CESARE PAVESE
Nel mondo così visse la solitudine

di Massimo Canetta - elemax@tiscalinet.it

 


"Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome - ripeto - sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: 'Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là'".

 

TAPPE CRONOLOGICHE

 

1908 Pavese nasce a S.Stefano Belbo: qui il padre, cancelliere di tribunale a Torino, ha un piccolo podere che per tutta l'infanzia sarà per il figlio Cesare la sede, mitizzata poi nel ricordo, delle sue vacanze estive. Si laurea a Torino, sede dei suoi studi, con una tesi sulla poesia di Walt Withman.
1931 Muore la madre. Intanto insegna saltuariamente in vari istituti medi statali, ma, poiché non è iscritto al partito fascista, deve ripiegare sugli istituti privati.
1933 Comincia a lavorare, insieme a Carlo Levi, Massimo Mila, Leone Ginzburg e altri, alla casa editrice Einaudi.
1935 Viene arrestato perché coinvolto in attività antifasciste. Condannato al confino a Brancaleone, in Calabria, vi resta fino al Marzo del '36. Inizia intanto a registrare un diario (Il mestiere di vivere). Al ritorno dal confino sfiora il suicidio. La donna amata si era sposata.
1936 Lavorare stanca
1941 Paesi tuoi
1941/44 Feria d'agosto
1943/45 Dopo la caduta del fascismo si rifugia con la famiglia nel Monferrato
1945 I Dialoghi con Leucò
1947 Il compagno
1948 Prima che il gallo canti
1949 La bella estate
1950 La luna e i falò. Nello stesso anno vince il Premio Strega con il volume La bella estate.
Il 27 Agosto 1950 muore suicida in una camera al secondo piano dell'hôtel Roma a Torino.

 

NEL MONDO, COSÌ VISSE LA SOLITUDINE

Cesare Pavese
Cesare Pavese nacque a S.Stefano Belbo nel 1908 da una famiglia di origine contadina trasferitasi poi a Torino. Fu proprio a Torino che Cesare, adolescente, frequentò il liceo, subendo particolarmente l'influenza di Augusto Monti, scrittore antifascista, suo professore. Conseguita la laurea in lettere si dedicò all'insegnamento.
Einaudi
Questo per qualche tempo; nel 1933 infatti, iniziò la sua attività presso la casa editrice Einaudi, di cui sarebbe poi diventato uno dei principali collaboratori ed animatori. Nel frattempo aveva collaborato alla rivista Cultura, soppressa poi dal governo fascista nel '35, e si era dedicato con successo alla traduzione di romanzi americani.
Il confino
Sempre nel '35, pur non appartenendo al movimento antifascista, fu condannato a tre anni di confino a Brancaleone calabro a causa di alcune corrispondenze di nuclei antifascisti recapitate presso di lui. In seguito ad un condono, peraltro ripetutamente richiesto sia da Pavese stesso che dalla sorella direttamente a Mussolini, l'anno successivo poté tornare a Torino.
La fuga dal conflitto
Nel '43, per sfuggire alla guerra, si rifugiò nel Monferrato e dopo la liberazione si iscrisse al Partito comunista. Questo fu il periodo più fecondo nell'ambito letterario; ebbe i primi consensi sia di critica, sia di pubblico.
Il premio Strega
Nel '50 conseguì il premio Strega con il volume 'La bella estate'.
Il suicidio
Qualche tempo dopo, esattamente la notte tra il sabato 26 e la domenica 27 Agosto, morì suicida in una camera d'albergo, l'hotel Roma, a due passi dalla stazione di Porta nuova a Torino.

LAVORARE STANCA

Il suo primo libro - da lui stesso così considerato - fu Lavorare stanca(Firenze 1936; edizione definitiva, 1943), una raccolta di poesie che denotano nell'autore il riallacciarsi ad un ambito regionale, crepuscolare (accentuato in direzione popolaresca, dialettale in confronto con il parlato borghese crepuscolare).
Così spiega Cesare Pavese:
"... Contro il sospetto che il mio sia un piedmontese revival, sta la buona volontà di credere a un possibile allargamento dei valori piemontesi. La giustificazione? Questa: non è letteratura dialettale la mia - tanto lottai d'istinto e di ragione contro il dialettismo -; non vuole essere bozzettistica - e pagai d'esperienza - cerca di nutrirsi di tutto il miglior succo nazionale e tradizionale; tenta di tenere gli occhi aperti su tutto il mondo ed è stata particolarmente sensibile ai tentativi e ai risultati nord americani, dove mi parve di scoprire un tempo un analogo travaglio di formazione. O forse il fatto che ora non mi interessa più la cultura americana, significa che ho esaurito questo punto di vista piemontese? Credo di sì; almeno, il punto di vista come l'ho ottenuto finora.".1

Questi valori piemontesi sono ben evidenziati in tutte le sue opere. Per fare un esempio, la poetica di Lavorare stanca è di una sconvolgente novità rispetto agli ultimi modelli della tradizione ottocentesca, libera da ogni provincialismo.

... "Camminammo più di mezzora. La vetta è vicina,
sempre aumenta d'intorno il frusciare e il fischiare del vento.
Mio cugino si ferma ad un tratto e si volge: "Quest'anno
scrivo sul manifesto: - Santo Stefano
è sempre stato il primo nelle feste
della valle del Belbo - e che la dicano
quei di Canelli.". Poi riprende l'erta.
Un profumo di terra e di vento ci avvolge nel buio, qualche lume
in distanza: cascine, automobili
che si sentono appena; e io penso alla forza che mi ha reso
quest'uomo, strappandolo al mare, alle terre lontane, al
silenzio che dura.
Mio cugino non parla dei viaggi compiuti.
Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell'altro
e pensa ai suoi motori." ...
"Ma quando gli dico
Ch'egli è tra i fortunati che han visto l'aurora
nelle isole più belle della terra,
al ricordo sorride e risponde che il sole
si levava che il giorno era vecchio per loro.
".2

Qui, viene accentuata in modo particolare la direzione popolaresca presa da Pavese, soprattutto nei versi 3/7 in cui rende pesantemente il suo campanilismo paesano e le sempre più presenti rivalità fra paese e paese.
Il segno crepuscolare lo si nota subito dopo i sopraddetti versi: quel ritornare con la mente al paese dal quale egli è lontano - a causa del confino - lo rende malinconico e questo sarà l'inizio dello stile dello scrittore piemontese che fa riscontrare spesso nelle sue poesie e nei suoi romanzi quest'onda di malinconia.
A mio parere una delle più belle poesie di Pavese, forse la più profonda per maturità e serietà di ogni singola parola, maliziosamente inserita al posto giusto è sicuramente Esterno:

"Quel ragazzo scomparso al mattino non torna.
Ha lasciato la pala ancor fredda, all'uncino - era l'alba -
nessuno ha voluto seguirlo: si è buttato su certe colline.
Un ragazzo dell'età che comincia a staccare bestemmie
non sa fare discorsi. Nessuno
ha voluto seguirlo. Era un'alba bruciata di febbraio, ogni
tronco colore del sangue aggrumato. Nessuno sentiva
nell'aria
il tepore più duro.
Il mattino è trascorso
e la fabbrica libera ogni operaio.
Nel bel sole qualcuno - il lavoro riprende
fra mezz'ora - si stende a mangiare affamato. Ma c'è un
umido dolce che morde nel sangue e alla terra dà brividi
verdi. Si fuma
e si vede che il cielo è sereno e lontano le colline son
viola. Varrebbe la pena
di restarsene lunghi per terra nel sole.
Ma buon conto si mangia. Chissà se ha mangiato quel
ragazzo testardo? Dice un secco operaio,
che, va bene, la schiena si rompe al lavoro,
ma mangiare si mangia. Si fuma persino.
L'uomo è come una bestia, che vorrebbe far niente. Son le bestie
che sentono il tempo, e il ragazzo l'ha sentito all'alba. E ci sono
dei cani
che finiscono marci in un fosso. La terra prende tutto. Chi sa
se il ragazzo finisce dentro un fosso affamato? E' scappato
nell'alba senza fare discorsi, con quattro bestemmie, alto il
naso nell'aria.
Ci pensano tutti
aspettando il lavoro, come un gregge svogliato.
".3

Un ragazzo dunque, un giovane operaio di una fabbrica da cui fugge in una fredda mattina di febbraio. Fugge perché nell'aria ha sentito qualcosa che nessun altro poteva sentire ed è corso a sdraiarsi sulle colline. Aveva sentito l'arrivo della primavera.
"Nessuno voleva seguirlo.".
Gli ultimi versi di questa poesia, fan capire che i compagni della fabbrica, nonostante le parole dure, sentono che quel ragazzo ha fatto qualcosa che non sarà facilmente accantonabile; ora avvertono dentro una pena nuova, un sentimento inquieto che non conoscevano.
Anche in questa poesia, come nella precedente, Pavese tiene ben evidenziato il titolo della raccolta originale, appunto Lavorare stanca, in quanto nella prima poesia, I mari del sud, vi è un sordo lamento, quasi un'eco lontana che narra la tristezza e la depressione nel vedere il sole sorgere all'alba quando il lavoro è già iniziato da tempo e, nella seconda poesia, Esterno, con tono pesante, ma finemente sarcastico, facendo notare che il lavoro in fabbrica rompe sì la schiena, ma permette di mangiare e "addirittura" di fumare.
Due tipi di stanchezza dunque: una di tipo fisico, accentuata maggiormente; l'altra una fatica mentale, l'arrugginirsi dei sentimenti verso la natura ed una rassegnazione alla propria condizione attuale, di stampo quasi leopardiano: "... e il naufragar m'è dolce in questo mar.".

LO STILE

Lavorare stanca, quindi, prima opera pavesiana?
Pavese stesso ha cercato di dare al suo operato un ordine cronologico, in cui, oltre alle tappe stesse, indicava chiaramente i vari passaggi stilistici e tecnici, attraverso i quali è maturata la sua evoluzione poetica:

Lavorare stanca - 1930 - 1933 - 1936
- 1938 - 1940 Parola e sensazioni
Carcere - Paesi tuoi - 1938 - 1939
Bella estate - Spiaggia - 1940/41 naturalismo
Feria d'agosto - 1941 - 1942 poesia in prosa e
- 1943 - 1944 consapevolezza dei miti
La terra e la morte - 1945 gli estremi:
I Dialoghi con Leucò - 1945 naturalismo e simbolo
Il Compagno - 1946 staccati
La casa in collina - 1947 - 1948
Il diavolo sulle colline - 1948
Tra donne sole - 1949 Realtà simbolica
La luna e i falò - 1949

Questo quadro rende l'idea di come Pavese, ad un anno dalla sua morte, vedesse ed inquadrasse quello che aveva fatto.
In questo disegno cronologico, tracciato da Pavese stesso, c'è però una lacuna: infatti ha escluso una parte degli scritti giovanili, che invece acquistano oggi, un'importanza di gran lunga superiore a quella che lo stesso autore gli attribuiva.
E' vero che Pavese prende le mosse dal 1930 e mostra quindi di vedere in Lavorare stanca la prima opera meritevole di considerazione; spesso però gli autori non sono i migliori critici di sé stessi o non lo sono in egual misura lungo tutto l'arco della loro produzione letteraria.
Il giudizio autocritico di Pavese è stato troppo severo. Escludere i racconti giovanili, tra cui l'importantissimo Ciau Masino, - come introduzione a tutto lo stile pavesiano - è un grave errore.
Ciau Masino è un blocco di racconti che costituisce, nel suo insieme, quasi un romanzo e acquista molta importanza nell'opera di Pavese per due ragioni fondamentali: la prima è che in questi racconti si trovano già accennati quasi tutti i temi che saranno svolti in seguito da Pavese; in secondo luogo troviamo già posti i problemi di linguaggio che poi saranno fondamentali nell'opera pavesiana.
Il linguaggio di Ciau Masino appare come una lingua nuova, diversa sia rispetto alla lingua italiana, sia, soprattutto, al linguaggio letterario di quegli anni. Il linguaggio letterario italiano era teso verso una dimensione neo classicheggiante, mirava al bello scrivere, che non sempre significa uno scrivere appropriato, come diceva Leopardi, raggiungendo risultati stilistici tutt'altro che indifferenti.
Ciau Masino ha come sfondo la Torino degli anni trenta, che corrisponde all'unico mondo che Pavese abbia veramente conosciuto, oltre a quello delle Langhe (la sua giovinezza è infatti trascorsa tra Torino e le Langhe). Non dimentichiamo che a Torino c'è stata nel '21 l'occupazione delle fabbriche; che a Torino l'antifascismo era molto sentito proprio per l'estrazione operaia e proletaria della maggior parte della popolazione e che i germi antifascisti erano anche molto diffusi negli strati borghesi/medio-borghesi.
Questo clima particolare incide in modo determinante e decisivo sulla formazione di Pavese. Torino è vista come una città miticamente tentacolare, che le fabbriche e le ciminiere rendono così diversa da Milano, da Roma, da Firenze; una città in cui era ancora possibile pensare ad un concetto di vita libera e di campagna proprio perché, appena fuori città, la campagna contrastava decisamente con l'immagine industriale della metropoli.
Tutto ciò stimolava nel giovane Pavese una serie di suggestioni che sono poi penetrate nella sua opera. Torino era a parte, isolata; infatti le prime incerte lettere che Pavese indirizzava al di fuori del suo centro torinese sono intimidite e risentono del complesso d'inferiorità che spesso i piemontesi hanno, perché si sentono un po' stranieri in patria e imparano la lingua italiana come una lingua straniera.
Così Pavese, possiamo veramente dirlo, ha imparato la lingua italiana come una lingua straniera; l'ha sempre considerata quasi come una lingua di un altro paese e, proprio per questo, il suo lavoro di stile e di linguaggio risulta così interessante.
A quell'epoca la letteratura che dominava era quella francese; mettersi a contatto con essa sarebbe stata per lui la soluzione più tranquilla e più semplice.
Invece, Pavese scopre l'America, anticipando un orientamento letterario che si sarebbe affermato poi. Egli vedeva nell'America la possibilità di realizzare quei concetti di libertà intellettuale pratica che nella provincia italiana e nella letteratura italiana stentava ad individuare.
Ecco perché Pavese giovane è importante, significativo; in quanto lontano dal modo di concepire la letteratura, a quel tempo. Quindi, ecco perché Ciau Masino diventa un punto di riferimento importante: perché le storie parallele dell'intellettuale Masino e dell'operaio Masin, riflettono tutta questa situazione.

(fine prima parte)
Tratto da http://www.agonet.it/cafe/dada/max

Note al testo:
1 C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Milano 1981, ed. Euroclub, pag. 13
2 C. PAVESE, Poesie edite ed inedite, Milano 1980, ed. Euroclub
3 C. PAVESE, op. cit. pag. 105-106