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Problemi di coscienza ambientalista di Sebastiano Ramondetta

 

 

Vorrei sottoporre ai lettori una questione che in questo periodo si dibatte a Ferla, Buccheri e Buscemi: la costruzione della centrale eolica.

 

I fatti:

Già da alcuni anni sono in corso sondaggi, da parte della ditta I.V.P.C. s.r.l. “Società del Vento” di Avellino, per costruire la più grande centrale eolica d’Europa nei monti Iblei. Visto l’esito positivo di questi sondaggi, il progetto è passato alla fase operativa: sono già impiantati e funzionanti 13 pali ad elica situati lungo la strada Ferla-Pedagaggi, in contrada Santa Venera. Si prevede che in totale i pali saranno circa 190.

A questo punto stanno sorgendo degli intoppi, perché il territorio di Ferla, Buccheri e Buscemi ricade sotto il vincolo paesaggistico, previsto da una legge regionale, in vista di un erigendo “Parco degli Iblei”, per cui i lavori sono stati bloccati.

 

Considerazioni

Ci troviamo di fronte a una scelta che ha risvolti non solo ambientali, ma anche economici, politici e sociali.

Vero è che 190 pali, con relative eliche, alterano il panorama dei monti Iblei. (Ma perché questo discorso non si è fatto quando pochi mesi fa è stato messo un ripetitore telefonico o quando l’anno scorso l’Enel ha costruito un elettrodotto che attraversa tutto il territorio con tralicci alti anche 70 metri?).

Ma è anche vero che la produzione di energia elettrica, pulita e rinnovabile, ricavata dall’energia eolica, porta un risparmio di inquinamento dovuto al minor consumo di petrolio, che servirebbe per produrre la stessa energia.

L’ambiente floro-faunistico, caratteristico degli Iblei, è principalmente limitato alle “cave”, mentre i pali sarebbero posizionati sulle vette dell’altipiano, caratterizzate da terreni per lo più abbandonati e incolti, poco fertili e scarsi o privi di vegetazione.

Non si capisce poi perché sulle falde del monte Santa Venera (solo perché è territorio di Carlentini e quindi non protetto) si può fare ciò che a distanza di 100 metri (solo perché è territorio di Ferla) la stessa cosa diventa vietata: non sussistono gli stessi motivi ambientali?

Non bisogna poi dimenticare le ricadute occupazionali e gli introiti che avrebbero i contadini e il bilancio dei Comuni interessati; considerazione questa non secondaria, perché ci troviamo in una zona economicamente depressa e svantaggiata e dove la disoccupazione è altissima, una zona fortemente interessata al fenomeno migratorio, alla diminuzione e all’invecchiamento della popolazione, che sta portando al progressivo smantellamento del tessuto sociale e culturale.

Se i parchi devono essere solo dei recinti e dei divieti, e non occasione di sviluppo, viene da chiedersi: dobbiamo proteggere la natura o l’uomo?

 

La mia coscienza ambientalista è entrata in crisi. Non so dare una risposta. Un ambientalismo che non tiene conto anche e soprattutto dell’uomo mi sembra che non solo non fa presa nella popolazione, ma diventa strumentale e asfittico.

 

Sebastiano Ramondetta

 

 

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