Ezio Maifrè
Nato a Tirano ( So ) Valtellina nel 1943 in contrada di S. Maria da antica famiglia contadina tiranese.
Il suo amore per la terra di Tirano, per le tradizioni e per il dialetto, si rafforza quando incontra e stringe fraterna amicizia nel 1995 con il poeta e scrittore dialettale Cici Bonazzi, emigrato in Australia non ancora ventenne, nel 1950.
Ha collaborato dal 1996 al 1998 con il “Giornale di Tirano” per le pagine “tradizioni e dialetto”.
Dal 1999 al 2007 ha scritto sul Giornale di “Tirano e dintorni” per le pagine “tradizioni e cultura” impegnandosi nel mantenere vive le tradizioni, i costumi locali e gastronomici, scrivendo leggende, racconti, poesie e testimonianze dei tempi passati in italiano e in dialetto tiranese. Lavoro che prosegue dal settembre 2008 sul giornale “ Il tiranese senza confini “ .
Ha curato diverse commedie dialettali e ottenuto alcuni riconoscimenti in premi letterali dialettali. Ha pubblicato i libri bilingue italiano/tiranese “ Ai tempi di Mario Omodeo”( vincitore del premio letterario Kiwanis in occasione dei 500 anni dall’Apparizione della Beata Vergine di Tirano) ; “ Michele e Martina ai tempi del Sacro macello di Valtellina” con allegato CD dizione parte dialettale di Cici Bonazzi ; il libro in italiano “ Le calamità del 1987 in Valtellina”. Ha distribuito a cultori del dialetto tiranese copie fascicolate dei libri “ Poesie per bambini –gli animali del bosco-“in Italiano / dialetto ; Storie tiranesi per ragazzi di contrada, in italiano; “ Leggende sul Castelàsc” in dialetto.
Ha ottenuto il 1° Premio “sezione prosa” del concorso Mazzoleni-Passerini, premio provinciale di poesia e prosa 2000 indetto dai mensili “ ‘l Gazetìn, Valchiavenna e Giornale di Tirano e dintorni”.
E’ stato premiato con la “ farfalla d’argento” del concorso nazionale 50&Più Fenacom anno 2007- 2008- 2009-2010 e nel 2011e 2012 con la “ libellula d’argento “.
Premiato con la farfalla d’oro 2009 nel concorso nazionale 50&Più Fenacom per la poesia.
Nell’estate del 2008 ha partecipato alla mostra “ Immaginando la poesia” ad Aprica( So ) .
Come autore ha ottenuto la menzione ai concorsi di poesia 2005, 2009 “Le montagne in poesia”
Indetti dal Club Alpino Italiano-Sezione Valtellinese di Sondrio.
Nel 2009 in collaborazione con il giornale “ Il tiranese senza confini “ ha pubblicato “ Crùsti de pulénta “. Storielle Tiranesi in italiano.
‘L bumbuliv dèla Silvia. Gòo ‘n regòrd car, téner e iscì mai bèl, che amò adès che sòo scià uramài vècc, ‘l tégni seràa ‘n del cör cùma ‘n giuièl, e ’l sùgni tanti sìri quàndu sòo a lècc.
Bèla Silvia, raisìna dai öcc azzur e vìv, ta sa regòrdet chèl di che la ta pizzigàa ‘na vèspa apéna ilò sùta ‘ l bumbulìv e tée picàa fò ‘n vèrs de ‘ndemuniàa ?
‘N séra ilò a Rùnch a pastürà la vàca, la vèspa l’è pasàda sùta la to camìsèta tirada sü ‘n pit per fam girà la cràpa, e la ta spungiüü visìn àla bèla fusèta.
Ta cridavàt: che mal, che grant dulur, varda chilò,‘l ma vegnüü fo ‘n bugnùn! Mi sübit u vardàa e cun ‘n grant rusùr tòo dìcc se pudèvi tiràt fò ‘l spunciùn .
Schiscial,tiral fò cùma Diu cumànda, l’è ilò sùta ‘l bumbuliv che la ma pizzigàa, tàl vederée bée se tirì giù la mudànda parò sta legér e delicàa cun li töi màa.
Silvia,‘l brüt spunciùn ‘l vèdi pròpi mìga, vedì anùma ‘l tò bel bumbulìv tütt ròsa. Silvia, mi senti li gàmbi ‘ndà ‘n furmìga, ‘l ma vegnüü adòs ‘n calur e‘na gran pòsa!
Eziu, Eziu,‘l dulùr l’è rée uramài a pasàm, però àa mi senti adòs ‘na gran maéra. L’è tüta cùlpa de chèla brüta vèspa infàm che sgulàzza ledìna e balòsa matìna e sira.
( scricc ‘n dialèt tiranés ) |
L’ombelico della Silvia.
Ho un ricordo caro, tenero e molto bello, ancora adesso che sono ormai vecchio, lo tengo stretto nel cuore come un gioiello, lo sogno tante sere quando sono a letto.
Bella Silvia, ragazzina dagli occhi azzurri e vivi, ti ricordi quel giorno che ti ha punto una vespa appena sotto l’ombelico e tu hai gridato versi come un demonio?
Eravamo a Ronco a pascolare la mucca, la vespa è passata sotto la tua camicetta alzata un poco per farmi girar la testa e ti ha punto vicino alla bella fossetta.
Tu gridasti, che male, che gran dolore guarda qua, mi è venuto un gonfiore. Io subito ho guardato e con gran rossore ti ho detto se potevo levarti il pungiglione.
Schiaccialo, tiralo fuori come Dio comanda, è appena sotto l’ombelico che mi ha punto, lo vedrai bene se io abbasso le mutanda però stai leggero e delicato con le tue mani.
Silvia, il brutto pungiglione non lo vedo proprio, vedo solo il tuo bell’ ombelico tutto rosa. Silvia, io sento nelle gambe un formicolio, m’è preso un calore e una grande debolezza.
Ezio, Ezio il dolore ormai mi sta passando, però anch’io sento addosso un gran formicolio. E’ tutta colpa di quella brutta vespa infame che svolazza leggera e furba mattina e sera. ( traduzione in italiano ) |
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‘Nsègnach miga a l’àva a fa pèt .
Tutti noi sappiamo che ogni periodo della vita ha una sua ben precisa caratteristica. Con il trascorrere del tempo il nostro corpo subisce delle mutazioni. Normalmente tutto questo è tollerato senza particolari patemi d’animo poiché fa parte, nel bene e nel male, del nostro vissuto. Tra questi cambiamenti vi sono delle cose non troppo gradevoli, altre però sono simpatiche e persino divertenti. Una di queste cosucce simpatiche sono i “ pèt de l’àva “ ( le scoregge della nonna ) .
Ben diverse sono quelle del nonno. Esse sono assai più rare, austere, di tonalità maggiore, e tante volte esprimono monito o diniego.
I “pèt” della nonna, al contrario, sono accolti come nota d’amore , di bontà, di tenerezza. Essi sono tollerati dai figli e diventano motivo di allegria per i nipotini.
“ Nonna, nonna, hai fatto pùt ? “ dice sorridendo il nipotino vedendo la nonna china e indaffarata nel preparare la minestra. Lei risponde “ amore , non sono stata io , è la pentola che borbotta “, ma il nipotino continua a sorridere divertito con la nonna in una tacita intesa.
Insomma, alla nonna ideale, alla nonna buona e dolce, nei momenti particolari carichi di emozione o di spavento , è concesso emettere soffici peti .
Ho detto nei momenti gioiosi, ma anche in quelli di spavento. Proprio così! !
Rammento un fatto accaduto negli anni ’50. Ero un fanciullo e come tanti, mia nonna mi portava “ per la benedizione “ in parrocchia.
Allora, in certe occasioni, predicava un frate francescano che chiamavano bonariamente “ il calicino “ perché era sempre abbondante nella preparazione del vino consacrato. Era venuto dalla bassa Valle con una fama di grande predicatore. Riusciva a catturare l’attenzione e l’interesse dei suoi uditori forse più dei politici del giorno d’oggi che usano e abusano della televisione e dei giornali.
Aveva però la fama di buon bevitore . Quel giorno, con un esperto viticoltore, aveva avuto un acceso diverbio. Il francescano pretendeva d’insegnargli come si poteva trarre dai vigneti del tiranese un buon vino per la S. Messa.
Era intervenuto il parroco per sedare la questione e anche per invitare il francescano ad affrettarsi per celebrare” la benedizione “ .
Il francescano non si quietò. Durante la “la benedizione “ nell’agitare il turibolo incrociò la balaustra dell’altare e gran parte dell’ incenso acceso e fumante finì come meteora tra i capelli di dodici pie nonne che erano oranti nei primi banchi.
Alcune erano con i loro nipotini, tra i quali c’ero anch’io.
Prima vi fu il colpo secco del turibolo sulla balaustra, poi uno scompiglio di mani sui capelli, infine una sinfonia che ricordo molto bene.
Per lo spavento le nonne, mollarono dei “ pèt “ a scalare con tonalità differenti, basse e vibranti da canna d’organo.
Le tonalità erano diverse e il tempo complessivo della sinfonia durò per 15 secondi e si concluse con un
“ profondo basso “ della nonna Celestina da sembrare una scarica di grossi macigni.
Dante avrebbe cantato: “ ed elle avean del cul fatto trombetta» .
Il profumo dell’incenso si mescolò all’odore dei “ pèt déli dudès àvi” . Pervase la chiesa, poi lentamente si dissolse tra stucchi e immagini.
Terminata” la benedizione “ il frate francescano chiese al parroco perché era accaduto quel fatto inquietante alle anziane donne per una banale fuori uscita d’incenso dal turibolo. Lui rispose ““ caro amico, prima volevi insegnare al contadino a produrre vino da S. Messa nel tiranese , ora ‘Nsègnach miga a l’àva a fa pèt “. A ognuno il suo mestiere; tienilo sempre presente nelle tue omelie!”