Milano - Due emarginati, due solitudini metropolitane, due esseri segnati dalla malattia mentale, due che cercano di rompere con la finta tranquillità indotta dalle medicine e dai ricoveri psichiatrici, che tendono a livellare anche l’angoscia e la follia. Due schizofrenici che vogliono farla finita con il Serenase, l’En, il Carbolitium. E che scelgono di battersi contro i fantasmi della follia, i mulini a vento, i draghi delle loro paure che in realtà non sono che trivelle, scavatrici, martelli. Due fuori di chiave che scoprono, fra di loro, una solidarietà non fasulla assumendo i ruoli di Sancio Panza e di Alonso, il cavaliere dalla triste figura, cioè don Chisciotte, in giro per i «carrugi» e le discoteche di una Genova irriconoscibile e sconciata, multietnica e popolata - come dicono - di «negri con il coltellino», che incutono terrore. Sono loro due i protagonisti di Naufragi di don Chisciotte , scritto dal trentatreenne Massimo Bavastro , sceneggiatore di film e di programmi televisivi, due volte premiato al Riccione (nel ’95 con Cecchini , nel ’98 con questo testo): una via crucis della follia e della disperazione, che cattura ed emoziona gli spettatori e che si snoda in una terra desolata che assomiglia a un luogo beckettiano, senza connotazione precisa, da percorrere a piedi o in bicicletta uno con la sua faccia da spiritato, l’altro con le sue stigmate da picchiatello. E intanto si parla di donne e una qualsiasi Ada può trasformarsi in una Dulcinea irraggiungibile, e le madri che non capiscono, che hanno paura, sono tanto simili a quelle Madonne che seguono fino all’ultimo il terribile destino del proprio figlio, fra gocce di Serenase - che si insinuano «nei nervi del cervello» - e tentativi di improbabili esorcismi. E allora l’unica possibilità può essere quella di dare ai pesci del mare il proprio seme: che si trasformi in vita in qualsiasi modo, garantendo anche a due pazzi come questi una speranza di continuità, una capacità di dono.
Inquietante spettacolo comportamentale, calibrato al millimetro, Naufragi di don Chisciotte è messo in scena, con uno stile scabro e incisivo, da Lorenzo Loris, che guida i due interpreti lungo una spirale di demenza buona e crudele allo stesso tempo. Gigio Alberti , sformato nel corpo da un gonfiore da psicofarmaci, costruisce un Sancio che ci ricorda lo Zampanò di Fellini, di forte rilievo, paterno e indulgente; e bravissimo è Mario Sala nel restituirci i tic, le ossessioni del suo Chisciotte che chiama anche Dio più volte a testimone della propria infelicità. Uno spettacolo da non perdere.

Maria Grazia Gregori, Del Teatro, 21 gennaio 2002.

 

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