The HouseLa casa di Pampurio
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I re dei fornelli e i cuochi pasticcioni.
(Uova fritte e nutella)

C'era una volta un paese dove per mangiare qualcosa di decente ci si poteva recare solo in locali specializzati: ristoranti, trattorie, mense e fastfood.
Gli abitanti del reame non erano abituati a cucinare, la maggior parte di loro riusciva a malapena a farsi un piatto di pasta in bianco e una bistecca in padella.
A casa ci si alimentava per sopravvivere, era solo nei locali predisposti che si provava il piacere della buona tavola.

In una situazione del genere una della caste più privilegiata, oltre a quella dei regnanti, era quella degli Chef.
Tutti i sudditi pendevano dai loro fornelli e gli amanti della buona cucina spendevano tantissimo per permettersi succulenti pranzetti nei loro locali.
I cuochi che riuscivano a far parte di questa elitè diventavano quasi sempre ricchi e famosi ed erano trattati con grande rispetto e soggezione.

Un bel giorno accadde una cosa nuova: alcuni buongustai, ma anche molti semplici mangioni, si accorsero che, sistemando la propria cucina con gli attrezzi adatti e mettendosi in contatto (grazie ad una nuova specie di minuscoli e veloci piccioni viaggiatori, i bite), con molti altri appassionati, ci si poteva divertire a far tutto da sè.

Fu una vera rivoluzione: migliaia di piccoli e squallidi angoli cottura si trasformarono da un giorno all'altro in altrettanti gioiosi laboratori culinari.
In questi localini spartani e senza grandi strumenti, nuovi improvvisati cuochi naif, spinti da forti dosi d'entusiasmo e passione, si misero a studiare e a preparare pranzi in gran quantità: alcuni riuscirono a cucinare piatti di alto livello, altri portarono sulla tavola portate piene d'innovazione e di geniale follia, molti offrirono cose semplici e personali, quasi sempre naturali e genuine.
Naturalmente ci fu anche chi sfornò pastoni indigesti dai sapori raccapriccianti: con tutti gli ingredienti che si potevano utilizzare fu facile farsi prendere la mano.

Il fatto che questi incompetenti temerari si mettessero ad armeggiare tra le pentole non piacque a chi, fino ad allora, aveva avuto il mestolo dalla parte del manico.
Non c'era ancora la paura che la massa di persone che frequentava i locali pubblici (dai fortunati che potevano permettersi il tempio a 5 stelle ai rassegnati delle mense self-service) potesse diminuire, ma gli Chef si preoccuparono lo stesso del movimento in atto: con il passa parola che s'iniziava a sentire tre i tavoli la cosa poteva diventare molto pericolosa. Loro, gli Chef autorizzati, sapevano bene che, pur spacciando il loro impegno per passione creativa ed arte, lavoravano quasi esclusivamente per il profitto. E i clienti sono la cosa più importante per chi ha un'attività commerciale.

Nelle nuove cucine amatoriali migliaia di cuochi pasticcioni preparavano da mangiare per il semplice gusto di farlo: per sè ma anche per chi voleva sedersi al proprio tavolo. Di guadagno, per loro, a quei tempi, non se ne parlava neppure. Era già molto difficile che non ci rimettessero: gli ingredienti non erano di certo gratuiti ed il tempo dedicato ai fornelli veniva sottratto da quello libero dal lavoro e ad altri impegni. Però, non consumando più pasti fuori come prima, magari non guadagnavano ma comunque risparmiavano. Risparmiavano soldi che prima andavano a finire, direttamente o indirettamente, nelle tasche degli Chef autorizzati.

Questo lavorio spontaneo, finalizzato al piacere di darsi da fare semplicemente per farsi conoscere e stare insieme ad altri, senza apparenti finalità economiche, faceva impazzire gli Chef autorizzati. " Ma perchè", si chiesero, "tutti questi pazzi, senza arte nè parte, si mettono a cucinare, copiando ed elaborando in malo modo le "nostre" ricette, rovinando materia prima per sfornare miscugli che perlopiù risultano indigesti, banali, amari o troppo dolci, inutili o addirittura dannosi ?"
E altri ancora dissero: " Questi pezzenti non ci guadagnano nulla ma continuano a lavorare come formiche, sono ridicoli e si divertono come matti! Osano pure parlare tra di loro, di noi, i Maestri, e di criticare il nostro lavoro da professionisti. Qui bisogna intervenire, dobbiamo far sentire la nostra voce per fermare lo scempio dell'arte culinaria prima che sia troppo tardi!"

La cosa che più disturbava i re dei fornelli era la completa anarchia che regnava nelle sempre più numerose e improvvisate trattorie amatoriali, gestite da personaggi che loro consideravano solo degli indegni antagonisti. Loro, gli Chef autorizzati, avevano studiato per diventare ciò che erano e per questo avevano i titoli giusti per rivestire il ruolo, che come tale era riconosciuto dalla comunità, e, in più, avevano anche i "certificati" che provavano la qualità del prodotto che facevano.
"Non ci sono cazzi!", dissero, " Questi sono degli irregolari, degli usurpatori, e vanno messi al loro posto. Se vogliono gozzovigliare in pubblico, devono sedere ai nostri tavoli e mangiare le nostre portate. Se vogliono cucinare loro, che facciano pure, ma stiano da soli, chiusi in casa propria! GUAI se la aprono e si mettono a dar da mangiare ad altri. A quello ci pensiamo noi, che siamo autorizzati a farlo!"

Per arginare il fenomeno gli Chef coinvolsero in prima persona i loro maitre, i caposala dei ristoranti.
Molti di questi maitre erano in realtà Chef mancati, ridotti ai ranghi di scudiero al servizio del padrone del locale. I maitre furono informati che, se la cosa fosse continuata ancora, sarebbero stati i primi a rimetterci: da dove veniva il loro stipendio? Dall'incasso del ristorante. E se la gente iniziava a mangiare in casa di amici, chi sarebbe più andato a pranzo fuori?
Fu così che orde di maitre, ma anche di semplici camerieri, si scatenarono in giro per il reame, criticando ad ogni occasione l'opera di questi simpatici cuochi pasticcioni: scrissero articoli di scherno su riviste specializzate (anche quelle campavano sul giro degli Chef), inviarono messaggi boriosi e provocatori nelle bacheche delle piccole cucine private, per loro natura ospitali ed aperte a tutti, generalizzando accuse di vario tipo e critiche feroci sulla qualità delle portate. Fecero questo ed altro, nel vano tentativo di dissuadere i loro clienti, ma anche semplici curiosi, dalla voglia di assaggiare nuovi sapori, di provare strampalati abbinamenti, di cambiare minestra senza chiedere prima, a loro, il permesso, o almeno un consiglio.

In mezzo alle truppe degli Chef autorizzati vi erano molti che apparivano seriamente preoccupati, altri s'intuivano spinti solo dall'astio, solo pochi di loro erano realmente curiosi di capire cosa stava succedendo.
Attaccati in questa maniera, quasi senza motivo, i cuochi pasticcioni, dalle loro cucine non autorizzate, reagirono in massa alle critiche: risero in faccia ai boriosi, fecero spallucce ai faziosi, s'indignarono con i maleducati e cercarono di far ragionare tutti gli altri.
La diatriba durò a lungo (dura tuttora), ma non fermò la rivoluzione: i clienti che ne furono coinvolti non furono più gli stessi di prima.
Da quel giorno, i nuovi Chef non autorizzati continuarono a cucinare, felici e contenti, i loro piatti per i loro amici.
Ci fu anche chi preparò uova fritte e nutella per tutti..