LA GRANDE GUERRA

Alla memoria degli ortonesi che hanno sacrificato la loro vita per la Patria

 

La Grande Guerra (1914-1918) è stata un'immane tragedia: settanta milioni di soldati coinvolti e nove milioni di vittime sono il triste bilancio di un'onda d'urto che sconvolse il mondo.

Anche Ortona fu raggiunta dai tentacoli di questo mostro, subendo la perdita di vite umane, soldati mutilati e di uomini che, tornati a casa, non sono stati più gli stessi.

Furono chiamate alle armi diverse classi di giovani di leva ortonesi (1895-96-97-98-99) e dislocati sulle montagne di Trento, sull'altopiano carsico, lungo il Piave e l'Isonzo (confine austriaco, Trentino Alto Adige). Con le tradotte raggiungevano i punti di raccolta e dopo, il fronte. Anche gli emigrati in America furono richiamati e rientrarono per difendere la patria. Le notizie di quello che succedeva al fronte raggiungevano Ortona e l'effetto era impressionante: i gas asfissianti, le trincee in montagne coperte dalla neve perenne, il massiccio uso delle armi procuravano una sola reazione: la paura.

Vogliamo raccontare alcune storie emblematiche del profondo strazio che Ortona visse in quel periodo. Un " ragazzo del 1899" ortonese quando ricevette la chiamata alle armi non seppe far altro che piangere, ma partì con la disperazione nel cuore. Questo ragazzo, appena diciannovenne, non tornò. La madre lo pianse per anni, quando non pianse più, la sua mente era ormai persa nei labirinti della follia e, a guerra finita, continuava a preparare pacchi da inviare al fronte.

Alla memoria di questo Ortonese fu conferita una fredda medaglia di bronzo che reca questa scritta: Guerra 1915-1918 Per l'unità d'Italia Coniata con il bronzo nemico. Un'altra storia è quella del padre di famiglia che subì il ricordo scioccante della trincea, rivivendo per anni gli scenari della guerra, non riuscendo più a riconoscere la realtà.

Tra i reduci ortonesi ci furono i mutilati: un soldato perse un occhio, un altro una mano, un altro tornò con i piedi congelati e zoppicò per tutta la vita. Al reduce con i piedi congelati venne data l'onorificenza di " Cavaliere di Vittorio Veneto", portata sempre con orgoglio.

Alle famiglie le notizie arrivavano con molto ritardo, di solito veniva informato il Comune che informava il prete, il quale aveva il duro compito di riferire le tragiche novità. Come quando dovette informare una madre ortonese che il suo terzo figlio era caduto: lo fece durante la celebrazione della Messa. Nel momento in cui offriva la Comunione a questa donna, le sussurrò "... un altro...".

La Grande Guerra ha lasciato segni indelebili nell'animo dei protagonisti, non sono riusciti a dimenticare. Nella memoria di chi scrive, c'è la figura di un reduce che, ormai vecchio, non riusciva più a raccontare le vicende di guerra che lo videro protagonista: una grande emozione lo coglieva e un pianto amaro gli impediva di parlare. Alcuni di questi soldati hanno battezzato i propri figli con nomi legati ai luoghi della guerra, nomi come Trentina e Triestina. Alcuni caduti ortonesi riposano nel Sacrario di Redipuglia di altri non si sa nulla. I modi di morire al fronte erano diversi: il piombo, i gas e anche le valanghe.

I testimoni ortonesi di questo grande dramma non ci sono più ed il loro sacrificio è testimoniato dal Monumento ai Caduti. Fu eretto dopo la guerra con il contributo degli ortonesi d'America, la statua che lo sormonta è un fante che stringe la bandiera italiana. Un altro luogo simbolo del ricordo è il Parco della Rimembranza: ogni albero rappresenta un caduto. Oggi ospita il monumento all'Alpino. Ogni anno, l'otto settembre, Ortona rende omaggio ai suoi eroi.

La Grande Guerra è lontana nel tempo, del resto è passato quasi un secolo, ma i tempi della storia non sono mai lunghi: l'umanità è autrice della Storia e noi, uomini e donne del duemila, che non abbiamo conosciuto le brutture della guerra, dobbiamo essere autori ed autrici della pace. Fra le generazioni perdute con la Grande Guerra ci sono anche gli Ortonesi: ad essi va il ricordo, il rispetto e la pietà, a noi l'insegnamento che la pace che viviamo oggi, è il dono del loro sacrificio.

 

M. Eramo