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Capitolo terzo : Il dibattito religioso a Berzo durante l'età moderna
 
 

 

1- L'esperienza della vicinanza

Il presentarsi di nuovi soggetti nella società camuna, a partire dal sedicesimo secolo, ebbe come effetto di mutare le espressioni religiose tradizionali. Tale mutamento divenne poi visibile nel XVII secolo con il trasferimento della parrocchiale dalla chiesa di S. Lorenzo a quella di S. Maria. Rispetto alla religiosità precedente, quella nuova si esprime mediante un concetto molto ben conosciuto nella politica camuna del tempo, l'essere vicini. La vicinia, supremo organo di gestione della comunità, si chiamava così perché riuniva coloro che erano vicini. Tale dato di fatto, il vivere nello stesso villaggio, era orinai realizzato completamente agli inizi dell'epoca moderna, ma era frutto di un processo durato millenni. I primi abitatori vivevano in gruppi, separati l'uno dall'altro, in piccole radure della Valle; solo a poco alla volta i singoli gruppi si riunirono a formare una comunità di ceppi famigliari distinti. Anche se i cognomi erano pochi, veniva sempre sottolineata la diversità dei diversi aggregati. Nella decisione di rinunciare a parte della propria indipendenza per formare una comunità, vi fu certamente un tornaconto immediato, dovuto agli scambi che diventavano più intensi, ma non sarebbe stato possibile vivere insieme, se non ci fosse stata un alleanza dei diversi gruppi, i quali rinunciavano a farsi la guerra l'un l'altro e decideranno di vivere in pace. Nella Valgrigna sono rimaste tracce di questo processo. A Berzo nel Seicento è ricordata una contrada de' Frigna. Il nome ricorre in Liguria, dove, in epoca romana, abitano i Friniates, mentre nel medioevo si forma la comunità del Frignano. Il nome deriva da una radice sanscrita preic, in gotico, frij-on, verbo col significato di amare. A Prestine, fino al 1500, esisteva un famiglia Amati, un ramo della quale si recò a Cremona e fu all'origine della famiglia dei grandi liutai. Lo stare insieme, basato sull'alleanza, è possibile solo se i singoli gruppi hanno una reciproca stima. Per capire il significato di quanto detto, basta pensare a come ogni abitante del paese si sente onorato di appartenere alla propria comunità. Il desiderio di conoscere la propria storia, di ricostruire le vicende della propria famiglia, la ricerca delle origini lontane sono i segni dell'amore per la propria comunità, che dette origine al villaggio. La passione con cui i vicini partecipavano alle assemblee della vicinia, fino al suo scioglimento, nel 1806, è una testimonianza della profondità di questo sentimento. Tale aspirazione, in epoca moderna, si trasferì anche all'esperienza religiosa. Rispetto alla religiosità inquieta e penitenziale del medioevo, la religione cercò, nell'epoca moderna, di avvicinarsi di più alla persona. La riforma cattolica e protestante sono il tentativo di avvicinare Dio al credente. L'esperienza di Lutero si può tradurre: Gesù Cristo è venuto per me. Il Concilio di Trento, promovendo la formazione cristiana, la presenza costante nella comunità del personale religioso, ricercava una vicinanza maggiore della religione alla società. Queste esigenze trovavano ascolto nelle valli alpine, dove le forme di vicinanza erano ormai attive da secoli. I primi tre secoli della nuova età sono la dimostrazione della coincidenza della visione della Chiesa, preoccupata di star vicino al popolo e della struttura politica che perseguiva lo stesso ideale. Non sarebbe stato possibile la fioritura della scultura e della pittura nelle chiese alpine, se non si fosse trovato un punto di vista comune. La realizzazione concreta di questa visione, naturalmente, si estese nel tempo e trovò nei diversi luoghi espressioni diverse. A Berzo è possibile seguire i passaggi di questa nuova concezione religiosa. Essa si manifestò con maggiore chiarezza agli inizi del Seicento. Sebbene il Concilio di Trento fosse ormai finito da alcuni decenni e la visita di Carlo Borromeo avesse portato in Valle i principi della nuova religiosità, non mancarono resistenze ad accettare nuove forme di pietà. La testimonianza più interessante è il processo sulla opportunità della messa quotidiana ad un orario adatto al pubblico. La discussione era cominciata a proposito di un lascito di Angelica Morandi, sposata con Agostino Francesconi di Bienno, a proposito della celebrazione della messa. In realtà in tutta la vicenda entrano in gioco anche elementi famigliari ed economici, ma tutto questo la rende maggiormente realistica. […]

 
 

 

2- La Chiesa di Santa Maria, espressione della nuova religiosità

Come era già venuto altre due volte nella storia precedente, il rinnovamento, instauratosi con la Controriforma, esigeva un nuovo tempio. Se si analizza la vicenda a partire dai suoi inizi, il motivo della scelta nasceva dall'esigenza che la chiesa fosse vicina al paese. In realtà esisteva già una chiesetta dedicata alla Vergine, dotata di bellissimi affreschi del Quattrocento, ma il comune volle sostituirla con una nuova costruzione: La comunità di Berzo decretò che fosse costruita una nuova chiesa nella stessa terra sotto il titolo di Santa Maria e il primo marzo 1617 comprò il fondo. Un poco alla volta la chiesa fu costruita con i capitali contratti e, in parte, con il lavoro degli abitanti e anche per le elemosine. Mentre la stessa chiesa era costruita, nell'anno 1627fu dotata di una cappellania perpetua, secondo la scrittura pubblica. La comunità ha un'altra chiesa antichissima, ma un po' distante dal paese. Per istanza ed istigazione dell'attuale rettore, il 28 settembre 1633, decretò che la cura delle anime fosse trasferita in detta chiesa a maggiore comodità del popolo. Il popolo, una volta sentito tale decreto, si riunì e deliberò di opporsi sia per motivo di affetto per la vecchia chiesa, nel cui cimitero sono conservati gli antenati, sia perché temeva che si potesse portare pregiudizio alla nuova chiesa, pretendendo di avere diritto e ragione sulla stessa costruzione e dotazione, che fu sempre retta e governata da persone a ciò destinate, con qualche partecipazione del rettore per quanto riguarda le elemosine. Perciò la comunità ricorse all'ordinario e chiese la revoca del decreto, ma i vicini non furono esauditi, anzi l'ordinario persistette nel mantenere il decreto e scagliò l'interdetto contro la chiesa parrocchiale. La comunità, tuttavia, rimanendo nella sua opinione, essendovi l'interdetto e vedendo che l'ordinario persisteva nel non volere abolire il decreto, ricorse all'ufficio dell'avvocatura laicale di Venezia, alla quale chiesero un ordine e mandato per i rettori di Brescia, affinché il rettore non introducesse novità e conservasse le antiche consuetudini e costumi. E, oltre alla abolizione dell'interdetto, chiesero che fosse ordinato al reverendo dai detti rettori di non ingerirsi per nulla nella chiesa. Dopo queste cose, il 12 giugno 1639 fu tolto dall'ordinario il decreto e tutto fu ristabilto nello stato precedente.[…]

 
 

 

3- L'esperienza personale della vicinanza

L'aspetto innovativo della religiosità postridentina si misurava, in ambito pubblico, con il conflitto che ha attraversato tutto il secondo millennio dell'era cristiana: la tensione tra autorità ecclesiastica e civile. Nel momento della edificazione della chiesa di S. Maria esso esplode, senza trovare un compromesso. Tuttavia, al di là delle istituzioni, la vicinanza con Dio è soprattutto una questione personale. Nel Seicento si segui la via del dialogo diretto con il sacro. A Berzo abbiamo una occasione privilegiata per valutare questo cammino: l'apparizione della Vergine a Marta Polentini, moglie di Tomaso Damioli, detto Tabachini. […] L'incertezza storica sui protagonisti è alimentata dal fatto che le prime notizie dell'apparizione provengono da un processo del 1676, cinquant'anni dopo gli avvenimenti. Le testimonianze presentano l'apparizione secondo il noto cliché: penitenza e necessità di fabbricare la chiesa, anche se la decisione di costruirla viene fatta risalire addirittura al 1576. Lorenzo Coletto, testimone oculare, afferma: Interrogato che cosa sappia circa l'Apparitione della Beata Vergine Maria a Marta Polentina, rispose: Io mi trovavo presente, che ero andato a sonare l'Ave Maria del mezzogiorno, in compagnia di Antonio, figlio di Giacomo Cominelli, quando Marta di Thomas Polentini venne alla chiesetta e che nell'entrare per ricevere l'acqua benedetta si credeva che sentiva opposizione et contrasto, che tuttavia giunse a riceverla, e postasi a far oratione per qualche momento, noi, aspettando che potesse fare qualche movimento, cosa che era di suo uso, perché inspiritata, ma fatta breve oratione, volendo uscire di chiesa la osservassimo noi due e nel rivolgersi per andarsene, dimandò a noi due se l'avessimo chiamata, alla quale rispondevo di no e, dopo pochi istanti, tornò a domandare se l'avessimo chiamata, all quale rispondemmo di no e poco doppo si voltò e ritornò alla chiesetta et noi andammo; nel qualtempo, si stima che gli apparve la Madonna. Il Coletti sottolinea la chiamata diretta di Marta e poi aggiunge che solo dopo alcuni giorni il parroco gli riferì l'ordine, dato a Marta, di fabbricare la chiesa. Egli non accenna alla penitenza. Tutti i testimoni insistono nel dire che Marta era inspirata. Dopo l'apparizione si sottolinea la sua guarigione. Mancano nel racconto dei particolari circa la scena dell'apparizione. La ricostruzione storica si svolse davanti all'affresco di Maria, immagine che non è stata conservata e quindi non fu ritenuta, in sé, miracolosa. L'apparizione consiste essenzialmente in una chiamata di Marta da parte della Vergine e nella sua guarigione. L'aspetto nuovo di questa apparizione sta proprio nel particolare della chiamata. Un altro testimone sostiene che fu chiamata con il cognome di maritata. Il fatto manifesta una espressione di famigliarità tra la Vergine e la donna. Maria non è più vista come la signora feudale, ma è sentita nella sua vicinanza con la persona credente. L'essere chiamati per nome da una personalità così importante come la Vergine, denota una vicinanza straordinaria, prima inaudita. Il rapporto diretto tra la realtà sacra e il singolo fedele è nuovo, nella spiritualità cattolica, che, precedentemente, vedeva la salvezza realizzata nell'inserimento dei cristiani in confraternita, come quella dei disciplini. Una vicenda altrettanto insolita è avvenuta un secolo dopo, intorno al 1750. Sebbene sia stata dimenticata, essa è documentata abbondantemente nei documenti parrocchiali. Si tratta del miracolo che avveniva davanti alla Madonna per i bambini morti senza battesimo. L'episodio è esposto nel libro dei battesimi: Adi 7 novembre 1755: Un infante morto, figlio di Gio Antonio Fontana, e di Maria, sua legittima consorte, ambi del Castello di Rogno, ieri mattina presentato avanti questa miracolosa immagine e, in questa sera, alle hore 22 incirca, diede segni di vita, movendo un dito della mano destra e tre dita della mano sinistra, come attestano i delegati a tale assistenza, a questo segno li amministrò il santo battesimo Valentino Testa, uno de delegati. Dopo poi il segno col sono delle campane, s'è adunato il popolo e col canto delle litanie in ringraziamento. In questa sera furonle fatte da me, Bortolo Bonafini, coadiutore, l'essequie. Il cadavere fu deposto nella comune de'vergini. […]

 
 

 

4- Giovanni Scalvinoni e la sua famigliarità con Dio

In questo lavoro vogliamo considerare Giovanni Scalvinoni alla luce della storia di Berzo. Il comune possiede l'atto di seppellimento: esso dimostra che Giovanni Scalvinoni fu riportato nella propria comunità. […] L'esperienza umana dello Scalvinoni riassume un po' il cammino spirituale di Berzo. La sua prima esperienza di religioso si realizzò a Cevo. Egli venne a contatto con l'autorità civile ed ecclesiastica, in conflitto continuo a causa del potere temporale della Chiesa. A livello locale le assemblee viciniali erano state smantellate, ma il desiderio di ripresa era ancora forte. Il parroco diventava una controparte rispetto al paese e, in tal modo, si instaurava una contrapposizione, che impediva di rendere la religione vicina al singolo credente. Dopo la sua breve presenza al Seminario di Brescia, egli ritornò a Berzo e cominciò a fare scuola ai ragazzi del paese. L'insegnamento era un modo di rispondere a una richiesta di imparare, allorché le antiche professioni artigianali stavano per finire. Il maestro era una antica figura della tradizione delle confraternite che non insegnava tanto delle dottrine nuove, ma piuttosto attuava la regola nella vita. Un tale compito non avrà dovuto dispiacere a d. Giovanni, che dava sempre prova di vivere personalmente quello che diceva. E' anche vero che i suoi piccoli allievi, abituati ad essere dei bravi artigiani, più attenti alla attività manuale che a quella intellettuale, difficilmente potevano capire la spinta ideale di un tale maestro. Tra docente e discepolo si instaurava un implicito conflitto: tra il primo, che sapeva, e il secondo, che non sapeva, tra chi possedeva la scienza e chi non la possedeva. Ciò si traduceva in una reale difficoltà di comunicazione. Nella scuola ottocentesca, come in tutta l'esperienza educativa antica, il timore era l'atteggiamento che gli alunni dovevano coltivare per i loro maestri. Esisteva certo una familiarità, dovuta al trascorrere delle ore di insegnamento, tuttavia il pessimismo era la visione predominante in Valcamonica, alla fine dell'Ottocento, con l'accentuazione delle situazioni di povertà e di emarginazione. Giovanni Scalvinoni decise di entrare nel convento dell'Annunciata di Piancogno. Il modello francescano aveva subito delle trasformazioni durante i secoli, tuttavia la figura di Francesco aveva un particolare fascino presso i cristiani di tutti i tempi. Nella pietà camuna l'immagine più diffusa di Francesco è la donazione delle stigmate da parte del serafino crocifisso. Nella vicenda storica di Francesco essa ha un significato particolare: egli segue la strada non più della organizzazione, ma diventa egli stesso icona del crocefisso. Questo essere in sé immagine, senza preoccupazione di difendere posizioni di crociata, ma diventando trasparenti all'azione di Dio, è il punto di arrivo del beato Innocenzo e la ragione della sua scelta. Piuttosto che aiutare i poveri, era lui povero, piuttosto che fondare apparati, egli incontrava le comunità, che si erano impoverite nella seconda metà dell'Ottocento e offriva ad esse un esempio di serenità, di collaborazione e di fraternità. Dal Cinquecento il cristianesimo era giustamente angustiato dal problema della vicinanza, ma il suo tentativo si scontrava con una serie di istituzioni che anch'esse proclamavano la vicinanza e aiutavano la comunità a superare le difficoltà ordinarie ed eccezionali della vita. Abbiamo visto come a Berzo il problema fosse affrontato con impegno. Il conflitto tra poteri appariva paradossale, perché tutti volevano lo stesso risultato. La risposta del beato Innocenzo è che la vicinanza deve essere vissuta, non ponendosi sul piano del potere, ma su quello della fraternità. La vera vicinanza è possibile solo se la solidarietà è al di là del tornaconto personale. Solo se se mi sarò fatto vicino, senza ambizioni, potrò ritrovare per sempre me stesso negli altri.

 
 

 

 
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