Milano - Terribile, bellissimo testo questo tombale Bruciati dal ghiaccio del quarantaquattrenne scrittore danese Peter Asmussen, per noi una vera e propria scoperta. Noto in Italia esclusivamente come sceneggiatore del regista di culto Lars Von Trier (per Le onde del destino), Asmussen è in realtà, nel suo Paese, un noto romanziere, conosciuto anche nel resto dell’Europa come drammaturgo che predilige gli universi claustrofobici, i paradigmi familiari, i soggetti senza speranza dove la tenerezza cerca di sopravvivere nel gelo assoluto dell’esistenza. Succede anche in Bruciati dal ghiaccio, che è la traduzione del nome del protagonista, un ingegnere condannato all’immobilità dalle vene varicose; un essere freddo, tutto concentrato sulla passione, esclusivamente mentale, per i suoi francobolli, ma indifferente alle passioni della vita. Percependo la fine della propria esistenza, Isbrandt vuole conoscere la figlia, nata dal suo amore con una giovane ragazza più di vent’anni prima, da lui abbandonata non appena è rimasta incinta. Per questo manda alla casa della donna un suo messaggero con una lettera. Anche qui domina il gelo e la signora vestita di bianco, imperiosa - e crudele, come se fossimo in un testo di Strindberg con la giovane serva di casa per di più incinta -, anch’essa condannata a una specie di immobilità, vive in un perenne delirio, in un’ossessione del passato, di un suo personale giardino dei ciliegi, colmo del profumo di giovani margheritine di cui è avara la primavera di quei posti. Quasi ovvio quello che succederà: la figlia si innamora del messaggero; ma il ragazzo che le giunge in casa non è lui, ma suo fratello gemello... Solitudini, dolore, romanticismo, odio viscerale, crudeltà si intrecciano in quei nodi di vipere familiari, in esistenze murate vive oppure condannate all’immobilità, all’apparenza senza un barlume di luce eppure percorsi da improvvisi lampi di tenerezza, che si avviano inesorabilmente verso la morte, la scomparsa e la rinuncia. Chi continua a vivere vive nell’odio e nel gelo o in una sua personale follia: le altre esistenze sono come cancellate, misteriosamente perdute senza lasciare un’orma nella vita.
Il teatro di Peter Asmussen è un teatro di parole: i suoi personaggi vivono nelle cose che dicono più che in quello che fanno eppure la cosa più importante in questo testo divorato dal gelo è «trovare» il dolore: una sorta di viaggio dell’anima che si trasforma in conoscenza; un dolore che ci lega al passato, talvolta così simile a una memoria affettiva. Paradossalmente proprio per questo Bruciati dal ghiaccio è un dramma che deve trovare il suo sbocco nella sensibilità del regista, nella profondità dell’interpretazione. Lo spettacolo in scena all’Out Off ha tutto questo: una regia forte e intelligente in grado di trasformare la parola in sentimento, di restituirci - anche con la recitazione delle minuziose didascalie del testo - l’andamento inquietante di questo fiotto di parole e di sentimenti, di quel grande delitto che è uccidere l’amore nel cuore delle persone. Buona anche la recitazione dove spiccano la Sibilla di Elena Callegari, l’indifferenza gelida di Isbrandt (Giovanni Battaglia), i due gemelli romantici e vendicativi di Giovanni Franzoni. Da vedere. (14 novembre 2001)

di Maria Grazia Gregori, Del Teatro, 14 novembre 2001.

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