UN AMORE LEGATO DA UN FILO TRASPARENTE
Ortona dalle lontane Americhe
Il giorno è arrivato. Domani si parte alla scoperta di una nuova Ortona. Non più quella circondata da montagna, non più Ortona “c’ la Sfessa” (con la Sfessa), né quella “c’ la torr ei campanil”. Non più Ortona su quel monte che la innalza come su un piatto d’argento, mettendola in mostra da lontano in mezzo a un cielo più o meno blu. Non più quella Ortona così piccola e graziosa in ogni suo angolo, in ogni sua usanza, in tutta la sua anima. Quello che andremo a scoprire non è il corpo di Ortona, non sono le sue vesti, ma quello che si nasconde sotto…sotto la pelle, sotto la gabbia toracica, più o meno a sinistra. Quello che batte forte e che conserva al suo interno i ricordi, le emozioni, l’amore. Le chiavi di questo cuore non le possiede solo Ortona in sé per sé, neanche solo i suoi abitanti, ma anche dei corpi che si trovano lontani da qui e che sono rimasti legati a un filo trasparente più o meno dagli anni ’60, quando la difficoltà della vita di tutti i giorni rendeva tutto più difficile e li spingeva una mattina ad alzarsi in piedi, a uscire di casa e a lasciare alle spalle le radici di quei loro cuori. Quei cuori salivano poi su un aereo maledetto e dico maledetto perché li avrebbe allontanati per migliaia di chilometri dal loro guscio… allora povero, pesante da portare sulle spalle, ma in ogni modo caldo. Semplicemente la loro casa. E sapete cosa significa la parola “casa”? Significa “noi stessi”... e andare così lontano “scappare da noi stessi”. “a zia, s’ tneva i sold p’ j’aerj rparteva i jurn appress, ma vi ca mi so tnut da fa prstà pur p’ partì”!? (a zia, se avevo i soldi per l’aereo sarei ripartita il giorno dopo, ma vedi che ho dovuto farmeli prestare pure per partire). E io che mi chiedevo cosa sarebbe significato non tornare più indietro, lasciarmi alle spalle tutto ciò che era la mia vita. Chiedevo come era stato possibile dire addio per sempre alla loro terra. Mi rispondevano con occhi pieni di malinconia e nello stesso tempo di rassegnazione “a zia n tnarram manc j’occhj p’ piagn. L’ se quant piegn m’ so fatta, ma cumma faceva a rpartì s’ n’ tneva i money?” (a zia non avevamo neanche gli occhi per piangere. Lo sai quant’ho pianto, ma come facevo a ripartire se non avevo il denaro?). E mentre ridevi per quel loro modo buffo di dire dieci parole in dialetto e una sola in inglese, pensavi a quanto fosse stato duro da accettare. Quante volte si saranno voltati indietro a guardare Ortona per l’ultima volta? Quell’ultima volta che non bastava mai? Quante volte tu ti saresti girato a guardarla così in alto, su quel monte che la innalza come su un piatto d’argento in mezzo a un cielo più o meno blu? Fortunatamente sono due le facce della medaglia e, se la metti in gioco, è impossibile che esca sempre la stessa. Se un lato è malinconia, dispiacere e sofferenza, l’altro deve pur essere, non dico tanto ma, almeno un briciolo di soddisfazione. Infatti mi dicevano “ecc però c’ sten i money, mica cumma all’Italia”!!. Per un attimo ti sentivi colpire dentro, ma se capivi che non passare al contrattacco significava in qualche modo dare loro un minimo di gratificazione…stavi zitto e magari acconsentivi. Perché credete che sia sbagliato non mettere in discussione delle scelte quasi forzate perché inevitabili in certi momenti e la ricchezza di una terra che li ha risollevati dal disagio e che oggi dà loro l’unico compenso a quel viaggio lungo migliaia di chilometri? Un’ultima domanda mi veniva da porre loro…: se oggi sarebbero disposti a tornare a vivere qui. Mi rispondevano “a zia cumma facc, s’ ptess mett l rotell sott a sta casa..” (a zia come faccio, se potessi mettere le rotelle sotto a questa casa) e lì capivo che molte volte è difficile unire due estremità di un filo trasparente, due metà di un unico cuore. Questo è quello che ho capito di quell’Ortona oltreoceano… così lontana… così vicina.
Sele