24 luglio... quindici giorni dopo

I segni indelebili di una giornata da dimenticare. Il racconto di un paesaggio incredibilmente triste.

 

A quindici giorni esatti da che una mano criminale ha listato a lutto la montagna della Sfessa, M., P.A.,L. ed io, decidiamo di andarvi a fare una passeggiata.

Partiamo di buon’ora armati di binocolo, borraccia e qualche panino nel caso ci venga fame.

Scendiamo per Via dell’Officina e seguendo il sentiero che taglia la costa del fiume anch’essa aggredita dal fuoco, pietraia annerita dalla fuliggine, raggiungiamo il ponte delle Femmine che ci traghetta al di là del fiume, ai piedi della montagna.

Il ponte è malridotto, bisognoso di qualche intervento conservativo ed il panorama è completamente stravolto dall’incendio: i salici piegati su se stessi, i cespugli ridotti a spuntoni carbonizzati che ci disegnano i vestiti, l’odore persistente della cenere.

Iniziamo l’ascesa alla Sfessa, a est i primi raggi del sole svegliano la valle.

Sotto i nostri piedi lo strato di cenere attutisce il rumore dei passi.

Resto indietro di una ventina di metri dai miei compagni, le mie gambe afflitte da una cronica sciatalgia non rispondono bene alla cadenza della marcia e allora cerco di staccarle dal cervello pensando ad altro.

Nella mente affluiscono pensieri vari, riflessioni sulla ormai desolante fetta di territorio sconvolta dal fuoco.

Penso ai cervi, alle famigliole di cinghiali, alle volpi, ai rapaci, agli insetti ed a quanto deve essere stata  terrificante e forsennata la fuga da lì…e poi mi dico che non ci saranno state vittime perché gli animali avvertono in anticipo il pericolo…. e così avranno avuto tutto il tempo di mettersi in salvo… e lo spero davvero tanto (1° speranza).

 

Comincia a far caldo e intanto siamo arrivati vicino alla pineta: ormai solo i fantasmi di quelli che erano i maestosi pini piantati più di cinquant’anni fa dalla nostra gente. Una perdita pesante, difficile da rimpiazzare in breve tempo ma l’iniziativa “Un Bosco per Ortona”, presa immediatamente dopo l’incendio potrebbe portare a qualcosa di positivo… e lo spero davvero tanto (2° speranza).

 

Una nuvola di insetti ci fa compagnia durante il tragitto. “Buon segno” mi dico. Buon segno perché significa che la vita sta tornando, gli insetti ricolonizzano la zona, portano pollini, spore e quant’altro serve a dare inizio ad un nuovo ciclo biologico. E allora penso all’importanza di questi piccoli animali, considerati fastidiosi e perseguitati da spray e palette e mi torna in mente nonna L., a tutte le volte che andavo a casa sua a bere l’acqua dalla conca e con la porta sempre aperta le mosche entravano e uscivano.. “Nonna L. è pieno di mosche, non ti danno fastidio?” “ E che vuoi che sia”, era la risposta, ” tu non lo sai che questi piccoli animali sono i pellegrini di Dio!”.  Rifletto: da una parte le mosche considerate pellegrini di Dio e dall’altra il  famigerato DDT spruzzato a dosi massicce. Mah…modi diversi di vedere le cose.

 

Però rispetto all’ambiente si dovrebbe scegliere un percorso comune, un’unica strada da percorrere insieme. L’intero pianeta è trafitto dagli innumerevoli errori dell’uomo che in nome di un qualcosa che non sto qui a dire disbosca l’Amazzonia, intrappola i fiumi, avvelena l’aria, l’acqua ed il suolo, scioglie i ghiacci del Polo Nord, produce rifiuti, mette fuoco alla Sfessa…, consideriamo l’orso che viene a far visita ai nostri pollai perché ha fame, estremamente pericoloso e non consideriamo che gli animali davvero pericolosi siamo proprio noi. Un centinaio di galline mangiate dall’orso e questo disastro sotto i nostri piedi, chi ha fatto più danno?

 

E mi vengono in mente gli Indiani d’America, la loro esistenza vissuta in perfetta armonia con l’ambiente.

La convinzione che tutto il Creato appartiene al Grande Spirito, che tutto quello che esso contiene è in prestito, non è nostro, dobbiamo restituirlo così come ci viene dato e averne cura.

Essi dicono che dalla terra vengono grandi doni: il bisonte, l’acqua, il falco, gli alberi della medicina, il cavallo, il tutto arrivato sulla terra da una scintilla di fuoco buono e con tutto ciò sentirsi fratelli, uomini e animali a respirare la stessa aria, a bere la stessa acqua. Se mai rinascerò ad altra vita pregherò il Grande Spirito di farmi nascere Sioux! (3° speranza)

Per un attimo mi si ricollegano le gambe al cervello e so che domani manifesteranno tutto il loro disappunto per la scarpinata di oggi ma continuo a non pensarci e continuo a parlarmi addosso.

 

C’è il fuoco buono e quello cattivo.

Elenco del fuoco buono: il fuoco d’amore, il fuoco sacro dell’arte, il fuoco del camino, il rossetto rosso fuoco, la fiamma dello Spirito Santo, i Vigili del Fuoco, il fuoco rigeneratore, il fuoco purificatore…

 

Elenco del fuoco cattivo: il fuoco dell’Inferno, i roghi dell’Inquisizione, il fuoco della caccia alle streghe, il fuoco delle Torri Gemelle, il fuoco della guerra, le armi da fuoco, le bocche da fuoco, il fuoco della Sfessa…

 

Ci avviciniamo alla meta: la stretta fessura, la Sfessa appunto, è sopra di noi.

Riesco ad arrampicarmi mani e piedi e stanca morta entro nel piccolo antro.

Fa quasi freddo e in lontananza Ortona ci appare di spalle.

Sembra un altro paese da questa angolazione.

Monte Falcone è completamente annerito fino al fiume, i mandorli sono ancora lì e mi auguro che a primavera torneranno a fiorire, devono tornare a fiorire.

Non riesco a dire nulla ai miei compagni di viaggio: penso solo al rischio corso quindici giorni fa.

Davvero grande perché si trattava del fuoco cattivo che ci ha mostrato tutta la sua violenza e la sua forza.

Difficile da dimenticare il 24 luglio, resterà negli annali ortonesi per sempre.

Questa gigantesca ferita con il tempo rimarginerà ma resterà la profonda cicatrice del colpo ricevuto.

Tornerà a crescere l’erba, torneranno gli animali, torneranno gli uccelli rapaci con il loro volo circolare, cercheremo di piantare nuovi alberi e tutto ricomincerà (4° speranza).

 

Guardo Ortona accarezzata dal sole, vedo la mia casa dalle Mandrille e penso che la prima cosa che devo aver visto neonata è stata proprio la montagna della Sfessa, così vicina che se allunghi una mano la tocchi, bastione naturale a difesa di tutto, imponente e severa… che quel brutto giorno non abbiamo potuto difendere.

 

Mi guardo le mani: sono sporche di cenere, penso che ci vorrebbe una bella pioggia a lavarla via, la cenere, una bella pioggia che insieme al sole farà rinascere l’erba e così sarà perché la natura è una madre che non abbandona (5° speranza).

 

Tutto intorno c’è silenzio, per un attimo non parla nessuno del gruppo e allora penso al silenzio e mi torna in mente M. P. quando ha detto che il silenzio non si osserva, il silenzio si canta…ed in questo silenzio si alza il mio canto d’amore per Ortona, il mio paese, la mia culla.

 

                                                                                                                                                             Marina

 

 

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