ORTONA MILLENOVECENTO... UN BIGLIETTO ORTONA - FRASCATI, ANDATA E RITORNO...
Per più di mezzo secolo gli ortonesi con profondo sacrificio si riversano nelle campagne romane in cerca di lavoro
Tutti gli anziani di Ortona sanno cosa vuol dire "scassà I' vign".
Per i più giovani, diciamo che "scassà" vuol dire lavorare la terra in profondità, per interrare le propaggini della vite e, dare così origine ad una nuova vigna.
Il vino di Frascati è famoso in tutto il mondo, per gli Ortonesi le vigne di Frascati sono state fatica e sudore per molti anni.
Ortona ha conosciuto due tipi di emigrazione: una esterna verso l'America e una interna verso la campagna romana. Fraschet'... Frascati appunto.
Molti uomini lasciavano il paese e, da Napoli si imbarcavano sui "legn"' (le navi) per raggiungere l'America e lì adattarsi ad ogni tipo di lavoro; soprattutto in miniera "c' lum' 'nfront".
Parallela a questa emigrazione sebbene non massiccia, c'era quella verso Frascati.
La magra economia agricola ortonese, i lunghi inverni, la mancanza di flusso costante di denaro, le tasse da pagare obbligavano i nostri padri a raggiungere la campagna romana che richiedeva manodopera. Andare a Frascati è un fenomeno ortonese lontano nel tempo, se pensiamo che mio nonno (classe 1875) a dieci anni andava a Frascati con il padre a raccogliere le olive (a' rcogl' la jiva).
All'inizio del '900 il viaggio si affrontava con il carro (jì traìn'), in bicicletta ed anche a piedi, percorrendo la Tiburtina Valeria fino a Roma.
Con l'entrata in funzione della ferrovia, gli spostamenti diventarono più comodi. Con la seconda guerra mondiale ed il bombardamento del "ponte della valle", i viaggi tornarono ad essere avventurosi.
Con l'esodo frascatano a Ortona restavano le donne ed i bambini, in attesa, di notizie dai mariti e dai padri e, a marzo, il ritorno.
La partenza era prevista per ottobre, quando gli uomini avevano assolto tutti i lavori dei campi. Giunti a Frascati, gli uomini venivano contattati dai vignaioli del padrone e alloggiati in casolari, di solito in campagna, dette in dialetto nostro "stenzie" (stanze).
Alcuni ortonesi erano proprietari di "stenzie": la "stenzia d' Zuzzurra", la "stenzia d'Arculetta". Nelle "stenzie" si faceva vita comune, si mangiava insieme e si dormiva insieme sui pagliericci.
La giornata di lavoro cominciava presto, appena giorno e si prolungava per sei o otto ore. Nella piazza si formavano le squadre e la paga era intorno alle quindici venti lire al giorno. Con la "lupetta" (cinquanta lire) pagavano la vangatura che veniva retribuita di più.
I pasti erano forniti dalla "mnstrara" che, a prezzo fisso, cucinava riso, pasta e altro. I generi alimentari li vendeva "Richett" sposato con una ortonese (la figlia "d' Trian"), nel cui negozio arrivava anche la posta.
Gli attrezzi agricoli li vendeva il negozio di "B'far" (ancora aperto a Frascati), dove i nostri contadini riparavano gli utensili e affilavano le lame.
I lavori svolti non erano solo la semina di nuove vigne e la vangatura, ma anche la vendemmia e tutte le operazioni necessarie alla preparazione del vino nuovo.
I cinque - sei mesi di campagna frascatana erano di "fuoco" (così li ha definiti mio padre): la fatica era tanta, ma i nostri hanno sempre goduto della fiducia dei padroni e della gente del posto. Gli aprivano crediti se ne avevano bisogno, perché poi, l'onestà e la lealtà degli ortonesi era risaputa.
Il lavoro duro di Frascati ha temprato tutti, tanto che i protagonisti dicono di aver fatto "I'Accademia", nel senso che, chi ha provato Frascati è pronto a tutto... scuola di vita.
Non mancano episodi simpatici come quello dell'asino "d' Meuz". I Meuz partiva con l'asino e tornava con un asino nuovo: a Frascati lo cambiava e questo succedeva tutte le volte. Insomma I Meuz cambiava l'asino ogni sei mesi. 0 come gli episodi di incompatibilità tra padre e figlio nella vita promiscua della "stenzia".
Con questo racconto non vogliamo suscitare reminiscenze di Siloniana o tantomeno Verghiana memoria. Gli ortonesi a Frascati non sono stati né i "fontameresi" (sfruttati e ingannati) né i "vinti" della società agricola siciliana (condannati per sempre da un avverso destino). Per l'Ortonese andare a Frascati era naturale, quasi congenito ed ereditario, non era sottomissione o rassegnazione. Era affrontare con estrema dignità una reale situazione di bisogno. Gli ortonesi erano stimati, pagati a tariffa sindacale e trattati con rispetto. In molti casi al rapporto padrone operaio è subentrata una forte amicizia che è durata nel tempo. Il filo diretto Ortona - Frascati c'è ancora, è come uno scambio amichevole, quasi di parentela. Tanti frascatani, figli e nipoti di antichi datori di lavoro, vengono a villeggiare a Ortona, durante la seconda guerra tanti sfollati trovarono ospitalità da noi e chi non ricorda la ventata di gioventù che portavano i ragazzi della GIOC quando trascorrevano le loro vacanze estive in Ortona!
E poi tanti Ortonesi hanno scelto di restare a Frascati e di vivere lì la loro vita, facendo notevoli progressi. Altri non hanno fatto questa scelta, come mio padre, perché la nostalgia per le sue montagne era troppa (così dice).
L'emigrazione stagionale finì intorno agli anni '60, quando anche per Ortona si aprirono nuovi orizzonti di lavoro. Con la primavera, a Ortona tornavano "I' rndnell'" e gli uomini da Frascati. I soldi non erano molti e servivano per comprare le scarpe ai bambini, la stoffa per il vestito nuovo "p' ji'ozzttemmar" e per pagare le tasse ... I' fndvarie... i' fcat'.
Queste poche righe vogliono essere l'omaggio allo spirito di sacrificio degli Ortonesi, affinché sia d'esempio alle generazioni presenti e future. Qualche tempo fa, sono passata a Frascati per turismo: Beh... ho sentito aria di casa.
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M. Eramo |