I PUPAZZARI

Una passione indescrivibile nella costruzione della “Mammoccia”, una delle tradizioni più antiche delle feste ortonesi.

 

Dunque la pupazza…non vi aspettate certo un resoconto sulle tecniche di costruzione, sui procedimenti: la pupazza non è questo, almeno per me! Quando mi hanno proposto questo articolo sono stata più entusiasta del solito perché la “mammoccia” a Ortona è di vitale importanza, perché l’argomento non era mai stato affrontato approfonditamente ma soprattutto perché le emozioni che “vi girano attorno” non sono facilmente note al pubblico. Dagli inizi di agosto si incomincia a vociferare la fatidica domanda:”Oh, ragà ,che mammoccia facciamo?”. Allora si cerca di ripercorrere gli eventi più eclatanti dell’anno cercando di estrapolarne i protagonisti e pensando, eventualmente, a come realizzarli. Ovviamente è sempre difficile “accordare campane diverse”: chi dice din, chi don, chi dan, chi dice den perciò alla fine la maggioranza vince! I lavori hanno inizio intorno al 20 di Agosto.

 

Dicevo prima la pupazza…

È un’emozione il primo giorno quando arrivi al “cantiere” in mezzo a stecche, ferri, tenaglie…

È un’emozione quando decidi le misure per le famose “basi” (piede-vita) ripromettendoti di farle più piccole per questo anno, anche se invano!

È un po’ meno una bella emozione quando vedi e senti i primi tagli sulle dita... maledetti fil di ferro!

È un’emozione la competizione tra le due squadre di “muratori”, ognuna impegnata nella realizzazione del maschio o della femmina;

E’ un’imprecazione continua quando la forma è una vera e propria “ciofeca”. Allora la guardi e dentro di te pensi: ”Dio mio quanto sei storta!”. Ti posizioni di fronte a lei a un po’ di metri di distanza, la osservi attentamente e cerchi di capire dov’è che non va. Perciò ti riavvicini di nuovo e con la tenaglia rimuovi qualche ferro agganciando meglio le stecche, così da non farla essere “sgobbata” già dalla nascita. ”Diciamo che ora puoi andare...”. Intanto le stecche di legno che formano la struttura cominciano a riempirsi di scritte quali dediche, autografi di noi ”geppetti”, frasi, “motti” dell’estate in questione. ”Per oggi può andare”, così concludiamo le nostre giornate di lavoro. Allora rientriamo la pupa dentro il garage facendo attenzione a non far toccare le parti più alte della struttura con il soffitto ma, puntualmente, una botta in testa non manca mai!!

Puliamo il cantiere con ramazze e palette, mettiamo tenaglie e fil di ferro nel borsone e… tutti a casa per cena!

Sembrerà strano ma è un’emozione anche quando ,chi in macchina, chi in motorino, chi a piedi, ci avviamo verso il piazzale, ”tutt zuzz” e lì trascorriamo l’ultima mezz’ora del pomeriggio prima di andarci a “scozzare”.

Di nuovo, il giorno seguente alle 15:00 si torna al cantiere.

È un’emozione anche riaprire quel garage e trovarle ancora lì ad aspettarti. Tu le guardi e gli dici: ”Dove vi metto mano oggi?”.

Le tiri di nuovo fuori ed ecco arrivare l’emozione meno eclatante delle altre: oggi è il turno delle braccia, la cosa più antipatica da farsi! Ma tra un’imprecazione e una risata noi muratori audaci riusciamo a sistemare anche questa situazione. Siamo arrivati più o meno al 23 Agosto e le strutture sono quasi terminate. Intanto iniziano i lavori di costruzione del volto, qualcuno con doti più artistiche modella la creta, altri si occupano della “sottana”, ovvero del rivestimento inferiore a quel che sarà il suo abitino. Siamo ormai all’ultima settimana di lavoro, l’attenzione si sposta soprattutto sul rivestimento esteriore: qui non possiamo sbagliare! Noi stilisti dobbiamo ora cucirgli addosso l’abito più originale cercando di studiarlo in ogni minimo dettaglio. Cinte, arricciature varie, collane, camicette, orecchini: deve essere un vero e proprio schianto!

Diciamo che la sobrietà del classico ortonese viene ora sostituita dalla stravaganza più eccessiva!

È come se avessi una figlioletta e volessi cercare di vestirla quanto più carina per la festa del suo compleanno… già, proprio così, una figlioletta!In fondo anche Geppetto costruì Pinocchio come suo figlioletto!

Ora la osservi, pensi obiettivamente se il lavoro sia uscito bene o meno ma... bella o brutta sai dentro di te che è ancora tua. Inizi a sentire dentro un senso di possessione, di gelosia, di attaccamento, di affetto: guai a chi te la tocca! (anche se consciamente sai che non sarà così per sempre).I lavori terminano quando dentro noi vivono i sentimenti poco fa descritti. Il bello è quando arrivano le feste e lei è laggiù ormai terminata ma sola. Perciò ogni tanto vai a trovarla giusto per vedere se sta bene o meno, se ha bisogno di qualcosa…sempre a proposito di quel senso di maternità o paternità di cui vi ho parlato!

 

Ci siamo: è l’8 Settembre. Il giorno, tra una cosa e un’altra, passa velocemente. Arriva la sera, il dopo cena. Che dire… esci di casa con l’adrenalina in progressivo aumento e fino alle 23:00 sei sin troppo calmo/a. L’adrenalina cresce in maniera esponenziale dalle 23:30 in poi: perché? Io non vorrei peccare di presunzione ma credo che non tutti possano capire e provare certe emozioni. Sì, sicuramente nei cuori di tutti sono presenti la gioia, l’ansia per l’attesa della mezzanotte...almeno questa è l’aria che si respira in piazza. Non è proprio questa l’aria che si respira sotto la piazza, più o meno davanti Alfonso. E’ lì, infatti ,che ci troviamo noi pupazzari. ”Ragà andiamo?”, ”Chi manca?”, ”Oh, andate un po’ a chiamare Tizio e Caio!?”. Quando ci siamo tutti… si parte! Mi vengono i brividi solo a pensarci. Quando scendiamo giù, come una squadra di poliziotti che devono andare a prendere qualcuno, ognuno è assorto nei suoi pensieri. Sembrano i 500 m più lunghi della nostra vita. Non vedi l’ora di prenderla ma nello stesso tempo vorresti proteggerla dagli sguardi di tutti perciò la terresti lì dentro in eterno. Se qualcuno mi chiedesse quali sensazioni si provano quando apri quel garage per prenderla... non saprei cosa rispondere. Fammi pensare… ecco: è come se la nostra figlioletta dovesse partire per un posto lontano per sempre e tu, allo stesso tempo, devi rassegnarti al pensiero che le cose non andranno diversamente. Almeno questo è quello che sento io. Insomma la tiriamo fuori casa, le ultime foto con i parenti e poi su verso il piazzale con lei sulle spalle.

 

Generalmente il maschio raggiunge la donna in piazza passando per un’altra strada: questo è solo per suscitare un effetto sorpresa! Comunque, dicevo: arrivata al piazzale mi capita di rimuovere tutti i più malinconici sentimenti e di pensare solo a farle festa, d'altronde ormai è inutile piangersi addosso, non posso di certo cambiare io le cose… e poi è giusto che vada così. In piazza noi pupazzari ci sentiamo un po’ protagonisti della situazione, come body guards! Le balliamo attorno cercando, allo stesso tempo, di proteggerla da calci e spintoni. Ma soprattutto… è solo in piazza che, tra le luci provenienti dal palco e la chiesa illuminata sullo sfondo, ti rendi conto della bellezza di quel momento. E’ come se non sentissi neanche la musica perché quel che contano sono solo i tuoi occhi per vederla danzare e il tuo cuore che sprigiona allegria! Senza rendertene conto arriva il momento della famosa partenza per un posto lontano... davanti a te le fiamme altissime illuminano la tua mente facendoti ripercorrere velocemente i momenti più vivi dell’estate. E poi non potete capire che emozione riuscire a leggere tra le stecche in fiamme le ultime dediche ricordandoti di quei momenti laggiù al cantiere. Infine dal profondo del cuore le lanci l’ultimo saluto: ADDIO MIA CARA, TI VOGLIO BENE!      

 

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