La scoperta dell'effetto fotovoltaico va fatta risalire a Edmond Becquerel (1820-1891), il quale, nel 1839, quando aveva soltanto diciannove anni, presentò all'Accademia delle Scienze di Parigi la sua "Memoria sugli effetti elettrici prodotti sotto l'influenza dei raggi solari".
Becquerel stava effettuando esperienze con una cella elettrolitica in cui erano immersi due elettrodi di platino, quando scoprì che l'intensità della corrente aumentava quando si esponeva la cella alla luce del sole.
Becquerel fu anche il primo a rendersi conto che tale effetto dipende dal colore della luce incidente.
Si deve aspettare il 1876 per leggere notizie di effetti analoghi ottenuti con dispositivi a stato solido, quali il selenio e le giunzioni fra questo elemento e ossidi metallici (Smith, Adams e Day). Tali materiali sono ancora utilizzati commercialmente per la produzione di luxmetri, ma l'idea di sfruttare l'effetto fotovoltaico quale fonte energetica non ebbe modo di svilupparsi finché non si poté operare con materiali che avessero un miglior rendimento. Dopo molti lavori teorici e sperimentali, la prima cella solare commerciale fu prodotta infine presso i laboratori Bell nel 1954 da un gruppo di lavoro guidato da Person, Fuller e Chapin, che realizzarono una giunzione planare su un monocristallo di silicio, producendo in tal modo il capostipite delle moderne celle fotovoltaiche.
I tre scienziati si resero immediatamente conto delle potenzialità energetiche del nuovo dispositivo, ma in effetti il suo costo ne restrinse inizialmente l'applicazione a casi particolari, quali ad esempio l'alimentazione elettrica dei satelliti artificiali.
Dopo i primi anni, durante i quali la maggior parte degli studi furono dedicati a migliorare la resistenza delle celle alle condizioni ambientali che caratterizzano lo spazio interplanetario, a metà degli anni settanta si inizio a portare avanti con vigore anche la ricerca dedicata alle celle per utilizzazioni terrestri. Si tentò subito di operare nel campo della riduzione del costo di produzione, realizzando celle a sezione più larga e sviluppando procedimenti per il taglio che causassero minori sprechi di materiale. Questa linea di tendenza prosegue ancora oggi e con le più moderne tecnologie si è giunti a produrre celle larghe fino a 15cm di diametro e con spessori di circa 200 millesimi di millimetro. Un altro modo per conseguire lo stesso risultato di risparmio di materiale è stato quello di utilizzare sistemi ottici a basso costo, ad esempio lenti di Fresnel realizzate in plastica, per concentrare la radiazione solare su celle di area ridotta. Questi studi sono stati condotti in tutto il mondo dal punto di vista teorico e sperimentale, al fine di individuare il limite di convenienza tra un sistema di pannelli fotovoltaici posti semplicemente su una struttura piana e un sistema a concentratore che richiede più complesse strutture meccaniche e servo meccanismi dedicati all’inseguimento del sole.
Altri tentativi volti a ridurre il costo hanno condotto allo studio di nuovi materiali: attualmente i più promettenti, da questo punto di vista, sono l’arseniuro di gallio (GaAs), il solfuro di carbonio (CdS) e il silicio amorfo.
In particolare se si riuscirà a risolvere il problema legato alla stabilità nel tempo di quest'ultimo materiale, quando viene esposto alla radiazione solare, si potrà disporre di una interessante opzione nel campo della generazione su larga scala.