O.L.F.A
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EUGENIO
MONTALE E LA LIRICA UNGHERESE
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IL MOMENTO DELLA SCOPERTA DI UN POETA STRANIERO Č SEMPRE DECISIVO, ED
Č RARO CHE UNA SCOPERTA TARDIVA, ANZI PER MOTIVI EXTRALETTERARI CONSCIAMENTE
RITARDATA, NON SOLO OFFRA IL VANTAGGIO DI POTER FORMULARE UN GIUDIZIO ESTETICO
PIŮ FONDATO MA TROVI ANCHE UNA SINCRONIA CHE, IN GENERALE, VA GARANTITA DALLA
CONTEMPORANEITÁ.
NEL CASO DI MONTALE, IN UNGHERIA Č SUCCESSO
QUESTO. IN QUESTO ARTICOLO CERCHERŇ DI INDIVIDUARE I MOTIVI, DERIVANTI
ORGANICAMENTE DELLA LIRICA UNGHERESE.
Le
biografie nazionali non conoscono
alcuna pubblicazione di Montale in ungherese prima del 1957, ma il suo
vero debutto fu nel 1958, in un numero dedicato quasi interamente alla
letteratura italiana della rivista «Nagyvilág», il periodico letterario
che in quel tempo leggevano decine di migliaia di lettori ungheresi affamati di
letteratura occidentale, in gran parte proibita nel periodo del dopoguerra. A
Montale non si era prestata, dunque, neppure quella sporadica
attenzione che accompagnava i suoi contemporanei prima della guerra: alcune
poesie di Ungaretti e Saba erano state tradotte e pubblicate in periodici o in
antologie dell'epoca. Dopo la presentazione, perň, il successo fu rapido. Nel
1967 Tibor Kardos, decano degli italianisti ungheresi, liberandosi sempre piů
dal primo compromesso politico, dichiarň «un grande vero e attraente poeta» il
suo Montale sempre preferito, e coi suoi giudizi critici suggerě che lo
riteneva il piů importante dei contemporanei italiani1). E
un anno dopo uscě «A magnólia árnya» (L'ombra della magnolia), una
raccolta di poesie che tra i volumi di traduzione rappresentanti poeti italiani
moderni gode anche oggi di gran prestigio, per i due traduttori-poeti (László
Lator e László Kálnoky), e conserva il suo rilievo anche per la qualitŕ
dell'edizione. Per quanto Quasimodo fosse piů popolare per il premio Nobel e
per i suoi rapporti personali con l'Ungheria, per quanto Ungaretti stimolasse
molto di piů i traduttori a rendere in ungherese le sue poesie a prima vista
semplici, e per quanto fosse uscito un volumetto di Saba quattro anni prima,
possiamo affermare ben a ragione che Montale ottenne in Ungheria una dimensione
poetica maggiore di loro. E siccome a quei tempi la poesia aveva ancora il suo
pubblico, quella dimensione non poteva essere creata da un astratto giudizio
della critica o dai mezzi pur efficaci dell'editoria: ci voleva anche
l'opinione dei lettori, la loro conferma e le loro modifiche, insomma una familiaritŕ
senza la quale nessuna poesia puň inserirsi nella cultura di una nazione. Č
di questa familiaritŕ che vorrei parlare qui, scrutandone le componenti
oggettive e materialmente reali.
Nel
caso di una lirica esistenziale, come quella montaliana, il lato contenutistico
probabilmente č a priori congeniale alla letteratura ricevente, e il «mal di
vivere» montaliano trovň particolari similitudini nella situazione ungherese di
allora. Era, perň, la forma peculiare di quella poesia che poteva
costituire una barriera difficilmente valicabile, tant'č vero che sono sempre i
nuovi mezzi d'espressione ad esigere molto tempo e molti commenti critici per
potersi integrare nel pubblico dominio nazionale, e piů ancora per entrare,
semmai, in quello straniero. Il repertorio poetico di Montale constava di tanti
clementi caratteristici e produceva un risultato tanto originale che era
difficile supporre un universo lirico in un'altra lingua in cui tutti quegli
elementi fossero giŕ tradizionali (familiari) e quindi la traduzione
potesse rendere quel risultato subito «indigeno».
Vediamo, dunque, come trovavano i segni caratteristici montaliani i loro
corrispondenti in vivo nella poesia ungherese del tempo. Procediamo
dalle strutture piů semplici verso le strutture piů complicate, ovvero dalla
superficie verso gli strati subconsci della poesia.
Nella
versificazione Montale, seguendo le prove analoghe dei crepuscolari Saba e
Campana, sperimentň una tecnica per sciogliere la regolaritŕ in proporzione
occasionale: alternava metri tradizionali a metri liberi, adattava lo stile
colloquiale allo stile classico, adoperava rime inopinate e in varie posizioni:
accentuate, lontane, interne, ipermetre. Imitava la rima con assonanze o
consonanze, Elaborava, insomma, una forma autonoma in cui erano presenti gli
elementi tradizionali e quelli nuovi con una coerenza e con una plasticitŕ tale
che lui, poeta plasmante della materia linguistica, riusciva a mostrarsi
classico o moderno a seconda dell'esigenza del momento. Vediamo due esempi:
Ecco l'omero acceso, la
pepita
travolta
al sole,
la cavolaia folle, il filo
teso
del ragno su la spuma che
ribolle
e qualcosa va e tropp'altro
che
non passerŕ la cruna...
Occorrono troppe vite per
farne una.
(«L'estate»)
Il saliscendi bianco e nero
dei
balestrucci dal palo
del
telegrafo al mare
non conforta i tuoi crucci su
lo scalo
né ti riporta dove piů non
sei.
Giŕ profuma il sambuco fitto
su
lo sterrato; il piovoso si
dilegua.
Se il chiarore č una tregua,
la tua cara minaccia la
consuma.
(dai «Mottetti»)
Nel
primo esempio le diverse lunghezze dei versi, il faticoso ritmo
dell'endecasillabo (primo verso) e del novenario (quinto verso), gli enjambement
e soprattutto quello che si crea con una congiunzione che finale,
suscitano l'irregolaritŕ della versificazione e imitano uno stile colloquiale o
addirittura parlato. Ma la vera e propria irregolaritŕ metrica si trova
soltanto nell'ultimo verso, dove, perň, sarŕ subito celata da una rima
fortemente accentuata: sono in posizione di rima proprio le due sillabe
aggiunte all'endecasillabo, e alla fine del verso da loro allungato
riecheggiano le sillabe finali di un verso molto piů corto, mettendo cosě la
rima in maggior rilievo.
Nel
secondo esempio il ritmo č piů costante ed armonico, la componente irregolare
qui si effettua appunto nella rima, che nell'esempio riportato aveva la funzione contraria e piů congeniale alla sua natura:
ricreava la regolaritŕ e l'armonia.
Qui le rime abbracciate della prima strofa
vengono screditate da un verso intercalato senza rima, i monosillabi dei e
sei sono appoggiati solo da assonanze: -ro -non, la preposizione
articolata dei ha un accento secondario alla fine di un
endecasillabo tronco, vale a dire in
una posizione che suppone un forte accento, e perfino quest'accento secondario
viene indebolito da un enjambement; nel primo verso della seconda strofa
si ripete la struttura assonanza-rima preposizionale-enjambement: -to su
(dove l'articolo composto viene perfino staccato dalla preposizione), ma nel
quarto verso risponde la struttura ancora piů disarmonica dell'assonanza-rima
ipermetra: consuma.
In
questo gioco poetico con rima e ritmo, in quanto fedelmente tradotto, i lettori
ungheresi dovettero riconoscere subito le operazioni simili di Gyula Illyés e
Lőrinc Szabó, anche se svolte in due direzioni separate. Illyés fu il
maestro della rima fulminante usata in versi di carattere colloquiale o
addirittura prosastico, Szabó scioglieva fortemente il ritmo tradizionale del
giambo magiaro e rimava con assonanze lontane o molte volte con semplici
congiunzioni. I due esempi che seguono sono quasi specchi dei campioni
montaliani:
Üdvözlet, s hála hát
a törvény- és a
fény-hozóknak,
kik - hol máglyán, hol
gunykacajon át -
- s elbukva is! -
előretörnek
tán nem is tudva hova s
mért.
*
Így mondjunk hálát
Tersánszky Jenőnek,
mi, akik látjuk, hova
ért.
Az igazért.
(Illyés Gyula: Óda a
törvényhozóhoz) 2)
Káprázva álltam a kapum
előtt, és
ópiumittas szellemek
kaszaboltak, mint zene a
levegőt és
ahogy a fény az üveget
(Lőrinc Szabó: Májusi
orgonaszag)3)
Č in stretta connessione con rima e ritmo
quell'altro mezzo poetico sonoro che sin dall'inizio del suo uso programmatico,
ossia dal Decadentismo, mirava a penetrare in sfere irraggiungibili per la
ragione e la logica: il fonosimbolismo tanto gradito a Montale. Pur
utilizzandolo per ottenere diversi effetti lui lo adoperava soprattutto per
creare quella leggerezza che Calvino esamina con molta acutezza nelle «Lezioni
americane»4).
Fedelmente alla sua poetica degli oggetti piccoli o addirittura minuscoli,
Montale contrasta i gruppi fonici pesanti e sgradevoli con elementi acustici
che rievocano l'esiguitŕ, la fragile eppure costante armonia eterea: di fronte
a strozzato, stramazzato, cigola, gorgoglia ecc. allinea i suoi suoni l
e i: libellula, ripullula, ponti-cello, lacciolo, pinnacoli, iridi,
lievi echi, elisie sfere, stelle filanti, arnesi lillipuziani, e le altre
strutture toniche che fanno lo stesso effetto: evanescenti labbri,
grigiorosea nube, topo bianco d'avorio e cosě via. L'uso consequenziale e
la frequenza statistica di tali elementi producono un'orchestrazione
inconfondibile, che nella cultura ricevente č riconoscibile e integrabile solo
nel caso che abbia un precedente locale.
1) Tibor Kardos: Eugenio
Montale, in: «Az olasz irodalom a XX. Században», Budapest, 1967.
2) «Saluto e gratitudine,
quindi, a coloro che fanno le leggi e le luci, che avanzano ora attraverso il
rogo, ora attraverso le risa di scherno, pur cadendo, e forse non sapendo
neppure dove e perché.
Ringraziamo cosě Jenő Tersánszky noi che
vediamo dove č giunto. Per il vero». - Gy. Illyés:«de al legislatore».
3) «Stavo abbagliato davanti
alla mia porta, e fantasmi ebbri d'oppio falciavano come musica l'aria e come
luce il vetro» - L. Szabó: «Profumo di lillŕ in maggio».
4 Italo Calvino: lezioni americane, 1988.
Da «Nuova
Corvina», Rivista di Italianistica, Budapest, Giugno 2001, pp.61-68
1)
Continua
[Szénási
Ferenc]
-
Budapest - *
* Ferenc
Szénási nato nel 1946, laureato in letterature italiana ed ungherese
all'Universitŕ di Budapest, dove ha ottenuto poi anche il PhD. Ha insegnato
all'Accademia di Musica e all'Universitŕ ELTE di Budapest, all'Universitŕ JATE
di Szeged; ha lavorato come redattore responsabile della sezione di
Italianistica presso «Nagyvilág» rivista di letterature straniere;
attualmente č docente presso l'Universitŕ di Szeged, dove dirige il
Dipartimento di Italianistica, Magistero. Ha pubblicato una monografia su Italo
Calvino (1994) e diversi saggi in volumi e su riviste, in Ungheria e in
Italia, e sono numerose anche
le sue traduzioni letterarie: traduce scrittori e poeti italiani
contemporanei e non (Camon, Sciascia, G. Berto, Calvino, Collodi; Ungaretti,
Quasimodo).
Č
condirettore di una collana bilingue che pubblica importanti opere letterarie
italiane, prima non tradotte in ungherese.
Nota: Riportato
dal numero doppio 23/24 2001/2002
Nella letteratura ungherese forse sarebbe
bastato anche il famoso precedente dei poeti raggruppati intorno alla rivista «Nyugat»
(«Occidente»), la produzione di Árpád Tóth che praticava la «musica-in-parole»
traducendo il maestro Verlaine, l'opera di Dezső Kosztolányi che, ispirato
dalla poetica decadentista del fanciullino, si rapportava pure all'universo di
Montale. Ma il vero e proprio precedente nel nostro caso si creň
cronologicamente dopo ma in tempo ancora per la ricezione, con la lirica del
piů giovane Miklós Radnóti, la cui strofa seguente ha la stessa orchestrazione
di quelle montaliane:
S
tudom már mit jelent ha
kezed hajadra lebben,
bokád kis billenését
is őrzöm mar szivemben,
(Rejtettelek) 5)
E in questo suo finale come se apparisse perfino
uno dei tanti piccoli animali montaliani:
Bokor mozdul s a fúvó napsugáron
egy kismadár megrémült tolla száll.
(Koranyár) 6)
Cfr:
Filerŕ nell'aria
o scenderŕ s'un paletto
qualche galletto di marzo.
(Montale: «Quasi una
fantasia»)7)
La maggiore estraneitŕ della lirica montaliana
per noi ungheresi, in teoria, doveva derivare dal suo carattere ermetico, dalle
immagini vaghe e difficilmente decifrabili, dal metodo che, termine usato per
T. S. Eliot e adottato anche per Montale, č noto come «correlativo oggettivo».
Potevano prospettarsi molto specifiche, molto «italiane», queste componenti; ma
le chiarificazioni lapidarie (e talvolta date certamente controvoglia) di
Montale, nate come risultato di una collaborazione singolare tra lui e un suo
amico professore, giustificano i nostri lettori che vi riconoscevano subito la
comune tradizione con la lirica józsefiana. Infatti, a proposito del verso «la
trafila / delle dita d'argento sulle soglie» l'amico professore domanda a
Montale se «le dita d'argento sono della luna che quasi scorre di soglia in
soglia, proprio delle case degli uomini, o soglia va inteso in senso assolutamente
generico, ciň che accoglie la luce della luna?», e lui risponde sottolineando
la parola «soglie» e aggiungendo: «Sulle soglie delle case»7). Si
tratta di un universo di immagini fin troppo concrete, insomma, simile a quello
che i lettori ungheresi avevano avuto da Attila József:
A báránybunda árnyakat
tűlevelű fák fércelik.
Szalad a puli pillanat,
fagyon koppantja körmeit.
(Tiszazug) 8)
Come le «soglie» di Montale, gli oggetti
transustanziati da metafore sono tutti reali anche qui: le pellicce, gli
alberi, il cane da pastore, la pianura invernale. E dagli anni Cinquanta in poi
č avvenuto nella lirica ungherese anche quel passo che ci voleva per arrivare
dalla poesia metaforica alla poesia oggettiva, congeniale alla poetica
montaliana del correlativo oggettivo. Cronologicamente eravamo in ritardo anche
qui, ma sempre in tempo per preparare il terreno alla ricezione organica di
Montale. Anzi, proprio in tempo. Dei due poeti ungheresi che da questo
punto di vista sono i piů affini a Montale, Ágnes Nemes Nagy potč trovare il
vero contatto col pubblico negli anni in cui si preparava e uscě «A magnólia
árnya», dopo che, negli anni Cinquanta, per motivi politici non aveva
potuto pubblicare le sue poesie. L'altro omologo, János Pilinszky era
addirittura nel colmo della sua popolaritŕ in questo periodo, letto, trattato,
citato dappertutto. In altri termini la poesia oggettiva prosperava in Ungheria
proprio quando fu recepita la poetica montaliana del correlativo oggettivo,
nata e praticata prima, ma arrivata in Ungheria quando il nostro pubblico era
piů disponibile ad accoglierla.
Le
immagini di Montale che associano le idee della rottura, del taglio, dello
strappo ( teso ghiaccio che s'incrina, cocci aguzzi di bottiglia, il buio č
rotto a squarci ecc.) trovano una forte eco nella poesia di Nemes Nagy: rojtosodik
már a szí (si sta sfilacciando il cuore), villam-szaggatta táj
(paesaggio lacerato dai fulmini), tojáshéjélet... beroppan (vita di
guscio d'uovo... si spacca), cafatokban rothadó világ (il mondo che
marcisce in brandelli) e via dicendo, anzi la nostra poetessa usa una di queste
immagini anche per definire la sua poetica dell'arte: prendendo in prestito
l'espressione di Rilke dice che vorrebbe «strappare in qua» il piů possibile
dell'indicibile e dello sconosciuto. Anche lei lavora con un'orchestrazione
alla Montale, giŕ negli anni '40:
És látja a fényben a lepkét,
- villó halak árnya - hogy
illan,
s hogy borzol a délszaki napfény,
mint angolnákban a villany.
(Szerelmem, viziisten)9)
Oltre alla musicalitŕ affine, si scopre in
questi quattro versi una vera collezione delle parole chiave di Montale: farfalla
e pesci; che ritornano in varie forme, anguilla alla quale č dedicata un'intera poesia, dio
acquatico che sembra uscire dal Falsetto, come divino amico
della ventenne Esterina. E difatti il mare appare di tanto in tanto nei versi
di Nemes Nagy che nella sua femminilitŕ conserva molto di Esterina, ma con la
sua fermezza morale, con la sua distanza esemplare da un potere dittatorico e piuttosto
coessenziale col poeta e «con la razza che rimane ili terra».
Pesci e mare sono concetti fondamentali anche
per Pilinszky, la cui poesia viene esplicitamente paragonata dalla critica
nostrana alle tendenze dell'ermetismo. Anzi in un intervista del 1967 (!),
fatta a Londra, l'emigrante Cs. Szabó gli domanda di una eventuale influenza
esercitata da Montale sulla sua poesia. Pilinszky risponde parlando piuttosto
di Eliot, dichiara di aver imparato da lui in maggior misura. Siamo nell'anno
della pubblicazione di «A magnólia árnya»: Pilinszky probabilmente non
conosceva ancora il volume. Comunque, il suo sviluppo poetico, anche se i
risultati in molti punti coincidono con quelli di Montale, era autonomo.
Tanto č vero che giŕ nella sua prima poesia, omessa
poi da ogni volume, si serve di un'immagine famosa del collega italiano: se
Montale si sentiva sotto una campana di vetro, lui si sente chiuso in una
fortezza di vetro (Üzenet az üvegvárból). Il mondo anche nella sua
visione si sta sfilacciando (foszladó világ), ed é pieno di chiodi
dormienti (alvó szegek) come le mura di Montale sono piene di cocci
aguzzi, e i tetti di pinnacoli irti. Le stelle filanti del Carnevale di
Gerti costituiscono integrante anche della sua immaginazione, fino ad
intrecciarsi, perň, in una rete dove riappaiono anche i pesci montaliani, pur
soffocando, come l'uomo sotto la campana di vetro:
Csillaghálóban hányódunk
partravont halak,
szánk a semmiségbe tátog,
száraz űrt harap.
(Halak
a hálóban) 10)
Mare e fiume, nello stesso tempo, sono anche i
simboli ancestrali dell'oscuritŕ, osserva giustamente una studiosa ungherese, e
aggiunge che leggendo Pilinszky poeta delle acque e dei simboli atavici, «ci
troviamo alle fonti della poesia» .11)
Forse l'affinitŕ tra lui e Montale si comprende
veramente qui, in quest'area inafferrabile. Dove vuole arrivare, appunto, la
poesia ermetica.
5) «So giŕ cosa significa
quando / sollevi le mani ai capelli, / conservo nel mio cuore / il dondolio
delle tue caviglie», -Ti ho nascosto»; traduzione di Stefano De Bartolo.
Stefano De Bartolo: Trame, Roma, 1995.
6) «Un cespuglio si muove e sul
soffiante raggio di sole vola la penna impaurita di un uccellino» - «Prima
estate».
7) Lorenzo Greco: «Montale
commenta Montale», Pratiche Editrice, Parma, 1980.
8) «Le ombre di pelliccia
d'agnello sono imbastite da alberi dalle foglie aghiformi. Corre l'istante da
pastore, battendo le unghie sul gelo». - «Al Tibisco».
9) «E vede, alla luce, la
farfalla (ombra di pesci guizzanti) mentre si volatilizza, e la luce del sole
meridionale mentre si arruffa, come elettricitŕ nelle anguille». - «Dio acquatico,
amore mio».
10) «Ci agitiamo in una rete di
stelle, pesci tirati a terra, e boccheggiando mordiamo uno spazio asciutto». - Pesci
nella rete.
11) Zsuzsa Beney: Ikertanulmányok,
Budapest, 1973.
Da
«Nuova Corvina», Rivista di Italianistica, Budapest, Giugno 2001, pp.61-68
2)
Fine
[Szénási
Ferenc]
-
Budapest -
Nota: Riportato
dal numero doppio 25/26.