24 luglio

Un terribile incendio mette a dura prova il nostro paese.

 

L’estate del 2007 ha lasciato in tutti noi ortonesi il brutto ricordo dell’incendio che, il 24 luglio, ha bruciato le nostre montagne, minacciando anche l’abitato di Ortona. Il fuoco ha cancellato, con la sua furia devastatrice, un patrimonio naturale di un’estensione di circa 300 ettari. Ma quella del 24 luglio non è stata una ribellione della natura contro lo strapotere dell’uomo. In questo caso, e per tutti gli incendi che hanno distrutto il centro-sud Italia, la natura è stata la vittima della mano criminale dell’uomo. La straordinaria aridità del clima di questa stagione e l’assenza di campi coltivati e arati hanno certamente alimentato la diffusione degli incendi, che, tuttavia, sono stati appiccati da gente senza scrupoli, senza cuore né cervello. Ma non spetta a me giudicare e non vorrei dilungarmi troppo in una questione più grande di me.

Ho vissuto quei tragici momenti, che, credo, rimarranno sempre nella memoria di tutti noi; essi resteranno una cicatrice lasciata da una profonda ferita. Già, una ferita! Come quella che noi, da sempre, chiamiamo la Sfessa! Essa non è altro che una grotta scavata nella montagna, ma somiglia a un vero e proprio taglio.

Da lì ha avuto origine il disastro.

Nella tarda sera del 23 luglio il fuoco viene appiccato nel versante del monte Civitella, che si affaccia sulla piana del Fucino. Nelle prime ore della mattina seguente le fiamme raggiungono la Sfessa. Nell’aria si respira l’odore acre del fumo, che offusca la luce del sole, tanto che sembra si stia facendo notte. Soffia un vento fortissimo e insolito. Sono le 9:30. Esco di casa, per andare a sbrigare una commissione a Carrito. Al piazzale incontro Petia, una bambina bulgara, con un fazzoletto sulla bocca e sul naso, per non respirare tutto quel fumo. Le dico di tornare subito a casa perché l’aria sta diventando irrespirabile. Mentre mi allontano con la macchina, vedo dal “chilometro” che una nuvola grigia avvolge Ortona e, qualche minuto dopo, da Carrito, posso constatare che il mio paese è completamente invisibile. Sta accadendo qualcosa di grave, ma non riesco o non voglio rendermene conto.

E’ quasi mezzogiorno quando ritorno a Ortona. Il fumo che la circonda non si è per nulla diradato, anzi si è fatto più fitto. Lungo via Roma e al piazzale c’è un via vai convulso di macchine; molte persone visibilmente spaventate sono scese davanti al comune, qualcuno piange. Ci sono i Carabinieri, le Guardie Forestali, le Guardie del Parco e gli uomini della Protezione Civile.

Mi dicono che il fuoco ha raggiunto la rimessa del comune, così mi precipito verso casa, che si trova proprio lì vicino. Non mi fanno passare. Bruciano alcune macchine parcheggiate davanti alla rimessa e bruciano alcuni pini, che si trovano a pochi metri dalla mia casa. Le fiamme sono arrivate sotto “i casal” e, dunque, tutte le costruzioni situate in via dell’Officina sono in grave pericolo. I Vigili del Fuoco sono all’opera, ma anche molti volontari di Ortona e gli operai del Comune mettono a disposizione forze e mezzi, per far fronte al fuoco.

Ho una grande paura e leggo il terrore sulle facce di chi mi sta intorno. Il fuoco, ormai, circonda Ortona: il forte vento lo ha spinto oltre il fiume Giovenco e le fiamme adesso minacciano “Casa Calla”, la torre e le case vicine. Sono momenti di panico: il sindaco dispone l’evacuazione del paese. Molti anziani e bambini vengono portati, con i mezzi privati e comunali e con i pullman messi a disposizione dall’Arpa, a Pescina, dove vengono calorosamente ospitati presso l’edificio delle Scuole Medie. Coloro che, invece, rimangono a Ortona, si danno un gran da fare perché i vigili non riescono da soli a far fronte a tutti i focolai, che circondano il paese. Anche molti abitanti delle frazioni arrivano in nostro soccorso. Ci fanno indossare delle mascherine perché fumo e cenere attanagliano la gola. Inoltre si percepisce una temperatura, che, credo, sfiori i 40 gradi. Il fuoco è ormai quasi arrivato vicino alla strada provinciale, che porta a San Sebastiano.

Nei pressi del campo sportivo possiedo una stalla dove dimorano tre cavalli e alcune pecore; succederebbe una catastrofe se cominciasse a bruciare la struttura in legno della stalla e il grande cumulo di paglia che si trova a fianco. Io ed alcuni amici ci rechiamo là, facciamo uscire le cavalle e, portandole con la cavezza, percorriamo la strada vecchia, che conduce a Sulla Villa; le povere bestie sono fiaccate dal caldo e dal fumo, ma, sebbene a fatica, riusciamo a trarle in salvo nella vicina frazione di Ortona. Qui alcune mamme, in preda al panico, stanno portando i loro bambini a Pescina.

Tornata a Ortona, vado a sincerarmi della situazione a casa mia: i miei stanno bagnando la terra con delle pompe perché le fiamme sono proprio ad un passo.

Sono le due del pomeriggio. Faccio un giro per il paese insieme ai carabinieri, per accertarci che l’abitato sia stato completamente evacuato. Convinciamo gli anziani rimasti a casa ad andare a Pescina, con la promessa che torneranno la sera stessa. Ma gli altri sono determinati a rimanere in paese, non vogliono lasciare le loro case in balìa delle fiamme.

Nel tardo pomeriggio la situazione sembra essersi normalizzata: Ortona è salva, anche se il lavoro dei vigili continua incessante durante tutta la notte e nel giorno seguente. Il fuoco brucia ancora una casa, vicino al “serbatoio”, che viene sorvegliata per tutta la notte. Ogni tanto qualche piccolo focolaio si riaccende qua e là, ma il pericolo, per l’abitato di Ortona è scampato. Con il passare delle ore, però, la situazione sta diventando critica sul monte Faito. Il monte Civitella e il monte Parasano offrono uno spettacolo desolante, funereo. Intanto una grande macchia di querce e faggi muore sul Faito, dove si spostano l’attenzione e i mezzi di vigili, forestale e volontari.

Soltanto dopo alcuni giorni, grazie all’impiego di canadair della Protezione Civile, l’incendio verrà spento completamente anche sul Faito.

Il 24 luglio un nostro simile ha dolosamente colpito le nostre stupende montagne, distruggendo, dunque, una parte di noi stessi e minacciando di spezzare il legame che ci unisce alla nostra terra. Ma quel legame nessuno potrà mai reciderlo.

 

                                                                                                                                                             Francesca

 

 

su Alcuni Momenti le foto della terribile giornata; si ringrazia Toni per il contributo fotografico