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Ricerca storica : Dal volumetto di Don Alessandro Sina |
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Prima dell'apparizione. L'ambiente
Nel 1599 era stato eletto a parroco di Berzo il rev. Donato Mazzoli, Dottore in Teologia, e da parecchi anni Canonico di Cividate. Egli apparteneva ad una delle più distinte famiglie di Bienno, la quale nel corso di un secolo, da quando cioè si era quivi trapiantata proveniente da Astrio, esercitando l'industria del ferro aveva saputo accumulare una discreta ricchezza ed una posizione di primo piano in Bienno e nelle vicinanze. Il rev. Mazzoli era versatissimo nelle scienze sacre ed al sapere univa un grande zelo per il bene delle anime, per le opere di culto come per tuttociò che ridondava a vantaggio della sua parrocchia e dei suoi parrocchiani. Che fosse egli uno dei sacerdoti più distinti tra il clero locale di allora lo dimostra il fatto che alla morte del rev. Goffredo Federici Arciprete e Vicario Foraneo il Vescovo Marin Giorgi, avendo separato da Cividate le parrocchie della conca del Grigna, nominò Vicario Foranco di esse il rev. Mazzoli di Berzo. Tale era la fiducia e la stima che il Vescovo aveva di lui, che non di rado ebbe ad affidargli degli incarichi particolari. Il che ci è dato sospettare anche dal titolo di "maggiordomo di S. Eccellenza" che troviamo in una nota che lo riguarda, esistente nell'archivio parrocchiale di Rogno. Quando egli prese possesso della parrocchia di Berzo, vi trovò due cose specialmente che domandavano una soluzione conveniente ed anche urgente. La casa del beneficio era inadeguata, avendo solo "tre involti e due camere cum una schola solerata, stalla et teblato cum unom torculo cooperto... palearum". Affrontò senz'altro il problema, e un po' col suo denaro, parte con quello del beneficio e con l'aiuto del Comune, in pochi anni seppe dare alla parrocchia di Berzo una abitazione comoda e spaziosa quale pur oggi si può vedere. L'altro era di più difficile attuazione, ma per questo non ristette dal tentarne la soluzione. La chiesa parrocchiale di Berzo, posta in alto sopra il colle sovrastante il villaggio a cui si giungeva per due straducole impervie e disagevoli, era frequentata nei giorni di festa, ma da pochissimi parrocchiani nei giorni feriali, e come era incomoda per i fedeli lo era anche per il parroco e per gli altri sacerdoti. Perchè la pietà fosse meglio alimentata e la vita cristiana fosse più curata, si sentiva la necessità di avere vicino o nell'abitato stesso una chiesa in cui i fedeli potessero adire con maggiore facilità, sia per assistere quotidianamente alla S. Messa come per potersi accostare con più frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione. Perciò il nuovo parroco fin dai primi anni del suo ministero lanciò l'idea della erezione di una chiesa in onore della Beata Vergine. La proposta piacque e fu accolta in pubblica Vicinia, nella quale si deliberò di costruirla nel fondo detto la Mora, che era a lato della casa parrocchiale e confinava con la piazza del Comune. Dopo aver dato l'incarico ad un architetto della città di Brescia, del quale non conosciamo il nome, nel 1609 si diè principio ai lavori col preparare il materiale da costruzione, ingaggiando anche degli scalpellini per tagliare i massi di granito come per lavorarli. Ma passato questo primo fervore la buona volontà si andò affievolendo e l'opera intrapresa con tanto entusiasmo dopo poco tempo cessò, tanto che fino al 1616 non se ne fece più nulla e cioè fino a quando un fatto straordinario non venne a risvegliare la popolazione, che sembrava di avere dimenticato la promessa fatta nel 1609.
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L'apparizione della Madonna
Vicino alla piazza del Comune si trovava una chiesetta, o meglio Oratorio dedicato a Maria Vergine e che la comunità di Berzo aveva eretto, o ricostruito, verso la fine del secolo XV. Sul davanti era chiusa da una cancellata di ferro ed aveva il pavimento di pietra. Sulla parete dietro l'altare vi era dipinta la Beata Vergine in trono col S. Bambino sulle ginocchia fiancheggiata da S. Lorenzo e da S. Glisente; così altre pitture adornavano le pareti. A fianco vi era il campanile con una campana che veniva suonata per dare i segni dell'Angelus come per convocare la Vicinia o per dare l'allarme in pericolo di incendio. Era quindi di piccole dimensioni, tali, come scrisse un contemporaneo, che, "non capiebat neque duodecimam partem quem occupat ecclesia moderna". Si era nell'anno 1616, ed in Berzo viveva una "buona donna e di ottima condizione" di nome Marta Damioli, maritata ad un certo Tommaso Polentini. Costei aveva trascorso la sua vita nel lavoro, nella tranquillità e nella pace, fino all'anno 1615, quando improvvisamente fu colta da una brutta malattia. Incominciò a smaniare e a non avere più pace, ed ogni qualvolta si portava alla chiesa durante le sacre funzioni dava in ismanie, si contorceva tutta, e si era costretti tante volte a portarla fuori; per cui essa credette, come il resto della popolazione, di essere posseduta dal demonio; e in questo stato doloroso trascorse parecchi mesi. Furono dai famigliari e dai fedeli fatte preghiere perchè il Signore avesse pietà della medesima, ed essa più di ogni altro nei momenti di lucido intervallo e quando non era tormentata dal male, moltiplicava le preghiere, gli esercizi devoti alla Beata Vergine perchè le ottenesse dal Cielo di essere liberata da tanto tormento. Ma il male non la lasciava. Un giorno, era il 24 settembre 1616, verso mezzodì essa nel recarsi ad un suo campo per attendere ad alcuni lavori agricoli passando vicino alla chiesetta della Beata Vergine udì distintamente e ripetutamente una voce che la chiamava: Marta! Marta! Si guardò attorno, ma non vide alcuno. Riprese il cammino e passando vicino al cancello dell'Oratorio invece della solita ripulsione si senti come attratta ad entrarvi. Difatti vi entrò e messasi ginocchioni ai piedi dell'altare con grande fervore incominciò a pregare la Beata Vergine perchè le ottenesse la guarigione e la liberasse dal male che tanto la desolava. Mentre essa stava con lo sguardo fisso nell'immagine della Beata Vergine dipinta dietro l'altare, ecco che a lato di esso, librata in aria, le apparve la Vergine Santissima avvolta in un manto di color cenerino, la quale con volto mesto, ma soave, così le parlò: Marta, la tua preghiera è stata accolta ed esaudita; tu guarirai; però dirai da parte mia ai reggitori del Comune che più non abbiano ad indugiare nell'erigere in questo luogo la mia chiesa. A queste parole la Beata Vergine ne aggiunse altre che solo al rev. parroco e ai Reggenti dovevano essere confidate. Detto ciò la Beata Vergine sparì e la Damioli da quel momento si senti completamente guarita. Questo in breve il fatto dell'apparizione. Ricevuto il messaggio Marta si affrettò a manifestarlo al Rev. Parroco. Ma questi da principio benchè non avesse motivo di dubitare, non prestò molta fede ad essa, tanto più che il fatto lo costringeva a rinunciare all'accarezzato progetto, e dalla Comunità accolto, di vedere sorgere a fianco della sua casa il vagheggiato santuario. Ma poi prudente com'era e non trovando motivi seri per opporsi al divulgarsi dell'avvenimento, ne informò il Vescovo, il quale incaricò il parroco stesso di indagare e di riferire. Infatti quindici giorni dopo il fatto dell'apparizione il parroco istitui un processetto, chiamando a deporre persone del paese, tra cui due giovanotti che dopo aver suonato la campana dell'Angelus del mezzogiorno avevano veduto la Marta ad entrare nell'Oratorio. Il parroco mandò al Superiore l'esito dell'inchiesta, letta la quale Mons. Giorgi comandò che la miracolata venisse condotta a Brescia per essere direttamente interrogata ed esaminata. Marta ubbidì prontamente e la comunità stessa che per suo conto era più che convinta del prodigio avvenuto volle facilitare il viaggio alla fortunata e nel mese di novembre gratificò di "un berlingotto Tomàs Polentì per far condur sua moier a Bressa dalli Superiori". Ci è ignoto l'esito dell'esame a cui la miracolata fu sottoposta. Ci è noto invece che essa fece ritorno a Berzo e vi dimorò ancora per parecchi anni. Il fatto della Apparizione e della istantanea guarigione, nonchè la notizia che molte altre grazie si andavano ottenendo all'Oratorio ove era apparsa la Beata Vergine, sempre più si andava diffondendo in Valle e altrove e ormai non vi era alcuno che non vi prestasse fede. Intanto anche la Damioli, come sempre in simili casi, era diventata oggetto di curiosità ed in certo qual modo di venerazione. Onde per impedire che potessero prodursi dei disordini si pensò di allontanarla definitivamente dal paese, e di collocarla presso una sua sorella che abitava in città. Qui in via Grazie essa rimase fino alla sua morte nel nascondimento e nell'urmiltà. Così sempre avviene nell'economia divina, Iddio si serve sempre dell'anime semplici per compiere i suoi celesti disegni, le quali poi dopo l'avvenimeto passano nell'ombra, quasi spariscono. Così i pastorelli fortunati dell'apparizione di La Salette, così a Caravaggio; in tal guisa doveva avvenire per la contadina di Berzo. Mentre a Berzo il culto della Beata Vergine va aumentando con nuove grazie che si ottengono per la intercessione della Beata Vergine, la Damioli quasi sparisce dalla scena del mondo. Prima però di abbandonare la patria dietro preghiera dei devoti e di tutta la comunità, essa volle lasciare un ricordo dell'avvenimento. Questa è la tabella votiva stillata senza dubbio dal parroco stesso che la fece appendere all'altare della Beata Vergine e che suona così: "Jesus Maria. Io Marta di Tomaso Polentini di questa terra di Bertio essendo stata vessata alquanti mesi da spiriti maligni, dopo diverse divotioni e voti alla Beatissima Vergine Maria; passando il sabato delli tempori dell'autunno 1616 adì 24 settembre apresso a questa chiesuola mi sentei chiamare per nome con voce bassa; ne vedendo alcuno entrai dentro ponendomi inginocchione avanti l'altare tutta turbata, ed ecco che mi apparve l'istessa Beata Vergine Maria in aria, con vestito beretino' con lagrime agli occhi che con voce lagrimosa mi disse: Marta attendimi alla promessa che sarai liberata e dì da parte mia alli huomini del Commune che mi facino la mia chiesa altrimenti nostro Signore gli vuol dare un granflagello, con altre arolle ancora quali ho riferito a Monsignor reverendo Curato et a quelli del Commune, e in questo cadei come morta e poi irahauta mi sentei con grandissima consolatione libera da spiriti, ne più, per gratia di Dio e dell'istessa Beata Vergine, ho sentito molestia alcuna: e così per testimonio e rendimento di gratie, e del grand beneficio ho offerto la presente tavola a gloria di sua Divina Maestà, et honore della stessa Beata Vergine che non abbandona chi divotamente la invoca. Alli 10 agosto 1618."
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Dopo l'apparizione
La notizia dell'apparizione della Beata Vergine a Marta Damioli come è facile intuire, in breve si diffuse non solo in Berzo e nei paesi circonvicini, ma in tutta la Valle e anche più lontano, tanto che subito e da ogni dove si videro accorrere alla chiesina di Berzo una moltitudine di fedeli portati sia dal desiderio di vedere la graziata e il luogo dove s'era svolto il fatto miracoloso, sia da quello di pregare e di implorare grazie delle quali molti sentivano bisogno. Tanta fede non fu delusa poichè altre grazie proprio nel luogo dell'Apparizione furono concesse per l'intercessione della Beata Vergina e tutti ritornarono convinti della realtà dell'avvenimento. E' facile quindi pensare quello che doveva svolgersi nell'animo degli abitanti ed anche della stessa autorità locale. Più sintomatico, e certo uno dei motivi che spinse anche qualche dubbioso a convincersi della verità del fatto, fu l'atteggiamento da prima se non ostile, molto prudente del parroco don Mazzoli, ed ora dopo le indagini compiute e dopo la parola del Vescovo, invece proclive ad ammetterlo. Questo ed altro ancora spinse i reggenti a convocare, dopo alcuni mesi dall'accaduto, una Vicinia straordinaria alla quale furono invitati a prender parte non solo, come si soleva, gli antichi originari, ma ancora tutti i forestieri, cioè i residenti nel Comune unicamente a quelli che pur non residenti avessero dei possedimenti nel suo territorio. La straordinaria assemblea venne convocata per il 12 febbraio 1617 per ordine dei due consoli ser Giov. Pietro Scalvinoni e Damiolo Tabachini. A primo notaio fu chiamato il sig. Glisente Guarinoni di Bienno e, a secondo notaio, il figlio di questi sig. Antonio. Oltre a costoro furono invitati a presenziare come testimoni altri tre notai e cioè il sig. Baitelli Giacomo di Bienno, Paolo de Obertis (Castellani) di Esine e Bitino fu Grazio di Cividate. Nel verbale della seduta il notaio Guarignoni, dopo aver rilevato che gli invitati si erano riuniti "in quadam volta teranea" della casa del Comune situata nella contrada della piazza, e fatto notare che in altra vicinia di parecchi anni prima s'era deliberato di costruire una chiesa in onore della Beata Vergine Maria nel brolo del beneficio di S. Lorenzo "vocato la Mora" aggiunge che ora tutti "intendebant ipsamfabricam fieri et construi debere secus aliam ecclesiali veterem Sanctae Mariae contratae plateae... amplectendo et incorporando ipsam fabricam noviter construendam cum dicta ecclesia... stante quod in dicta ecclesia comparuit dicta Virgo et multas et diversas gratias facit". Degli originari furono presenti 40 capi famiglia e 13 dei forestieri ed il notaio ne dà l'elenco; quindi fa notare che tutti "nemine dissentiente nec discrepante dictam fabricam fieri et construere et fabricari debere secus dictam ecclesiali veterem Sancta Mariae in bona et laudabili forma" e tuttociò a spese del Comune e con le elemosine già fatte dai divoti e che si faranno, ed anche con l'aiuto dei forestieri, cioè dei non originari di Berzo. A tale scopo seduta stante fu deliberato che per cinque anni continui il danaro solito a versarsi ogni anno per dispensare agli abitanti il formaggio per le feste di Natale, gli agnelli per fare il "costo" nelle feste di Pasqua ed il vino per la festa di S. Lorenzo, fosse devoluto a tale scopo. Infine fu eletta una commissione di soprastanti alla fabbrica che risultò composta dei seguenti: Ecc.mo sig. Agostino Francesconi. sig. Eliseo Bontempi, sig. Ottavio Simoni, sig. Paolo Emilio tutti e quattro da Bienno; nob. sig. Annibale Federici di Esine che al pari degli altri teneva molti possedimenti nel territorio di Berzo; Maestro Francesco Gabrieli, e Giovan Battista Scalvinoni. Nel caso che alcuni degli eletti non potessero o non volessero accettare, fossero sostituiti da mastro Francesco Cominini e da Valentino Bonera che dopo i soprascritti avevano ottenuto nella votazione maggior numero di voti. Ora l'atto testè riportato dice chiaro che a cinque mesi di distanza dall'apparizione a Berzo e diciamo anche nei paesi confinanti, si era più che certi dell'appafizione e che fu per essa che si diè subito principio alla costruzione del Santuario e nel luogo dove la Beata Vergine aveva manifestato il desiderio fosse eretto. Un vecchio di quasi ottanta anni, che all'epoca del miracolo ne aveva sedici, interrogato nel 1676 risponderà: "che l'apparizione fu di motivo alla Comunità per risolversi a fabbricare la chiesa, nel luogo ove ora si trova". Intanto "s'era talmente divulgato questo miracolo che da tutta la Vallata concorrevano genti a far voti a questa chiesina et aiutare con larghissime elemosime et opere manuali la fabrica". Il che concorda con le dichiarazioni dei testimoni contemporanei nel processeto del 1676. Uno di essi infatti afferma d'aver veduto dopo il fatto miracoloso "comparire gran quantità di gente a quella chiesetta e che facevano ancor gran elemosine". Ciacomo Stefanello Machina, dopo aver detto che conobbe la miracolata, aggiunge pur egli "che nella chiesa dopo l'apparizione vide gran numero diforestieri che concorrevano a quella, che offerivano larghe elemosine le quali sono poi convertite nella fabrica della chiesa". Un Lorenzo Coletti parimenti narra "che venivano molti forestieri che facevano elemosine, che si usavano nela fabrica de la chiesa et anche molti forestieri vi lavoravano." Di ciò ne abbiamo prova in un libro dei conti del Comune, nel quale mentre si fa cenno de li abitanti del luogo che non ricevevano alcun emolumento perchè si erano obbligati a lavorare gratuitamente, per i forestieri invece il Comune si era offerto a dare una merenda. Perciò si trova che nel novembre del 1617 sono notati: "Bocai 12 de vino dato a diversi persone che han lavorato ala Gisia de la Madonna". Nel 1619 "merenda a Lorez Dolz (Lorenzo Dolci di Breno) uno giorno che lavorava ala Gisia de la Madonna". "Gazete 9 de pà e bocaie 4 de vì ali omine che lavoravano ala Gisia de la Madona". Se ci è ignoto il nome dell'architetto bresciano che stese il disegno del Santuario, altrettanto si ignoran i nomi dei costruttori impresari. Solo sappiamo che erano di Sonico, a capo dei quali uno che aveva nome Agostino e che con loro lavorava pure un "Martì Bogia" di Bienno. Così parimenti che il taglio e il lavoro delle pietre fu affidato principalmente ad alcuni scalpellini di Niardo. Deliberato adunque la costruzione della chiesa nel luogo dell'antico oratorio si passò alla compera del terreno vicino. Questa fu effettuata il primo marzo del 1617. Ma per dare alla nuova chiesa il respiro sufficiente occorreva all'uopo anche dell'altro terreno tenuto a brolo lì a fianco che apparteneva al sig. Francesconi Agostino di Bienno. Il giorno 4 giugno dello stesso anno anche questo venne a tale scopo acquistato dalla Comunità.
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Le opere di abbellimento
Quando il 19 giugno 1632 il parroco Mazzoli si spense, egli potè avere la soddisfazione d'aver condotto a termine la fabbrica del Santuario. Però il tempio richiedeva di essere abbellito, poichè se per la parte muraria era compiuto, mancavano, oltre una parte della intonacatura esterna, anche le opere di decorazione e di pittura che dovevano renderlo degno del Signore che vi avrebbe preso dimora, come di Colei per la quale era stato innalzato. Il primo esempio anche per questo lo diede il reverendo Mazzoli, il quale nel suo testamento, steso nel 1632 poco prima della sua morte, fece un legato d'una buona somma di danaro perchè s'avesse ad acquistare un quadro, che rappresentasse la Natività di Maria Vergine da collocare sulla parete dietro l'altar maggiore come pala. I Reggenti si diedero alla ricerca dell'artista che avrebbe dovuto eseguirlo. La scelta cadde sul noto pittore di quel tempo, Mauro della Rovere detto il Fiamminghino che pochi anni prima aveva lavorato tre tele per le chiese di Bienno, che erano state gustate e lodate da tutti. Il quadro fu dipinto nel 1633, ed è certamente l'opera d'arte migliore che adorna questo tempio, sia per la disposizione delle figure, come per la vivacità dei colori e che degnamente è racchiuso in una artistica soasa di disegno sobrio ma elegante, uscita da una di quelle botteghe che allora fiorivano in Brescia. Dopo il rev.do Mazzoli fu eletto parroco di Berzo don Marco Rossi d'Iseo di famiglia distinta e ricca di quella borgata.Anche il nuovo pastore, nei pochi anni del suo parrocchiato (1633-1637) non dimenticò di interessarsi della nuova chiesa. Infatti si devono a lui, oltre ad alcune opere di pittura e d'intaglio in S. Lorenzo, anche l'altare nella cappella della Apparizione. Opera di buona scultura costruita nel 1637 da un "mastro Domenego di Brescia" (il medesimo a quanto pare, che ebbe ad eseguire quella che racchiude la pala dietro l'altare maggiore), e che al principio del secolo scorso, quando fu eretto l'attuale in scagliola in istile neoclassico, si trasportò nella cappella di S. Giuseppe. L'indoratura poi fu eseguita ancora nel 1637 da Bernardino Picenni di Valsaviore, uno dei migliori in quest'arte di quel tempo e noto allora in Valle e anche nel Trentino. Promosso il Rev. Don Rossi ad arciprete di Iseo sua patria, venne a reggere la parrocchia il rev. Don Girolarno Panteghini di Bienno già Arciprete di Malonno ed ultimamente di Edolo. Questi fin dal primo anno si fissò in mente di voler trasferire la parrocchia da S. Lorenzo al santuario di S. Maria. Ma tale ardito progetto incontrò immediatamente una forte opposizione da parte del popolo ed in particolare dei Reggenti della comunità, i quali intravidero in esso, tra l'altro, il pericolo di essere rivati del diritto del Giuspatronato sul Santuario che tanti sacrifici e fatiche era costato loro. La lotta fu aspra e non sempre serena e leale sia da una parte che dall'altra e durò per lo spazio di dieci anni, terminando nel 1647 con la vittoria del parroco, che potè ottenere, e solo allora, di trasferire la parrocchia da S. Lorenzo a S. Maria. E' facile immaginare quindi come in tempi così burrascosi, di continue denuncie, di ricorsi e controricorsi alle autorità ecclesiastiche e civili andassero a rilento le opere per la nuova chiesa, e ne soffrisse la devozione e il concorso dei fedeli e dei pellegrini al tempio dell'Apparizione. Ciò nonostante qualche cosa anche allora fu compiuta. La cappella della Beata Vergine che al tempo del parroco Rossi, era stata affidata ai confratelli dello Scapolare del Carmelo, nel 1642 fu tutta affrescata da un pittore bresciano del quale ci è ignoto il nome, ma che non era tra i più mediocri. Egli dopo aver dipinto sulla parete a fianco della immagine della Beata Vergine che è del secolo XV, i due profeti Elia ed Eliseo, rappresentò alcuni episodi dell'ordine Carmelitano tra cui il Pontefice Onorio III che approva per primo la Regola nel 1226, il B. Simone Stock che riceve dalla Beata Vergine il santo scapolare, S. Gregorio Magno con le anime purganti che ne invocano l'intercessione, e ciò per ricordare che a questo altare si celebravano le Messe gregoriane, ed in alto la Beata Vergine in gloria con in mano ancora lo scapolare del Cardelo. Decorata che fu questa cappella, nell'anno seguente 1643 per interessamento degli eredi del nobile Annibale Federici di Esine che intendevano soddisfare ad un legato del defunto loro zio, fu ordinato e poi collocato nella cappella di San Giuseppe, il quadro raffigurante il Transito del Santo patriarca. Il dipinto di discreto valore lo si deve a Domenico Carpinoni di Clusone dei cui lavori si vantano ancor oggi parecchie chiese delle valli bergamasche. Dopo il Rev. Panteghini venne a Berzo il Rev. Giovanni Giorgi di Santicolo già arciprete di Edolo. Fu durante la sua dimora in questa borgata ch'egli conobbe ed ebbe rapporti di amicizia sia con gli intagliatori Ramus che con il pittore Giacomo Bornini detto dei Bate di Bienno, ma accasatosi e residente in Edolo e ch'era tenuto dai suoi contemporanei camuni uno dei migliori pittori. Si deve al Rev. Giorgi se la comunità e i soprastanti al Santuario invitarono il Bate perchè avesse a dipingere le due tele che ancor oggi adornano le due cappelle di S. Glisente e di S. Antonio di Padova e se in seguito furono incaricati i fratelli Ramus, probabilmente Carlo, per la costruzione in intaglio dei due altari che pure ai nostri giorni si ammirano. L'arciprete Giorgi anche in morte volle ricordarsi della chiesa e nel suo testamento steso il giorno 8 luglio 1667 così dispose: "Lascio tutti i miei quadri grandi e piccoli alla chiesa parrocchiale in omamento massime del coro che voglio siano appesi se il sito è capace". Aggiunge poi che se la comunità decidesse di venderli per accrescere il reddito dei legati fatti da lui in favore dei poveri, lo facesse pure ma a non meno del prezzo da lui stabilito e cioè: Il quadro della Decollazione di S. Giovanni Battista scudi 50; quello della Madonna scudi 25; quello di S. Paolo scudi 24. Appesi alle pareti del coro questi quadri vi rimasero fino a quando il medesimo venne affrescato con pitture e decorazioni.
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Le ultime opere di pittura
Affrescate le due cappelle della Beata Vergine e di S. Giuseppe, messe a Posto le due tele e gli altari dei santi Glisente e Antonio di Padova, restava ancora il rimanente della chiesa da affrescare, e a questo si giunse intorno alla metà del secolo XVIII. Ma prima di procedere a quest'opera ed allo scopo di meglio divulgare la devozione verso la Vergine Santissima, si pensò di diffondere tra i fedeli ed i devoti una immagine della Apparizione. A tal fine ci si rivolse ad Angelo Paglia, uno dei bravi pittori che fiorivano allora in Brescia e figlio non indegno di Francesco, già noto a quei di Berzo per aver affrescato nel 1675, la cappella di S. Giuseppe. Il disegno da lui eseguito venne affidato ad un Carlo Orsolini, maestro del bulino che lo incise su lastra di rame. L'immagine che ne risultò e che fu diffusa a centinaia di copie, servi molto allo scopo prefisso, tanto che ancor oggi, dopo tanto lasso di tempo, se ne trovano copie non solamente nelle famiglie di Berzo, anche nei dintorni e negli altri paesi di Valle; anzi fu dalla medesima che trassero ispirazione gli artisti Albrici e Chizzola per i loro affreschi nella parrocchiale. A questo segui intorno al 1739, dietro proposta dell'Arciprete, Bosio Antonio e dei presidenti della fabbrica della chiesa, i due sacerdoti Don Bartolomeo Landrini e Don Antonio Testa, il proposito di dar principio alla decorazione per la parte che ne era ancora spoglia. La scelta del pittore cadde su Giovanni Albrici di Vilminore, che di quel tempo esercitava la sua arte in Brescia, i cui lavori riscuotevano l'applauso di molti. Ciò avvenne nel 1740, come lo si desume dal verbale della Vicinia del 24 aprile dello stesso anno, in cui si legge: "Essendo stato divisato dai RR. presidenti della chiesa della Beata Vergine Maria disonorar la stessa con pitture o altro ad honore di S. D. M. e della Beata Vergine Maria, et havendo... domandato a questa Comunità la elemosina del legname per li ponti... fu accettata con voti 13 affermativi e solo 2 negativi". Secondo il concetto degli ordinatori l'artista avrebbe dovuto raffigurare e narrare col suo pennello tutto ciò che ebbe riferimento sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo alla Vergine Santissima a cui era dedicato il Santuario. In secondo luogo richiamare sulle pareti i santi patroni e quelli più in venerazione tra i parrocchiani; inoltre non dimenticare alcuni episodi della vita dei due santi Glisente e Antonio di Padova rievocandoli sulle pareti delle loro cappelle. L'Albrici annuì, e messosi all'opera svolse il vasto tema in un assieme di colori vivaci e sgargianti, e con chiaroscuri in piccole e grandi medaglie incorniciate tanto nella volta che sulle pareti, il tutto accompagnato da fregi bizzarri, cartocci, conchiglie e cartigli come richiedeva il gusto e lo stile del tempo. Uno dei migliori dipinti è quello sopra la porta maggiore del tempio. Esso rappresenta l'Arca di Noé che galleggia tranquilla sulle acque del Diluvio, che porta in salvo quelli che in essa si erano rifugiati. L'Arca è un simbolo di Maria rifugio dei peccatori. A questo, fanno seguito su in alto, verso il volto, al disopra del pulpito e dell'organo, le quattro donne dell'Ant. Test. che furono figura di Maria Vergine; Ruth, Giuditta, Giaiele e Ester. Seguono i quattro profeti che nei loro vaticini allusero alla Madre Divina; Isaia, Daniele, Davide e Michea. Ed ecco che si entra nel N.T. In piccoli quadri vicini al volto, si trovano ritratti, la Presentazione al Tempio e la disputa coi dottori: e qua e là ai lati delle finestre i quattro Evangelisti. Su nella volta in piccole medaglie e in chiaro scuro vi sono: l'Immacolata, l'Adorazione dei Magi e la Beata Vergine incoronata dal Divin Padre, che si trovano incastonate tra i medaglioni che raffigurano, quello centrale, la Apparizione della Beata Vergine alla Marta di Berzo e le altre, l'Apparizione della Vergine a S. Pietro Nolasco, e quella a S. Raimondo da Pennafort (si ricorda che la festa della Madonna in Berzo, coincide con quella della Beata Vergine della Mercede - 24 settembre - ). Non sono dimenticati S. Lorenzo, S. Michele e S. Tomaso di Canterbury, i titolari delle altre chiese sussidiarie; nè le quattro virtù cardinali, come altri santi più venerati in luogo. Sembra che l'Albrici terminasse il suo lavoro mentre era vivente il Rev. Bosio, spentosi nel 1743. Il rev. don Pietro Bava di Breno che gli successe, ne continuò l'opera, affidando nel 1745 a Pietro Scalvini, discepolo al pari dell'Albrici, di Ferdinando del Cairo. Dipinse costui nella volta del presbiterio l'Assunzione dellà Beata Vergine al cielo e nelle pareti laterali le due virtù della Fede e della Speranza, e mentre nella prima le figure sono simmetriche, nelle altre è incorso nel difetto che gli viene di solito rimproverato, di non essersi saputo contenere nelle giuste proporzioni. Così con il lavoro di Pietro Scalvini ebbero termine le opere di ornamento nell'interno del Santuario che riuscì nel suo complesso, nonostante un certo distacco tra i dipinti dei due ultimi artisti, una vera armonia, un incanto di colori.
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