MIETITURA E TREBBIATURA
Nel mese di luglio e di agosto si svolge la festa del raccolto e dell'abbondanza
I piccoli universi rurali, come quello di Ortona, sono scanditi dal ritmo di una natura, a volte amica a volte nemica che, attraverso le stagioni, fissa il calendario dei raccolti.
E così, d’estate, l’appuntamento è con la mietitura e con la trebbiatura.
Torniamo con la mente al passato quando la raccolta del grano era un vero e proprio rito, contornato da un’atmosfera di festa, quasi d’esorcismo alla povertà: con il grano il pane. Prima dell’avvento della trebbia a motore, i nostri contadini raccoglievano il grano con un’operazione lunga che richiedeva l’aiuto delle bestie. L’operazione era la " trescatura " ( non riusciamo a dare una traduzione appropriata al termine).
I covoni mietuti venivano messi sull’aia e i chicchi di grano cadevano sotto gli zoccoli degli animali, muli e cavalli, che calpestavano le spighe mature lasciando cadere i chicchi. Il grano veniva raccolto e passato in enormi setacci, di solito appesi nelle rimesse, chiamati " crivelli" e poi, una volta pulito, sistemato nei sacchi.
Durante la mietitura la nostra valle risuonava di canti. Il grano veniva mietuto a mano con le " sarrecchie" (falcetti), le dita venivano protette dai " cagni" una specie di guanto di canna: si facevano le " manoppie " ( covoni) e poi, a dorso di mulo (r'caccià), si portavano all’aia.
All’aia si costruivano le casarce che erano delle costruzioni di covoni, di forma quadrata e la loro grandezza auspicava il buon raccolto.
L’aia diventava il punto centrale della vita paesana: qui si svolgeva tutto poiché la trebbiatura durava diversi giorni. Le donne preparavano i pasti che venivano consumati all’ombra delle casarce. Il motore della trebbia in funzione risuonava fino a tarda notte ed il via vai dei muli con il prezioso carico segnava le strade di Ortona.
Quando si trescava e quando le prime trebbiatrici ancora non erano state congeniate per imballare, era compito delle "pajarole" trasportare la paglia. Un lenzuolo faceva da contenitore: una volta che era stato sufficientemente riempito di paglia veniva chiuso incrociando gli angoli e, posto sulla testa delle donne, (di qui "pajarole"), come un grande fagotto veniva portato nei pagliai. Oggi, grazie all’imballaggio, la paglia viene compressa; allora, invece, erano i bambini che, dietro la promessa di qualche spicciolo, avevano il compito, per loro un divertimento, di correre e saltare sulla paglia per pressarla, in modo da poterne infilare nel fienile in grande quantità.
Alcune donne andavano a fare le "pajarole" nei paesi vicini: lavoravano intere giornate pur di ricevere in pagamento un po’ di grano che avrebbe assicurato il pane per la famiglia.
Il sole cocente di luglio esasperava il profumo della polvere che si alzava dall’aia quando la trebbia separava la pula dal grano, mentre il fruscio dei chicchi che cadevano nei sacchi rallegrava il cuore del contadino.
Nell’attesa della trebbiatura si temevano gli incendi e le piogge ed i contadini erano vigili. L’aia diventava un luogo sacro, ognuno attendeva il proprio turno anche se non sempre si evitavano le discussioni. Il cuore della vita agricola ortonese batteva più forte durante la raccolta del grano.
Oggi non è più così: la coltivazione del grano non è più intensiva ma la trebbiatura resta sempre un bel momento da vivere. Oggi il grano non viene neanche più mietuto a mano: il contadino aspetta la mietitrebbia, il suo lavoro si limita alla preparazione dei sacchi e ad indicare i confini della terra. Egli è diventato lo spettatore silenzioso della raccolta del grano affidata, in questi tempi moderni, a macchine sempre più potenti. Quando la trebbia spegneva il motore, si dava fuoco alle stoppie per preparare la terra ad accogliere il prezioso seme che avrebbe assicurato a tutte le famiglie il pane quotidiano.
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M. Eramo |