LA CASA NATALE

La Casa-Museo

Presso la casa natale di padre Clemente in via G.M. Ferrario, 58 ad AGRATE BRIANZA, è possibile visitare il piccolo museo che accoglie gli effetti del Servo di Dio padre Clemente Vismara, raccolti e conservati dopo la sua morte dall’allora vescovo di Kengtung mons. Abramo Than.

L’interno della casa è generalmente costituito da strutture e materiali originali; unici rifacimenti sono la parete sinistra entrando ed il pavimento del primo locale. La tinteggiatura si rifà a quella in uso dalla fine dell’ottocento alla metà del novecento. L’arredamento di forme essenziali e colori neutri, esalta attraverso il contrasto le caratteristiche dell’ambiente, non inducendo a fraintendimenti di autenticità e salvaguardando l’atmosfera di semplicità e dignitosa povertà.
La quasi totalità degli elementi esposti provengono direttamente da Mongping. Le modeste dimensioni della casa hanno indotto ad escludere: alcuni indumenti sacri di recente fattura, una essenziale biancheria da letto, che aggiungerebbero ben poco al messaggio dell’esposizione.

Le visite alla casa natale possono essere prenotate al seguente indirizzo:

AMICI DI PADRE CLEMENTE
Piazza s. Eusebio 1
20864 AGRATE BRIANZA (MB)
e-mail: p.clemente.vismara@katamail.com

Le Tappe di una Vita

Per comprendere a fondo la vita di padre Clemente è indispensabile conoscere il contesto in cui egli visse ed operò.
Le vicissitudini familiari, le guerre, gli sconvolgimenti sociali, la miseria, le malattie endemiche e le persecuzioni che fanno da sfondo alla sua esperienza, possono farci avvertire più profondamente la straordinarietà del personaggio.
Sorprendono la sua voglia di vivere e la sua felicità interiore!
Un missionario che condivise la sua esperienza afferma: “Padre Clemente è certamente un santo e un miracolo l’ha già fatto: quello di essere vissuto tanto a lungo in quei luoghi e in quelle situazioni”.

Dal diario al libro

Due testi scolastici (un atlante ed un testo di geografia) e un diario sono le uniche tracce di Clemente ragazzo: testimonianze del suo desiderio di andare lontano i primi, e di spontaneità nella comunicazione il secondo.
Le annotazioni del diario confermano un Clemente vivace, ma sensibile, riflessivo, devoto, già con un cuore aperto ad accettare tutti, in particolare il compagno che gli dava più fastidio o gli era antipatico. Il Clemente adulto non è quindi frutto di improvvisazione, ma il risultato di una costruzione di sé, non senza rinunce ed imposizioni. Le pagine scritte fittamente sembrano preludere alle brillanti raccolte di avventure di missione pubblicate successivamente, di cui la prima edizione de “La perla sono io” è la prova.
L’album fotografico della sorella Mariolina è una dimostrazione di come padre Clemente, pur essendo lontano dalla patria, sia stato sempre presente in modi diversi, sia in famiglia che in Agrate, in Italia e in altre nazioni, grazie ai suoi numerosissimi contatti epistolari (sono state raccolte più di 2.000 lettere) e soprattutto ai suoi articoli e libri.

Il bastone dello spirito

Un bastone d’appoggio, il più raffinato dei tre che ci sono pervenuti, accanto a libri di preghiera, assume un significato più profondo: come il bastone è sostegno al fisico, così la preghiera è sostegno allo spirito.
Il segreto della fortezza di padre Clemente è facilmente racchiuso qui: egli “pregava molto”, amava pregare bene e chiedeva preghiere: “Io attendo da voi un solo aiuto: quello della preghiera”.
Tra i suoi effetti personali non potevano mancare i breviari (edizioni recenti) “che aveva sempre in mano” ed anche due libri di liturgia delle ore.
Padre Clemente recitava anche tanti rosari, per questo accanto ai libri sono stati posti alcuni grani di una sua corona.
Nei libri sono state trovate le immagini commemorative della morte di padre Cesare Colombo, fondatore del lebbrosario di Kengtung e del venticinquesimo di sacerdozio di padre Clemente Apha, uno dei suoi orfanelli.
Accanto a queste immagini ci sono quelle della sua ordinazione sacerdotale in una unica copia, due (faccia e verso) che ricordano il suo rientro ad Agrate, quattro del suo cinquantesimo (una di faccia, le altre con verso scritto in latino, in birmano e a mano, con una dedica in italiano di una persona sconosciuta).

Due missionari in uno

La vetrina è accanto alla gigantografia che presenta padre Clemente seduto in zattera, attaccato al suo fucile: l’immagine più emblematica di lui in piena maturità, che meglio sintetizza l’aspetto anche avventuroso che presenta la vita del missionario.
Egli esercitò due tipi di missionarietà: l’una classica, che lo vede abbandonare la sua terra per portare la luce del Vangelo a gente sconosciuta e di fede diversa; l’altra che lo vede, attraverso i suoi scritti, evangelizzatore dei suoi lettori che pensano di essere cristiani, ma non lo sono fino in fondo.
Il primo tipo è simboleggiato: dalla valigia che fu la compagna del suo primo viaggio; dalla borsa a tracolla tipica delle tribù birmane; dal bastone di legno, simile a quello di un pastore, che certamente adoperò per salire i monti, guadare i fiumi, districare i rami della foresta, per raggiungere il suo gregge. La scelta radicale di essere missionario senza limiti di tempo, lo costrinsero, quando le forze vennero meno, a sostituire il bastone con il treppiedi. L’accostamento dei due sostegni vuole sottolineare la volontà di padre Clemente di essere guida della sua gente fino alla fine.
Il secondo tipo è espresso dalla macchina da scrivere nella quale è inserita una delle tante lettere scritte al gruppo missionario agratese.
Compagno di tanti suoi viaggi è stato il soprabito, lo stesso che indossava per le vie di Agrate nel ‘57 e unico indumento rimasto di padre Clemente.
Suor Battistina Sironi ricordava che alla morte “hanno fatto fatica a trovare vestiti per vestirlo. Lui dava tutto agli altri e nessuno usciva dalla sua casa senza avere in mano qualcosa”.
La stola bianca usata per i battesimi, posta sulla valigia, sta ad indicare la motivazione missionaria: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19).

L'esaltazione della Povertá

L’uomo d’oggi ama possedere e viene valutato per ciò che ha; in questa vetrina è esaltato il non avere, la povertà, la più assoluta: una riflessione per noi che pretendiamo tutto.
Le poche cose presenti sono quanto era ritenuto di proprietà di padre Clemente: una lampada, un pentolino con coperchio, un piccolo vaso d’ottone, un barattolo per caffè, un bicchiere, delle posate. Possiamo aggiungere il pendolo appeso in mezzo alla parete.

Affetti e Interessi

Che padre Clemente fosse uno dolce di cuore lo riconosceva lui stesso quando affermava di avere “un cuore di merlo” e che sapesse amare coi fatti e non con le parole lo conferma la sua vita dedicata agli orfani, alle vedove, ai poveri e ai derelitti.
Il suo cuore però batteva anche per la sua patria, per la cui unità fu in prima linea nella guerra del 1915/18 meritandosi delle medaglie e una croce di guerra custodite sempre orgogliosamente e ostentate in alcune fotografie.
La ciotola di terra della Birmania esprime l’amore per questa nazione nella quale impegnò l’intera sua esistenza, promuovendo la crescita civile e morale della popolazione e insegnando i valori della fraternità cristiana.
Padre Clemente amava il suo nome tanto che spesso lo imponeva a tanti battezzandi, ma doveva avere anche una particolare devozione per il suo santo protettore papa e martire (compatrono della parrocchia di Agrate) del quale conservava la reliquia esposta.
Preziosa ai nostri occhi, accanto alla reliquia di san Clemente, è la barba di padre Clemente recisa da mons. Abramo Than, prima che il nostro missionario fosse sepolto.
Il gesto del vescovo è rivelatore dell’intima considerazione che egli nutriva per il decano dei suoi sacerdoti e oggi può essere letto come il primo autentico atto di devozione.
Una lettera autografa al parroco don Nemesio Farina e alla comunità agratese e un vecchio calamaio con tracce di cera di candele che confermano l’abitudine di scrivere di notte, dopo aver adempiuto al suo lavoro giornaliero, testimoniano la passione di Clemente per la scrittura. L’impegno di dedicarsi alla redazione di articoli, su suggerimento del suo superiore, divenne il mezzo per procurarsi denaro per il mantenimento della missione.
La sua passione per la pittura, testimoniata dal quadro esposto, è per noi una sorpresa. Che padre Clemente avesse attitudini artistiche è cosa credibile, perché questo talento è presente nella sua famiglia e le chiese da lui progettate dimostrano un gusto ben definito.

Sacerdote per amare

Tra le ultime due vetrine giganteggia il volto di padre Clemente dalla ridente espressione paterna.
Prima di essere missionario, padre Clemente scelse di essere sacerdote (frequentò il seminario diocesano).
Il sacerdote è colui che fa rivivere Cristo nella Messa, per questo sono esposti i paramenti sacri usati da padre Clemente per tale celebrazione.
Il camice della sua prima Messa, è particolare sia per il tessuto che per il pizzo fatto a mano. Di pregiata fattura, porta ancora le etichette con le lettere iniziali del nome e numero di riconoscimento (13).
La pianeta e la stola rosse della foggia in uso prima del Concilio, recano i segni del tempo e dell’usura. Sotto il camice, nella zona del collo, è visibile l’amitto; il cingolo bianco è posto in basso, sulla sinistra.
Il sacerdote è colui che dona la grazia della rigenerazione e del perdono, per questo in basso a destra è posta una stola bicolore: bianca per cerimonie quali il battesimo, l’amministrazione dell’Eucaristia; viola per la confessione e le cerimonie penitenziali.
Vivere il sacerdozio, vivere Cristo è stato il senso della vita di padre Clemente: come Cristo si dona, egli si è donato; come Cristo perdona, egli ha compreso, amato e perdonato nel suo nome.

Il Centro della Vita

Un sacerdote non ha senso senza l’Eucaristia; l’ultima vetrina è perciò riservata al calice e alla patena: oggetti che servono nella consacrazione del pane e del vino.
L’Eucaristia è il fulcro della vita del sacerdote, da cui trae la fede, la forza, il coraggio per proseguire nella sua difficile scelta; è il riferimento di ogni sua giornata, è il riferimento per tutti i fedeli.
Quando le suore di Mongping si chiedevano dove fosse padre Clemente “eccolo là, era in chiesa” davanti all’Eucaristia; “andava in chiesa alle quattro” e “andava ancora in chiesa sette volte al giorno”.
Il velo copri-calice rosso è ricordo del rito della Messa prima del Concilio Vaticano II.
Accanto alla patena un ferma-particola ci riporta alle tante volte in cui padre Clemente celebrava all’aperto in uno slargo della foresta o in alto sulle montagne nel tempio immenso della natura, perché “tutto il creato deve potere assistere e vedere il Sacrificio divino, gli uomini, gli uccelli, gli insetti, i monti, i fiumi, nessuno, nessuno escluso: quando un sacerdote celebra deve regnare il silenzio, è permesso solo il mormorio del ruscello, il sommesso sibilar delle foglie; e l’uomo, il re della natura, zitto e pensoso, sta a capo chino davanti al suo Dio”.