6. Ottavia Negri Velo (1764-1814)
[Titolo originale: CRONACA VICENTINA]
Il dossier (ASV Inquisitori di Stato 1251-382) contiene tre pagine di nomi di cui almeno la metà di presunti filo francesi. Gli altri - come Ottavia - da interrogare come - diremmo noi - persone informate dei fatti.
Il principale testimone è "....Giuseppe Fontana q. Lorenzo di Roveredo di Trento fa il Sarte in Città..."
Quasi tutti gli interrogati dicono trattarsi di chiacchiere che giravano nei caffè. Il conte Sesso invece spiffera alla polizia con estrema abbondanza di particolari i nomi delle persone che sospetta implicate. Dice di aver sentito parlare di un complotto contro il governo Veneto prima dall'oste della locanda Ai tre scalini [che esiste ancora, con lo stesso nome, presso l'abbazia, vicino Povolaro], e poi da un certo Antonio Zanella, fattore della Contessa Ottavia Negri Velo, che riferiva discorsi della stessa.
In quel dossier sono esposte minutamente le relazioni tra i progressisti della città e del territorio. Come abbiamo detto l'inchiesta fu superata dagli avvenimenti: I francesi arrivarono qualche giorno dopo e tutto finì.
[ Sarebbe - come abbiamo detto - assai interessante studiare questo dossier più a fondo.]
***
Ma
la vita doveva proseguire anche durante l'occupazione: anzi, durante le alterne
occupazioni che si sarebbero susseguite negli anni successivi.
Ottavia ogni
tanto si recava a Velo, Spessa, Sarcedo, Isola ed in altri villaggi del
Territorio a curare gli interessi della famiglia. Visitava i figli Momoletto e
Bellina in collegio a Parma e poi a Venezia. E scrive, scrive...
***
Che tipo di cronaca è il "Giornale"?
Ottavia ha voluto
stendere una memoria esclusivamente storico-locale.
Altre cronache assieme
agli avvenimenti di guerra segnalano fatti meteorologici, delitti familiari,
fatti curiosi, eventi vari. (Per tutte non è da omettere quella del Tornieri
già citata) da nMa anche fatti assolutamente ordinari, come le
solite cerimonie religiose e civili ricorrenti nelle varie festività di corrente
amministrazione. Ottavia no.
Ottavia scrive di
forestieri civili e militari, parla di incendi alle caserme, di fuga dalle
carceri, di qualche pena capitale, ma raramente dà giudizi su privati cittadini.
Quando lo fa non ne cita quasi mai i nomi e lascia tutto all'immaginazione. Non
spreca inchiostro per descriverci in lungo e in largo quanto fu magnifica la
funzione del Te Deum, o la Processione annuale del Corpus Domini, com'era uso
nelle cronache del tempo. Men che mai - purtroppo - parla di sé e della sua
famiglia.
Tutte
occasioni che le offrono l'opportunità di descriverci nel Giornale le situazioni
dell'altrove, come appare a lei.
Ci mostra per diciassette
anni un paese che vive al quotidiano le varie occupazioni straniere ed
è sballottato dall'uno all'altro padrone varie volte, né conosce se e quando la
sua sorte debba essere definitiva, ormai con la dolorosa consapevolezza che
nulla sarà più come prima.
Per nessuno.
Non si
può inoltre non segnalare come il Giornale costituisca un
documento di importanza fondamentale - per la conoscenza dei fatti svoltisi nel
vicentino durante l'estate del 1809, che vanno sotto il nome di
Rivolta dei Briganti, appellativo demonizzante
usato spesso dal potere per giustificare certe sue repressioni. La scintilla
fu il Dazio sul Macinato che pesava sui miseri in modo insopportabile, dopo mesi
e mesi di estrema carestia.
E Ottavia lo dice.
La cronaca espone lo
svolgersi delle azioni nei vari luoghi e la confluenza verso la città delle
varie bande di disperati.
La cronaca espone lo svolgersi delle azioni nei vari luoghi e la confluenza
verso la città delle varie bande di disperati. Nel vicentino tutto cominciò
nelle montagne attorno a Schio e dilagò a Thiene, Malo ecc. culminando con una
marcia su Vicenza arrestata in tempo. Interessante
le descrizione dell'accaduto a Schio e dintorni. [Cfr. per altri
particolari: Biblioteca Civica Schio
- Do 46.15]
Quell'anno i francesi attraversavano un periodo molto critico nell'Europa centrale e nella Spagna in rivolta. Enormi risorse erano state assorbite dovunque, in materiali e uomini. Il malcontento serpeggiava dovunque. I francesi erano rimasti in Italia in numero irrisorio. Le truppe austriache (tirolesi) ai confini ebbero buon gioco nell'illudere i montanari: che avrebbero trovato la strada facile in caso di rivolta e loro stessi li avrebbero riforniti di armi ed aiutati.
Comunque sembra che
non vi siano state grandi violenze alle persone, da parte degl'insorti, a parte
azioni di saccheggio e di guerriglia contro i governativi. I focolai di ribellione
- qua e là - durarono qualche mese, ma furono infine spenti. Con la
sanguinosissima battaglia di Wagram la bilancia
pendeva nuovamente dalla parte dei francesi. Ottavia più volte
non nasconde che la causa di tutto era stata la miseria insopportabile dei
poveri villici.
La
repressione, come si può immaginare fu drastica. e la rivolta domata. Il
Tribunale militare ebbe buon gioco con le accuse di spionaggio, tradimento,
collusione con lo straniero e per vari giorni in Campo Marzo furono eseguite
sentenze capitali.
***
Ottavia scrive giorno per giorno. Ce lo dimostrano le lettere che scrive o riceve alle date contemporanee.
Tralascia del tutto l'ordinaria amministrazione: segnala sì i movimenti di truppe in generale, ma senza arrivare alla pignoleria di darne il numero esatto all'unità, come il citato Tornieri, la cui accuratezza contabile, se ci può essere utile per conoscere il numero dei soldati avvicendatisi in Vicenza, potrebbe anche interpretarsi come gli appunti di una spia!
Ottavia
scrive di forestieri civili e militari, parla di incendi alle caserme, di fuga
dalle carceri, di qualche pena capitale, ma raramente dà giudizi su privati
cittadini. Quando lo fa non ne cita quasi mai i nomi e lascia tutto
all'immaginazione. Non spreca inchiostro per descriverci in lungo e in largo
quanto fu magnifica la funzione del Te Deum, o la Processione annuale del Corpus
Domini, com'era uso nelle cronache del tempo.
Men che mai - purtroppo - parla di
sé e della sua famiglia.Anche
questo fatto ci conferma che accarezzasse l'idea di pubblicare il suo scritto.
Così, pur nel suo
parteggiare per gl'Imperiali Austro-Ungarici, Ottavia nota più volte che si è
"presi e
venduti allo straniero" e osserva - 23 febbraio
1798 - con occhio lucido e sprezzante il servilismo del Vescovo - lei
religiosissima ma non bigotta - che "stette - il Vescovo - sempre smanioso
vicino al Trono". Esulta quando sembra
esservi una speranza che i Francesi siano ridimensionati una buona volta
dall'alleanza della Russia con l'Austria, ma quando le truppe di Souworov
attraversano il nostro territorio ne nota con raccapriccio la barbarie: "...
v'è chi sostiene che abbiano mangiato un bambino ".
Altrove, più
volte osserva che i Francesi sono spiritosi, svelti, galanti; dà quasi
l'impressione che le dispiaccia non poter parteggiare per loro.
Ottavia è
informata molto bene anche perché proprio a casa sua alloggiavano di volta in
volta alti ufficiali delle truppe occupanti e lo stesso Colonnello cassiere
delle truppe: è certo che con essi v'era scambio di opinioni e talvolta perfino
una certa confidenza.
Comparando
le sue lettere con quanto scrive alle date corrispondenti nel Giornale,
riscontriamo in questo una epurazione di interessanti riferimenti a persone
citate invece in quelle, anche se col solo nome di battesimo. Molte pagine di
esso sono la descrizione in uno stile più ufficiale, di circostanze,
avvenimenti, opinioni, già comunicata con le lettere ai rispettivi destinatari
con apprezzamenti talvolta caustici ed appunto per questo gustosi a leggersi:
spiace non riuscire ad identificare tali persone, per poter colorire meglio la
Vicentinità di quel tempo. Tale epurazione è certamente dovuta a salvaguardia
della privacy sua o d'altri, ma a noi riesce eccessiva perché tace avvenimenti
eclatanti e talvolta pubblici anche se sconfinanti nel privato
È il
caso ad esempio dell'8 settembre 1797.
Quel giorno venne fucilato in Campo
Marzo dai francesi tale Stefano Gennari, reo confesso, per aver ucciso a
coltellate, la notte del 31 luglio dell'anno prima, il Conte Camillo Bissari,
fratello primogenito dell'Enrico Bissari che abbiamo incontrato tra i
giacobini.
Se pensiamo però che il Gennari era servo dello stesso Enrico,
il quale diveniva così erede della casa Bissari come secondogenito...;
se
pensiamo che le chiacchiere della gente avevano indicato proprio Enrico come
mandante...[cfr. Da Schio];
se pensiamo che si celebrò un processo pubblico di cui abbiamo
reperito la sentenza di morte (di mano del segretario della commissione
criminale Palazzi .[
Grazie
ad A. Ranzolin e M.T. Dirani Mistrorigo]...;
se pensiamo che un
incendio che si disse doloso, poco dopo d'allora distrusse i documenti
d'archivio del Foro;
se pensiamo che proprio
l'Enrico Bissari in questione era allora uno dei giacobini più potenti, con
facile accesso dovunque...
beh, a nostro avviso
era un avvenimento abbastanza pubblico ed abbastanza straordinario da meritar di
parlarne!
- O forse è meglio non aver mai a che fare con le vergogne dei
parenti?
E i nobili erano un po' tutti parenti tra loro! Del resto Sabina Bissari, zia acquisita di Ottavia - grazie alla quale lo stemma Bissari si abbinava a quello dei Leoni-Montanari - era prima zia dei fratelli Bissari in questione.
Nel
Giornale non v'è alcun riferimento a questo fatto piuttosto
importante.
E così per altri
avvenimenti.
A tutt'oggi (1999) non sembra esservi più traccia alcuna delle
carte pubbliche di questo processo e nell'Archivio della famiglia Bissari esiste
solo una copertina che porta l'intestazione: Processo a Stefano Gennari, vuota.
Il
Giornale è dunque cronistoria sì, ma di soli avvenimenti pubblici, e nemmeno di tutti.
Le stesse
requisizioni che intaccavano pesantissimamente i patrimoni di Ottavia e della
famiglia vengono citate sempre in modo generale, senza dettagliarne l'entità,
che noi riusciamo a conoscere talvolta solo dai documenti ufficiali.
Un'altra sensazione
che traspare dal diario è la consapevolezza dell'incertezza del futuro; come uno
stato preagonico, un infinito " ...aspettando Godot... ", una morte che
non arriva mai.
Non v'era prospettiva di stabilità.
Le notizie ufficiali
che venivano pubblicate non erano attendibili se non in minima parte.
Quelle
che giungevano al di fuori della censura, con le lettere dei corrispondenti dei
mercanti Todaro, Milana, Vicentini, amici di casa Velo-Negri, - che avevano
relazioni un po' dovunque - erano spesso ancor meno credibili.
Ottavia capisce
benissimo che la causa fondamentale di quell'instabilità risiedeva nella volontà
dell'imperialismo inglese di ostacolare l'imperialismo napoleonico, e lo scrive
più volte.
Durante le numerose paci che si susseguirono a partire dal 1797,
durante i periodi del Regno Italico e dell'Impero, vi furono degli anni
relativamente più tranquilli, ma incombevano minacciose le guerre fuori
d'Italia, col pericolo che si estendessero da un momento all'altro, e che
comunque esigevano ancora e sempre nuovi contributi di sostanze e di
uomini.
La gente non poteva vivere tranquilla.
Ottavia riporta in
continuazione questi stati d'animo. Fino alla noia.
***
Ottavia sconsolata scrive e scrive......
Ma v'è un'importante
ragione che ci deve far riflettere quando siamo tediati dalle numerosissime e
spesso noiosissime lamentazioni della sua cronaca: una motivazione che deve
esser sempre presente innanzi a noi. Mentre noi leggiamo le lagnanze di Ottavia
nell'arco di un tempo ridottissimo, - il tempo di leggere un libro - quelle
situazioni, che si ripetevano sempre, sempre le stesse, lei le visse e descrisse
tutti i giorni, per oltre diciassette anni!
Come non ripetersi nel
descriverle?
- L'alternarsi di
Austriaci e Francesi nel territorio...;
- il non sapere cosa potrà succedere domani ...;
- se si combatterà nelle nostre contrade ...;
- se e quanti dei nostri figli dovranno partire per la guerra, e forse morire ...;
- quante cose continueranno a requisirci ancora ...;
- le inondazioni, il bestiame requisito per esigenze belliche,
- gli uomini sottratti dalla guerra ai lavori produttivi, le carestie...
Tutti questi pensieri, non
per pochi giorni, ma per diciassette anni di incertezza, nella quale erano
valide tutte le ipotesi sul futuro. E di solito si avverava poi quella
peggiore.
Una interrogazione conclusiva :
che ruolo ha giocato
proprio il suo esser donna
nell'oblìo del "Giornale" per duecento anni?
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