né un albero nè un uomo, tutto così da immemorabile
tempo.
Dagli estremi confini egli sentiva avanzare su di sé un'ombra progressiva
e concentrica, era forse questione di ore, forse di settimane o di mesi; ma
anche i mesi e le settimane sono ben povera cosa quando ci separano dalla morte.
La vita dunque si era risolta in una specie di scherzo, per un'orgogliosa scommessa
tutto era stato perduto.
Fuori il cielo era diventato di un azzurro intenso, all'occidente tuttavia restava
una striscia di luce, sopra i violetti profili delle montagne. E nella camera
era entrato il buio, si distinguevano unicamente le sagome minacciose dei mobili,
il biancore del letto, la lucida sciabola di Drogo. Di là -capiva- egli
non si sarebbe più mosso.
Avvolto così dalle tenebre, mentre di sotto continuavano le dolci canzoni
fra gli arpeggi di una chitarra, Giovanni Drogo sentì allora nascere
in sé una estrema speranza. Lui solo al mondo e malato, respinto dalla
Fortezza come peso importuno, lui che era rimasto indietro a tutti, lui timido
e debole, osava immaginare che tutto non fosse finito; perché forse era
davvero giunta la sua grande occasione, la definitiva battaglia che poteva pagare
l'intera vita.
Avanzava infatti contro Giovanni Drogo l'ultimo nemico. Non uomini simili a
lui, tormentati come lui da desideri e dolori, di carne da poter ferire, con
facce da poter guardare, ma un essere onnipotente e maligno; non c'era da combattere
sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro
cielo di primavera, non amici al fianco la cui vista rianimi il cuore, non l'acre
odore di polvere e fucilate, né promesse di gloria. Tutto succederà
nella stanza di una locanda ignota, al lume di una candela, nella più
nuda solitudine. Non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino
di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi,
nessuno che gli dirà bravo.
Oh, è una ben più dura battaglia di quella che lui un tempo sperava.
Anche vecchi uomini di guerra preferirebbero non provare. Perché può
essere bello morire all'aria libera, nel furore della mischia, col proprio corpo
ancora giovane e sano, fra trionfali echi di tromba; più triste è
certo morire di ferita, dopo lunghe pene, in un camerone d'ospedale; più
melanconico ancora finire nel letto domestico, in mezzo ad affettuosi lamenti,
luci fioche e bottiglie di medicine. Ma nulla è più difficile
che morire in un paese estraneo ed ignoto, sui generico letto di una locanda,
vecchi e irnbruttiti, senza lasciare nessuno al mondo.
"Coraggio, Drogo, questa è l'ultima carta, va incontro alla morte
da soldato e che la tua esistenza sbagliata almeno finisca bene. Vendicati finalmente
della sorte, nessuno canterà le tue lodi, nessuno ti chiamerà
eroe o alcunché di simile, ma proprio per questo vale la pena. Varca
con piede fermo il limite dell'ombra, diritto come a una parata, e sorridi anche,
se ci riesci. Dopo tutto la coscienza non è troppo pesante e Dio saprà
perdonare."
Questo, Giovanni diceva a se stesso -una specie di preghiera- sentendo stringersi
attorno a sé il cerchio conclusivo della vita. E dall'amaro pozzo delle
cose passate, dai desideri rotti, dalle cattiverie patite, veniva su una forza
che mai lui avrebbe osato sperare. Con inesprimibile gioia Giovanni Drogo si
accorse, d'improvviso, di essere assolutamente tranquillo, ansioso quasi di
ricominciare la prova. Ah, non si poteva pretendere tutto dalla vita? Così
dunque, Simeoni? Adesso Drogo ti farà un po' vedere.
Coraggio, Drogo. E lui provò a fare forza, a tenere duro, a scherzare
con il pensiero tremendo. Ci mise tutto l'animo suo, in uno slancio disperato,
come se partisse all'assalto da solo contro un'armata. E subitamente gli antichi
terrori caddero, gli incubi si afflosciarono, la morte perse l'agghiacciante
volto, mutandosi in cosa semplice e conforme a natura. Il maggiore Giovanni
Drogo, consunto dalla malattia e dagli anni, povero uomo, fece forza contro
l'immenso portale nero e si accorse che i battenti cadevano, aprendo il passo
alla luce.
Povera cosa gli risultò allora quell'affannarsi sugli spalti della Fortezza,
quel perlustrare la desolata pianura del nord, le sue pene per la carriera,
quegli anni lunghi di attesa. Non c'era neanche più bisogno di invidiare
Angustina. Sì, Angustina era morto in cima a una montagna nel cuore della
tempesta, se n'era andato da par suo, davvero con molta eleganza. Ma assai più
ambizioso era finire da prode nelle condizioni di Drogo, mangiato dal male,
esiliato fra ignota gente.
Solo gli dispiaceva di doversene andare di là con quel suo misero corpo,
le ossa sporgenti, la pelle biancastra e flaccida. Angustina era morto intatto
- pensava Giovanni- la sua immagine, nonostante gli anni, si era mantenuta quella
di un giovane alto e delicato, dal volto nobile e gradito alle donne: questo
il suo privilegio. Ma chissà che, passata la nera soglia, anche lui Drogo
non sarebbe potuto tornare come una volta, non bello (perché bello non
era mai stato) ma fresco di giovinezza. Che gioia, si diceva Drogo al pensiero,
come un bambino, poiché si sentiva stranamente libero e felice.
Ma poi gli venne in mente: e se fosse tutto un inganno? se il suo coraggio non
fosse che una ubriacatura? se dipendesse solo dal meraviglioso tramonto, dall'aria
profumata, dalla pausa dei dolori fisici, dalle canzoni al piano di sotto? e
fra pochi minuti, fra un'ora, egli dovesse tornare il Drogo di prima, debole
e sconfitto?
No, non pensarci, Drogo, adesso basta tormentarsi, il più oramai è
stato fatto. Anche se ti assaliranno i dolori, anche se non ci saranno più
le musiche a consolarti e invece di questa bellissima notte verranno nebbie
fetide, il conto tornerà lo stesso il più è stato fatto,
non ti possono più defraudare.
La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può
distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco
dovrebbe levarsi la luna.
Farà in tempo, Drogo, a vederla o dovrà andarsene prima? La porta
della camera palpita con uno scricchioho leggero. Forse è un soffio di
vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse
è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta
avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un
po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora
uno sguardo fuori della finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua
porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.