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L’OTTO
SETTEMBRE
Sentimenti che solo
pochi possono provare e comprendere.
Raccontare
l’otto settembre è raccontare avvenimenti religiosi e profani che si
avvicendano, ormai, da decenni, nel rispetto di una tradizione che, di anno in
anno, si consolida e si ravviva. Quella delle feste di settembre è una
tradizione fortemente radicata nella nostra terra, profondamente rispettata da
ogni ortonese e, oserei dire, da ogni abitante della nostra vallata. Ma
raccontare l’otto settembre è, soprattutto, dal mio punto di vista, raccontare
un’emozione, per quanto possa essere possibile racchiuderla dentro le parole.
L’otto settembre è l’emozione che provo nell’attesa che arrivi; è l’emozione che
provo quando la festa ha finalmente inizio, con gli spari di apertura e le
campane a fiquera a fiquera; il rumore di quei colpi scuri, quando eravamo più
piccoli, ci prendeva alla sprovvista, mentre cercavamo in tutta fretta di
ritoccare quella “Mmammoccia” che, puntualmente, ogni anno, a ridosso delle
feste, non avevamo mai ultimato. Ma anche quell’affrettarci per poi poter andare
in piazza a mangiare i fichi ci dava una grande carica. L’otto settembre è la
risata che scandisce l’ormai tradizionale appuntamento della mezza festa con il
teatro dialettale. Raccontare l’otto settembre è raccontare l’emozione che provo
quando, la mattina, ancora in pigiama, dal balcone, mi fermo ad ascoltare le
marcette della banda; e non vedo l’ora di andare in piazza, con il vestito più
bello, perché lì la banda allieta il pubblico mattutino con l’ultimo pezzo prima
dell’inizio della Messa. Raccontare l’otto settembre è raccontare l’emozione che
provo quando, durante la Messa, comincio a sentire la voce del banditore che dà
inizio all’asta.
Quando, uscendo sulla piazza, la vedo inondata di sole e di
festa, e non voglio volgere il pensiero a come sarà domani. Quando la Madonna
viene portata sul sagrato e viene omaggiata della tradizionale marcia e poi,
sulle spalle dei vincitori dell’asta, viene solennemente portata in processione.
Raccontare l’otto settembre è raccontare l’emozione che ho provato, quest’anno,
nel portare Quel peso (eppure così leggero), sebbene per un breve tratto.
E’
raccontare l’appagamento dello stare insieme ai familiari e agli amici, del
calore delle persone care, che ti scalda il cuore.
E’ l’emozione che provo
quando vedo la “mmammoccia” raggiungere la piazza e danzare tra la folla dei
giovani che le fa attorno un girotondo; ma, ahimè, è anche l’emozione del
momento di bruciarla, che arriva sempre troppo in fretta. L’otto settembre è
quel grande senso di tristezza che mi prende nel veder volar via i mille
pezzetti di carta bruciata e, insieme a loro, i ricordi belli e brutti di
un’estate terminata. Raccontare l’otto settembre è raccontare l’emozione che
provo quando parte dal campo sportivo il primo colpo di sparo, che squarcia il
silenzio del piazzale e il blu della notte. I bagliori di luce che seguono
rischiarano l’intera vallata accompagnati da effetti sonori che si fanno via via
più intensi. Fino all’ultimo colpo, quello che mi rimbomba dentro, quello che
ogni volta non vorrei mai sentire. Perché segna la fine delle feste, di
un’estate, di un anno; l’inizio del nuovo anno, per noi ortonesi. Quel senso di
malinconia che accompagna l’otto settembre che se ne va lo provavo da piccola e
continuo a provarlo ancora adesso; insomma si cresce, ma certe emozioni restano;
ma è una malinconia che lascia sempre il posto a un sentimento di ottimismo e di
fiducia per il nuovo anno che verrà; mi piace pensare al grande falò della
“mmammoccia” non solo come al simbolo dell’estate che finisce, ma anche come al
buon auspicio per l’inizio di un’altra stagione. Raccontare l’otto settembre è
raccontare questi sentimenti che solo pochi, direi “privilegiati”, possono
provare e comprendere. E’ anche questo è il bello dell’otto settembre.
Francesca
D. B.
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