Il manoscritto di Brodie di Jorge Luis Borges
Che cosa accomuna un tedesco abituato ai rigori
del clima nordeuropeo ed un sudamericano, cresciuto al sole della Spagna prima
e dell'Argentina poi?
Poco o nulla, specie se il primo si chiama Immanuel Kant ed il secondo è
Jorge Luis Borges, ancora meno se pensiamo al filosofo de la "Ragion
pura" e alle "Finzioni" dello scrittore di Buenos Aires.
Ma se grattiamo via la polvere dalle biografie e leggiamo con attenzione,
scopriremo che i 65 (!) anni trascorsi da Borges al riparo della "sua"
Biblioteca nazionale argentina (da lui diretta fino a pochi giorni dalla morte,
avvenuta nell'86) ben si accordano con il racconto di coloro che, tutte le
mattine a Konigsberg, vedendo Kant alle 6,00 per la consueta ed unica passeggiata
e conoscendone la puntualità, regolavano gli orologi su di lui.
Rigore metodologico, razionalità e meticolosità,
un'incredibile a capacità di scrivere in modo sintetico fanno di Borges
uno scrittore assolutamente unico nel panorama letterario del Sud del mondo
e lo fanno, appunto, somigliare alle costruzioni ingegnose e teutoniche di
un Musil o dei fratelli Mann.
"Il manoscritto di Brodie", recentemente ripubblicato nella collana
messa in vendita da uno dei principali quotidiani italiani, è la quintessenza
di questo rigore e, guarda caso, riprende idealmente il sottile filo che lega
spunti autobiografici - molto spesso presenti negli scritti di Borges - e
sapere enciclopedico.
I racconti brevi di questa raccolta, volutamente data alle stampe dall'autore
in età matura per il vezzo dichiarato di voler mettersi alla prova
a più di 70 anni, sono tutti dei piccoli capolavori. Come ricorda Calvino
in uno dei suoi spunti critici, Borges ha sempre la forza di chi "vede"
le cose e le fa vedere a chi legge (negli anni '50 Borges è sconfitto
dalla cecità, che comunque non gli impedirà di scrivere per
altri trent'anni). Ogni singola parola, ogni frase, qualunque descrizione
sia di un paesaggio sia di un interno coinvolge subito il lettore e lo mette
di fronte a quel che legge, trasformando la pagina in una realtà virtuale
ante litteram. Leggi "il Vangelo secondo Marco" e ti senti completamente
circondato dall'acqua e poi afferrato per i capelli dall'odio; vai al racconto
"l'Intrusa" (una delle pochissime opere di Borges assurta agli onori
della riduzione cinematografica e televisiva, con la supervisione alla sceneggiatura
dello stesso autore argentino) e ti sembra di stare fra Caino e Abele per
l'intensità della narrazione sentimentale; ti introduci nel paese fantastico
degli Yahoos attraverso il racconto che dà il nome alla raccolta e
sperimenti le stesse sensazioni che dovettero provare i grandi esploratori
dell'800 quando s'imbatterono nelle tribù dell'Amazzonia.
Questo è Borges e questa è una delle sue peculiarità:
così come Kant confessava di non aver mai voluto viaggiare, perché
pensava di aver visto il mondo nei libri che aveva letto, allo stesso modo
l'eterno fanciullo del quartiere Palermo, rampollo di una generazione aristocratica
e iperconservatrice, supplisce al non vedere con l'immaginare, alla mancanza
di stimoli visivi con i ricordi di ieri, messi a confronto con i racconti
dell'oggi. Borges fa della vista quel che Beethoven fa dell'udito: li utilizza,
anche se non funzionano, come soltanto un genio saprebbe, ovvero creando,
uno con la letteratura e l'altro con la musica.
Ancora un consiglio: provate a leggere i racconti
di Borges mentre ascoltate la "Pastorale" di Ludwig van (la 6°
sinfonia, quella dove rimbomba un tremendo temporale e poco dopo il cinguettar
d'uccelli annuncia il sereno) e poi fatemi sapere.
Raccolta di racconti di Jorge Luis Borges, 4,90€, edizioni "la Repubblica"