Scritto nel 1968, degno di figurare tra i chefs
d'oeuvre dell'autrice francese, il romanzo s'attorciglia tutto
sulla verosimile e sfortunata esistenza di Zenone Ligre, figlio ignorato,
di nobili origini, alchimista dotato, monaco mancato e medico eretico
tra Cinquecento e Seicento. Il titolo del libro si riferisce alla
sua vita in nero: una vita, cioè, nascosta ai più, un'opera
al nero, segnata dalla clandestinità e dalla paura, come dal
mistero e dalla potenza dell'intelletto. Un riferimento, anche, ai
testi esoterici di Gioacchino da Fiore, concernenti l'aspirazione
alla Conoscenza che Zenone vagheggiava.
Con una prosa adeguata ai tempi, ricca di preziosità lessicali,
la Yourcenar ha costruito una trama complessa per un destino infelice,
quello del "diverso": che, qui, si presta a innumerevoli
aspetti della vita quotidiana, alla sessualità, alla religione,
alla cultura, finanche alla stessa spiritualità.
L'ingegno lo contrappone infatti ai dogmatismi religiosi o alle verità
morali dell'opera, ai saperi precostituiti, ai costumi osservati:
Zenone è uno spirito libero che, in un'epoca in cui l'Inquisizione
agiva con ferocia e testa alta, ha il coraggio o l'imprudenza di seguire
i suoi desideri.
Ma potrà farlo solo all'oscuro: così la vita di Zenone
si trascina da una terra all'altra, conoscendo pochi amori, molti
estimatori e altrettanti detrattori. In nessun luogo, nel suo girovagare
giovanile, Zenone può togliersi le vesti della persecuzione:
né nei paesi cattolici, né in quelli luterani, e di
nessun ambiente sociale si può far scudo.
Le sue idee lo condannano al fuoco, e Zenone, stanco del suo vagabondare,
finirà per tornare a Bruges, sua città natale, decenni
dopo il suo volontario esilio alla ricerca della verità, sotto
un'altra identità: quella di Sebastiano Theus.
Zenone avrà la fortuna di lavorare come medico in un monastero
condotto da un abate lungimirante, che, pur avendo scoperto la sua
vera identità, lo lascerà lavorare come medico.
Il priore, nell'intero romanzo, è forse l'unica persona che
capisce e accetta Zenone per quello che è: ma, quando egli
muore, Zenone si ritrova acccusato dai suoi stessi monaci di aver
curato genti di fede diversa, di essser stato complice di grotteschi
incontri sessuali tra monaci e suore, di essere un alchimista. La
vera identità di Zenone viene scoperta, così come viene
scoperta una copia di un suo libro filosofico, inserito tra i Libri
Proibiti, e parte dei suoi appunti viene letta, analizzata e ritenuta
capo d'accusa: è l'epoca della Controriforma, e tutto ciò
che si discosta di una virgola dal precostituito sociale, religioso
e morale viene torturato, flagellato e arso.
Il tragico destino di Zenone, che come molti Campanella o Giordano
Bruno, brillò troppo per la sua energia speculativa nella ricerca
della Verità, è straordinariamente verosimile perché
l'autrice prepara una scenografia accurata, in cui testi, personaggi
ed idee di quell'epoca di persecuzioni sono la cornice entro cui il
protagonista si muove con agio.
Come in altre opere, tra cui le celeberrime Memorie, la Yourcenar
si è affidata ad uno storicismo puntuale: tant'è che
viene persino citata la disfatta di Monaco, e di quel suo Giovanni
che si proclamava Cristo in terra, o le primissime teorie alchimistiche.
Nella postfazione la scrittirice descrive tutto il travaglio dell'opera,
citando tute le sue fonti: anche qui, come in altri casi, il lavoro
della Yourcernar è puntiglioso, lungo. I suoi libri sono il
prodotto di un'applicazione cerebrale in cui però, la prosa
spicca il balzo in primo piano. C'è da dire doverosamente che,
per quanto notevole, il libro non raggiunge la capacità evocativa
del suo grande capolavoro, le Memorie di Adriano.
Tuttavia quel che vuol dirci l'autrice è vivissimo ed attuale
e, facendo un esame del mondo che ci circonda, non potremo dissentire
sul nero che avvolge la vita di tanti personaggi d'oggi, per i motivi
più disparati.
Zenone, per quanto figura lontana ed immaginaria, è solo uno
dei tanti che patiscono ogni giorno per il loro cuore o il loro cervello
troppo "diversi" dai dettami sociali. Così diversi
da non avere seguito, da non avere proseliti, da non essere difesi
da nessuno, nemmeno dai familiari, e da trovare pace o credibilità
solo nella e dopo la morte.
Così, il dolore di Zenone assurge a tonalità realistiche,
che certo confondono e commuovono il lettore, perché lo trasportano
in una parabola dolorosamente umana: e ognuno, nei "no"
di Zenone, può forse riconoscere qualche suo tragico e scomodo
"no", lo sforzo impotente del singolo davanti alle masse
monopolizzate dall'autorità di turno.