Sono nato in questa strada,
una via ampia che scorre dritta, un senso procede a sud verso il mare e s’incrocia
con l’ampio lungomare sempre trafficato ad ogni ora del giorno.
Il senso opposto, quello che si dirige a nord, prima attraversa una statale,
c’è un semaforo all’incrocio, poi si perde verso l’interno mantenendo sempre
la stessa direzione.
Dicevo che sono nato in una casa sita su questa via a circa un chilometro più
verso il mare da dove abito adesso. Quando ero ragazzo, avevo tutti gli amici
che stavano nella stessa mia strada e talvolta con loro facevamo delle scorribande
risalendo con le bici verso il nord.
Inforcavamo i nostri velocipedi e con l’irruenza di quegli anni verdi pedalavamo
veloci lasciando presto le nostre case a più piani per trovarci circondati da
abitazioni coloniche con capanne, stalle, campi coltivati, covoni di paglia
col palo piantato nel mezzo ed un barattolo rovesciato all’estremità del palo.
Ci venivano incontro vociando torme di bambini scalzi che chiaramente erano
i figli dei contadini.
La prima scuola, i primi amici, la chiesa che i miei frequentavano, i negozi
nei quali si faceva la spesa, il cinema, tutto si snodava lungo la strada, anche
il circo ed il luna park che ogni anno montavano le loro tende ed i loro stand,
arrivavano da questa via e a lato di essa si fermavano per poi ripartire.
Andai poi alle scuole superiori, usando la metropolitana che portava in centro,
finite le scuole trovai un lavoro, sempre in centro, ed ho costantemente usato
la metropolitana per questi spostamenti quotidiani.
L’auto l’usavo solo la domenica, per raggiungere il lungomare e talvolta proseguivo
per chilometri e chilometri lungo la costa finchè non trovavo un tratto di mare
adatto ad i miei tuffi.
Sono adesso in pensione ed abito ancora in questa stessa via, l’ho già detto,
un chilometro più a nord da dove sono nato, talvolta incontro alcuni dei miei
vecchi amici dell’infanzia.
Guardo non verso il mare ove la strada finisce, ma verso nord ove la via prosegue
e non so fin dove.
Ho esplorato un pezzo di essa da ragazzo, solo da ragazzo, poi non sono mai
più tornato al nord. Sono passate diecine di anni da allora, sicuramente tutto
sarà cambiato.
La direzione nord della strada mi attira sempre più, è una calamita che ruba
tutti i miei pensieri, mi richiama ogni giorno più prepotentemente.
Ho finalmente deciso d’imboccare nuovamente quella via, voglio vedere ove sbocca,
sono sempre più curioso, anche perché nelle carte che ho consultato, la strada
sembra interrompersi a soli dieci chilometri dalla mia abitazione, cosa che
so non vera poiché con le esplorazioni in bici arrivammo ben oltre.
Ho riempito l’auto di viveri, acqua e taniche di benzina, ho caricato la mia
vecchia bici sul portabagagli ed ho girato la chiavetta d’accensione.
Parto lentamente in direzione nord: osservo come fosse la prima volta il luogo
ove abito, quanti ricordi s’affastellano confusi nella mente, volti di donne
e di bambini, interni di case e di negozi, fiori sbocciati, danze, cerimonie
liete e tristi...
Sfilano palazzi signorili a cinque sei piani, foderati in travertino, in preziosi
tasselli di ceramiche colorate e marmi, per proteggerli dal salmastro nei giorni
di vento, coi giardini ben curati, le siepi di pitosforo recentemente sforbiciate,
le rose le buganvillee, gli oleandri in fiore, larghi marciapiedi con alberelli
ornamentali, qualche severo pino maremmano nello sfondo, lampioni e panchine
a distanze regolari, le auto lucenti parcheggiate in fila accosto ai marciapiedi.
All’improvviso c’è poi uno slargo di verde, un grande giardino pubblico, ove
spesso andavo, con siepi e panchine, giochi per ragazzi ed un laghetto coi cigni.
Scorgo giovani che corrono ed anziani seduti immersi nella lettura. Proseguo
e salgo il cavalcaferrovia: sotto passano rotaie sulle quali i treni sfrecciano
veloci. Dal cavalcaferrovia vedo il grande centro commerciale ed i negozi che
lo circondano.
Mi fermo proprio in cima al cavalcaferrovia e scendo dall’auto, la strada è
grande e non intralcio nessun altro mezzo, guardo verso il mare e scorgo il
mio condominio e più lontano la casetta ove sono nato che adesso è stata ristrutturata
e trasformata in villetta. Poi leggermente a sinistra c’è l’entrata della metro,
più lontano la riga brillante del mare.
Riparto nella mia direzione e mi fermo al semaforo che trovo all’incrocio con
la statale. Il semaforo è rosso ed io aspetto pazientemente senza spegnere il
motore: la statale è molto trafficata e file di auto multicolori sfrecciano
veloci nelle due direzioni. Attendo: infine il semaforo passa al verde, parto
veloce perché so che nella mia direzione il verde dura solo un attimo e non
di più. Vedo infatti la massa delle auto che di malavoglia s’è arrestata, negli
abitacoli i conducenti nervosi sgasano con rabbia e ripartono facendo stridere
le gomme quando io non ho ancora finito d’attraversare la strada.
Proseguo e per qualche chilometro tutto sembra essere uguale a dove io abito.
Più avanti però le case non sono foderate di pietra ed hanno l’intonaco scrostato,
si fanno sempre più brutte, più maltenute, sembrano anche più antiche, ma questo
non è possibile, perché quando passavo qui da ragazzo queste abitazioni non
c’erano ancora. I giardini non sono più curati come nel mio quartiere ed alcuni
sono addirittura abbandonati: qualche abitazione ha nientemeno che due assi
incrociati sopra le porte e le finestre.v Sono adesso in un agglomerato ove
le case si stringono fitte ai lati della strada. Parcheggio e scendo per fare
un giro. Gli appartamenti sono ora a due, tre piani, i giardini qui non ci sono,
ma corti sterrate utilizzate come parcheggio dalle auto.
Alcune macchine sembrano abbandonate da tempo, sono coperte di cocci e di ruggine.
La strada è attraversata da innumerevoli fili metallici, del telefono, della
luce e chissà d’altro.
I negozi hanno tutti le saracinesche abbassate ed alcuni carrelli da supermercato,
arrugginiti, giacciono rovesciati accanto alle porte d’ingresso.
Passanti furtivi mi guardano di sottecchi e girano veloci gli angoli, un uomo
strattona una giovane ragazza e la conduce a forza in un portone, nessuno sembra
notare niente d’insolito e la ragazza vistosamente si ribella, ma non emette
un solo suono.
Turbato risalgo in auto e riparto, voglio andare avanti, ancora più avanti.
Mangio un panino imbottito e bevo birra mentre l’auto prosegue, ed i venti chilometri
previsti da quella stupida cartina sono già stati abbondantemente superati da
altri venti e la strada prosegue ancora chissà per quanto.
È giunta la notte, parcheggio l’auto e mangio della frutta, lì vicino c’è un’insegna
tremolante BAR, mi farò un caffè poi dormirò nell’auto e domattina andrò ancora
più avanti.
A piedi faccio i cento metri che mi separano dal bar, entro da una cigolante
porta a vetri, l’interno è poco illuminato e alcuni avventori, vestiti come
operai del secolo scorso se ne stanno giocando a carte con mezzette di vino
rosso e calici squadrati davanti.
Per terra all’ingresso c’è una sputacchiera, le avevo viste solo nei vecchi
film, cerco di non guardarla ed entro in quest’ambiente estremamente fumoso.
Sì, il fumo qui è a strati, c’è odore di sigaro e di pipa, c’è anche odore d’orina,
e mi ricorda che devo andare al bagno. Mi avvicino al bancone di legno, è lurido,
e chiedo al barista che indossa una giacca che sicuramente molto, molto tempo
prima era bianca, un caffè.
- Corretto?
- No, semplice.
Prendo il caffè, lo zucchero e mi siedo ad un tavolo vuoto. C’è una porticina
ed una targhetta “LATRINA”, mi alzo, ci vado. E’ un bugigattolo puzzolente con
un foro circolare per terra su un lastra di marmo lurida ed un “tappo” anch’esso
di marmo con una maniglia metallica: mi arrangio mentre l’odore di ammoniaca
si leva da quel foro nel pavimento, poi ritappo il buco ed esco.
Al mio tavolo c’è un ragazza seduta, mi siedo accanto al mio caffè e la guardo:
è sudicia ed ha alcuni denti cariati, è giovane, ma sento che pure puzza di
sporco.
La ignoro, bevo il caffè, poi mi accendo una sigaretta, lei prende una delle
mie sigarette e l’accende.
Seguito ad ignorarla e mi guardo attorno: sembra un’osteria del 1900, anche
la macchina del caffè è enorme e in ottone di quelle con gli stantuffi, pure
gli avventori sembrano piovuti da quel secolo.
Nessuno presta la pur minima attenzione al sottoscritto, neppure la lurida ragazza
che è seduta al mio tavolo e che sta con piacere assaporando la sigaretta che
mi ha preso. Vedo un quotidiano piagato su una sedia poco distante, lo prendo
per sfogliarlo.
È scritto in alfabeto cirillico, meravigliato lo riposo, c’è un mazzo di carte,
mi faccio un solitario, poi un altro e questo lo risolvo.
La ragazza seduta ha finito la sigaretta e la spenge dentro la tazza vuota del
mio caffè, estrae un seno dalla scollatura e mi fa – Andiamo? – No, grazie –
Le rispondo, mi alzo, vado al bancone chiedo quanto è, ma il barista mi fissa
senza rispondere, gli lascio allora sul banco un euro e lui guarda la moneta
con interesse, ma non dice niente.
Esco e torno all’auto, inclino i sedili, mi metto un plaid addosso e mi addormento.
Durante la notte qualcuno sbatte con violenza contro la carrozzeria della mia
macchina emettendo un grido, un ubriaco? Ma non riesce a svegliarmi del tutto.
Al mattino riparto e più mi addentro verso il nord, più tutto sembra diverso,
il traffico ora è quasi inesistente, ho incontrato solo un paio di carri trainati
da cavalli, ed anche i pedoni sono rari.
Bar più non se ne vedono, distributori di carburante neppure a parlarne. Ma
ho portato ben due taniche piene di benzina, così mi fermo e realizzo il pieno
con esse. Proseguo senza mai fermarmi per molte ore, poi faccio una sosta in
un’area ove le case sono tutte diroccate, sembra proprio che siano cadute per
incuria.
Lascio sul selciato i miei bisogni, mi sgranchisco le gambe, mangio e bevo qualcosa.
C’è una casa che è proprio rasa al suolo e tra le macerie si scorgono i resti
di una vecchia auto degli anni ’50. Mi avvicino e tra i detriti distinguo delle
bianche ossa che mi sembrano umane, non ho voglia d’indagare su questi aspetti
e proseguo.
I marciapiedi qui hanno molte pietre divelte e sull’asfalto crepato della strada
col gesso vedo disegnati dei giochi di ragazzi: qualcuno allora è stato qui
recentemente.
Mi sento osservato e mi giro verso un muro sbrecciato. Chiunque fosse la dietro,
s’accorge che l’ho visto e fugge veloce. Lo chiamo, ma quell’indistinta figura
è già sparita.
Torno all’auto e proseguo il mio viaggio, guido fino a notte inoltrata, mi fermo
seguendo un cartello che indica PARCHEGGIO: nell’area della sosta ci sono solo
gli scheletri di altre due auto, guardo le targhe, ma sono illeggibili, la ruggine
le ha cancellate.
Le luci sono tutte spente, cespugli sono nati tutt’intorno all’area di parcheggio
ed in alcuni punti sono riusciti a conquistarsi anche fette d’asfalto. Sembra
non esserci anima viva e rottami e fili metallici sono ovunque. La notte però
odo grida, colpi d’arma da fuoco, rumori d’ogni tipo: in piena oscurità un animale
si avvicina all’auto, lo vedo cercar di guardare all’interno, appannare il cristallo
con una bocca canina, gli occhi brillanti, i lunghi bianchi denti e la lingua
gocciolante. Mi faccio piccolo piccolo sotto il plaid: l’animale annusa a lungo
tutta l’auto, poi addenta più volte i pneumatici, e infine se ne va.
Al mattino ho una gomma forata, la cambio e riparto e lungo la strada vedo solo
edifici che sembrano aver subito un bombardamento, parte della carreggiata è
talvolta occupata da masse indefinibili di metallo arrugginito. Macerie, macerie,
solo macerie per chilometri e chilometri, interrotte talvolta da alcuni campi
incolti.
Quando si fa notte qualcosa cambia, ci sono degli edifici abitati ed incontro
dei campi coltivati, ma la strada s’è fatta più stretta ed è sterrata, non più
asfaltata.
Proseguo fin quasi al mattino ed ad un certo punto l’auto si ferma, la benzina
è finita.
Carico allora il cibo, l’acqua e le poche cose indispensabili su uno zaino e
prendo la bici.
Adesso davanti a me c’è un lungo ponte in legno che attraversa un fossato, ma
forse è un fiume, mi accorgo che è molto ampio e le sue acque devono essere
profonde.
Il ponte ha delle spallette, anch’esse in legno, ci appoggio la bici e scendo
verso le acque che scorrono.
- Fossi in te non lo farei!
Mi fermo, mi guardo intorno e scorgo un uomo sul ponte vestito in jeans e camicione
a quadri.
- Scusi, diceva a me?
- Fossi in lei non andrei troppo vicino all’acqua.
- Perché?
- Ci sono le scille!
- Che cosa?
- Le scille!
- Non so cosa siano.
- Guardi allora.
L’uomo si china e da una cesta di vimini trae un pesce e lo lancia in acqua.
Il pesce non fa in tempo a cadere nel fiume che un lungo tentacolo s’alza di
scatto e lo inghiotte.
Il tentacolo poi si mette eretto, dritto verso l’alto e si aprono come dei petali
colorati sulla sua sommità, a raggiera, sì che l’effetto finale è quello d’una
enorme margherita colorata.
- E’ una pianta carnivora?
- No, è un animale, una scilla d’acqua dolce, ed il fiume ne è pieno: per questo
non è saggio avvicinarsi troppo. - Mangiano anche le persone?
- Sì, le trascinano in acqua e le strappano a morsi.
- Non lo sapevo, grazie per avermi avvertito.
Risalgo veloce verso il ponte, voglio calorosamente ringraziare il pescatore
per avermi salvato la vita, ma di lui non v’è traccia, monto allora nuovamente
sulla bici e mi fermo proprio nel mezzo del ponte.
Immobile guardo l’acqua scorrere, per un po’ non succede proprio nulla, poi
lentamente, una ad una le scille emergono, innalzano il loro collo a forma di
stelo ed i mortali petali s’aprono a corona.
Il fiume ora è pieno di grandissimi fiori colorati, solo in apparenza innocui:
ma ogni tanto un fiore silenziosamente e repentino su tuffa per carpire un pesce,
più raramente qualche altro fa un guizzo per prendere al volo con quella bocca
rotonda che è circondata dai petali, qualche ignaro uccello.
Osservo a lungo, non ho mai visto animali del genere, poi ricomincio a pedalare
e mi sposto nuovamente più a nord. Pedalo lungo la dritta strada sterrata e
giungo ad un centro abitato.
Alcuni ragazzi vestiti di stracci mi osservano arrivare e sento i loro occhi
penetranti che seguono ogni mio avanzamento. Ci sono bambini dappertutto e mi
osservano con degli strani occhiali bianchi, non mi vengono incontro, sono quasi
immobili.
Pedalo finchè non vedo quella che mi sembra un’osteria, scendo dalla bici ed
entro: macchine del caffè non ne vedo, ma boccali da birra rovesciati sono accatastati
lungo il bancone.
Dietro c’è una ragazza rossa di capelli e dall’aspetto florido, meno male che
non è lurida e non porta quelli strani occhiali bianchi.
- Una birra.
Lei mi serve un boccale abbastanza grande d’una birra bionda spumeggiante, il
sapore è un po’ aspro, ma gradevole.
Mi siedo su uno sgabello di legno nero e bevo con calma. Mi accendo una sigaretta
e scorgo uno sguardo di disappunto negli occhi dell’ostessa.
Più tardi pago e lei guarda con attenzione le monete che le ho lasciato sul
banco, poi scuote la testa e le ripone in un cassetto sotto il bancone.
Con lo zaino in spalla esco, ma la bici più non c’è. Faccio segno ad un ragazzo
con gli occhiali bianchi, ma quello sparisce, e sono spariti tutti, nella strada
non c’è più nessuno.
Mi sistemo ammodo lo zaino sulle spalle e riparto a piedi nella direzione nord,
la strada non è più sterrata, ma neppure asfaltata, sembra sia stata spennellata
con più strati di silicone. Più vado avanti più le case sono strane, quasi orientaleggianti,
ma con gli angoli smussati, quasi a pianta circolare, non saprei come definirle,
hanno un qualcosa d’inquietante e d’alieno, sono riapparsi anche i marciapiedi,
ma hanno un che di sbagliato.
Incontro anche alcuni passanti, ma i loro sguardi sotto quegli assurdi occhiali
bianchi, sono ambigui ed i loro vestiti troppo stretti e corti: sembra che si
siano tutti abbigliati con i loro abiti da ragazzo.
Alcuni scivolano sulla strada con strani pattini e vanno molto veloci.
Sono tutti in pantaloncini corti o minigonne quasi inesistenti e tutti si muovono
in fretta, alcuni addirittura mi urtano. Le abitazioni sono adesso disegnate
con volute geometriche ed alcune ricordano disegni psichedelici.
Vi sono molti negozi con vetrine illuminate. Mi fermo ad osservare le vetrine
e scorgo esposti oggetti impossibili, le insegne poi sembrano dipinte con volute
colorate.
Eppure sono sicuro che quello è un alfabeto, ma chissà da dove l’hanno preso.
Proseguo ed ora le abitazioni sono proprio tutte a pianta rotonda e gli abitanti
che incontro hanno tutti, proprio tutti, quegli assurdi occhiali con le lenti
bianche.
C’è un giardino pubblico con fiori e panchine: mi fermo.
Sto mangiando dei biscotti e sono seduto su una panchina che pensavo di pietra,
invece è tiepida e soffice, quando un ragazzo si siede accanto a me. È quasi
nudo con quei suoi vestiti striminziti, osservo meglio quei buffi occhiali,
ma solo allora mi accorgo che sono i suoi occhi: ovali, bianchi, piatti, lisci.
Anche lui mi osserva, prima incuriosito, poi quando mi vede alzare di scatto,
s’alza pure lui e mi rivolge alcune parole in un linguaggio gutturale che non
capisco. Allora lui emette un fischio e dopo pochi secondi appare una bellissima
ragazza vestita in nero, anzi molto poco vestita in nero. Il ragazzo se ne va
ed io rimango con questo schianto quasi nuda e vedo che quelli che credevo occhiali,
sono occhi anche per lei.
Con gli stessi versi del ragazzo, che ora è sparito, lei vuol dirmi qualcosa,
le faccio segno che non ho capito nulla e le sorrido.
Anche lei mi sorride e mi fa cenno di seguirla, così dopo una lunga passeggiata
mi ritrovo all’interno d’una casa rotonda e lei mi offre del cibo, poi mi dà
da fumare ed infine mi serve un liquore dal sapore gradevolissimo e leggermente
alcolico.
C’è calore qui, e c’è musica, è strano ma c’è sempre musica. Fuori ora è notte,
ma all’interno c’è luce e non comprendo da dove provenga. Una parete si colora
ed appaiono immagini, è una specie di TV e quello dev’essere l’equivalente del
nostro telegiornale, solo che parlano in una lingua incomprensibile ed hanno
tutti quegli strani occhi piatti, brutti no, ma inquietanti.
Dopo il tg c’è musica ed un programma così strano come non ne ho mai visti.
Mi ritrovo a letto nudo con la padrona di casa e solo allora mi rendo perfettamente
conto che a parte gli occhi e la lingua proprio impossibile, questa è giovane
e molto, molto bella, troppo per me.
Malgrado sia un po’ sull’arrugginito nell’argomento riesco lo stesso a fare
una buona figura, ed io sono il primo ad esserne meravigliato.
Al mattino la colazione è servita, le mie cose che avevo nello zaino sono già
state disposte nella stanza e quella strana TV è già in funzione.
Il caffè è buono, anche se non credo proprio che sia caffè, ed una tazza colma
di cioccolato caldo mi aspetta: sono certo che non si tratta di cioccolato,
ma di qualcosa di altrettanto gradevole.
Sul tavolo c’è un pacchetto di sigarette dall’aspetto alquanto strano: è tutto
azzurro con arabeschi in oro.
Dopo il caffè ed il cioccolato accendo una sigaretta tolta da quel pacchetto
assurdo, l’assaporo, il gusto è lievemente speziato e devo dire che è veramente
ottima.
Forse era questo il posto che ho cercato per tutta la vita: lei mi osserva con
quegli strani occhi, mi prende la mano, la bacia e mi sorride.
Fuori alcuni ragazzi dagli occhi piatti stanno provando la mia bicicletta: cazzo!
ecco dov’era finita! Però me l’hanno riportata.
Vedo che uno di loro già riesce a stare in equilibrio.
Gli sorrido.
È ormai già un bel po’ di tempo che mi trovo in questo luogo, lo so la strada
prosegue ancora verso nord, ma mi è passata la voglia di andare avanti.
Tornare indietro, non se ne parla neppure, non rientrava nei miei programmi.
Comincio ad imparare la loro lingua e qui mi trovo così bene come non sono mai
stato.
La mattina quando mi rado la barba, mi osservo attentamente allo specchio e
sono ringiovanito di diecine d’anni: chissà perché?
La ragazza è sempre così affettuosa con me e non mi lascia mai, sono felice
d’averla incontrata. Mi riempie sempre di piccoli regali, ho imparato anch’io
a scivolare sulla strada con le loro scarpe anti-g che lei ovviamente mi ha
regalato. Anche questo sapone da barba, il rasoio, il dopobarba e la crema da
spalmare sugli occhi sono suoi regali.
La crema da occhi poi è fantastica, i miei occhi ovali bianchi assumono ora
variazioni cromatiche madreperlacee.
Delle volte mi sembra proprio che questo posto sia veramente troppo per me e
mi chiedo: Dove sarà l’imbroglio?