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Capitolo quarto : Berzo tra Ottocento e Novecento
 
 

 

1- L'epoca napoleonica e la fine della vicinia

L'età contemporanea, a partire dal 1797, con il passaggio della Valcamonica al dominio francese, è un periodo altamente drammatico per la vita delle comunità. Non solo per gli avvenimenti storici che hanno sconvolto la vita di intere generazioni, quali le guerre, le emigrazioni, le lotte tra fazioni, ma soprattutto perché, in questi due secoli, si è scossa dalle fondamenta l'idea stessa di comunità. Già a partire dalla seconda metà del Settecento, come abbiamo dimostrato precedentemente, il tentativo delle grandi famiglie camune è quello di accaparrarsi la cosa pubblica per interessi privati. Non si trattava solo del rubare normale, proprio della repubblica veneta. Era il ribaltamento della concezione che per più di settecento anni avena animato lo spirito viciniale. La struttura su cui si basava la vicinia, l'assemblea, doveva essere distrutta. I beni comuni, che davano ricchezza al comune, dovevano essere venduti ai privati. Nel ragionamento entravano anche considerazioni proprie dell'industrialismo incipiente, il cui principale esponente era Lodovico Capoferri. I vincoli che le comunità mettevano agli usi dei boschi, egli diceva, impedivano di utilizzare l'energia che proveniva dal carbone nella fusione dei metalli, per cui non poteva esserci decollo industriale. Era necessario togliere le vicinie, le quali avevano una concezione arretrata dell'economia, volta alla conservazione piuttosto che allo sviluppo. Accanto a un ridimensionamento della vicinia sul piano economico si chiedeva la sua abolizione in favore dei più saggi. Le assemblee erano troppo farraginose, parlavano persone non preparate, i migliori venivano emarginati. Nella seconda metà del secolo, col favore di Venezia, si cercò di cambiare la struttura della vicinia. Le assemblee generali furono diradate, l'organo di governo venne fatto durare più a lungo, le figure giuridiche vennero ridotte. Tuttavia la Serenissima non se la sentiva di abolire le vicinie. L'occasione opportuna giunse con l'arrivo delle truppe francesi. In primo luogo furono venduti i beni viciniali. Naturalmente, come succede ogni volta che si butta sul mercato un quantità enorme di immobili, i prezzi crollarono, per cui i territori furono acquistati a poco prezzo, proprio da coloro che aspettavano appena la fine della vicinia. Passati alcuni anni, nel 1806, furono abolite tutte le assemblee e si instaurò il comune moderno. La forma nuova di comune non aveva nulla a che fare con l'antica. I partecipanti erano solo i possidenti. Nella vicinia vi erano due forme di proprietà: quella privata e quella collettiva. Non tutti avevano beni propri, ma tutti, in quanto partecipi della comunità, possedevano i beni della vicinia. Per cui non vi era nessuno che non fosse proprietario. Aboliti i possedimenti comuni, si creò una schiera di nullatenenti e un piccolo gruppo di ricchi che gestiva la cosa pubblica. Nello stesso tempo il comune fu collegato con il ministero dell'interno e fu considerato l'appendice dello stato. Esso perse la possibilità di legiferare, fu fatta una legge uguale per tutti i comuni d'Italia e il sindaco divenne un funzionario statale. Tale situazione continuò anche per il secolo seguente e solo negli ultimi tempi si è avvertita la necessità di ridare ai comuni la loro autonomia. I due secoli che stiamo studiano sono da considerarsi una parentesi, in quanto la volontà di distruggere la vicinia, ispirata da una mentalità che vede la persona chiusa in se stessa e senza contatti con gli altri, unicamente tesa a raggiungere i propri interessi, si è dimostrata incapace di gestire una società moderna. Una struttura comunale totalmente responsabile nel territorio e aperta alla collaborazione è l'unica che può dare un futuro all'Europa. Sebbene i camuni avessero avvertito il problema del cambiamento di regime, con l'arrivo dei francesi, nel 1797, non si resero conto immediatamente del diluvio che esso comportava. Nella chiesa di S. Maria a Berzo vi è quadro dell'Albrici, rappresentante proprio. il diluvio universale. Esso è stato dipinto qualche anno prima, ma ha un messaggio premonitore di quello che sarebbe avvenuto alla fine del secolo. Il problema, che subito divenne angoscioso, fu la vendita dei beni comunali. La questione attraversò tutto l'ottocento e giunse fino agli anni trenta del Novecento, quando si raggiunse una qualche forma di accordo. Sotto i diversi regimi, napoleonico, austriaco, italiano, fascista, il comune di Berzo e gli antichi originari non cessarono di rivendicare i loro diritti. […] La sistemazione della questione patrimoniale non risolveva il problema di fondo della realtà comuniaria: il rapporto tra i singoli cittadini e il proprio territorio. Quella che era venuta meno era la responsabilità per la propria terra.

 
 

 

2- Berzo tra Ottocento e Novecento

L'area della Valgrigna restò, durante tutta l'epoca contemporanea, una zona di confine e quindi di passaggio di truppe che, attraverso il passo di Crocedomini, raggiungevano la Valcamonica. Nel periodo napoleonico il confine con l'Austria fu teatro di movimenti di truppe e rifiorì il banditismo dei secoli precedenti. Con le guerre d'indipendenza l'area divenne il confine con l'Austria fino al 1918. Per il periodo napoleonico non ricorrono episodi particolari. […] Per quanto riguarda la vita amministrativa di Berzo, il dramma si aggravò quando essa, come numerose altre comunità camune, fu unita al comune di Bienno. La perdita della propria autonomia fu considerata una ferita insanabile. […] La storia non si esaurirà qui. Con la costituzione del 1948 i diritti della comunità furono ristabiliti. La vita democratica riprese regolarmente. Nello stesso tempo il paese conobbe un grande sviluppo industriale. La ripresa dell'attività economica sconfisse la povertà che, per un secolo, aveva tolto alla popolazione la sua libertà di fatto. Naturalmente una vera autonomia, quale sarebbe richiesta da un buon funzionamento dello stato, non è stata ancora realizzata. La sfida del nuovo secolo e del nuovo millennio è proprio quella di costruire, dopo la crisi profonda degli ultimi due secoli, un nuovo patto tra tutti i cittadini, fondato sulla responsabilità verso la propria terra.

 
 

 

 
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