UN MAGICO INCANTESIMO

L’Otto settembre, l’ultimo giorno dell’anno ortonese

 

Oggi è il 10 settembre 2005.

L’acqua di Clelia fa risuonare la piazza del suo scorrere leggiadro, come quello dei giorni di canicola, quando, come ora, non si sente nessun altro rumore. Un sole tiepido riesce a far capolino tra le nuvole tanto da rischiarare con la sua luce la facciata della nostra chiesa. Non posso fissare lo sguardo sulle pietre bianche, tale è il riverbero. Quelle stesse pietre facevano spiccare il manto azzurro della Madonna, quando usciva maestosa e materna dal portale, il giorno dell’otto settembre. In quel momento non potevo far a meno di guardare, tanto era bella. Cercavo di trattenere le lacrime, tanta era l’emozione. Così, per un attimo, gli occhi mi erano diventati lucidi come quelli di tanti altri ortonesi come me.

E’ ancora presto per tornare a casa. L’orologio del campanile segna quasi mezzogiorno, ma da un po’ va avanti di qualche minuto: forse le zampette di un piccione hanno spostato una lancetta. Guardavo quelle lancette durante il ballo della “mammoccia”, due sere fa, e desideravo che si fermassero, fissando per sempre quel magico momento. Ma è impossibile fermare il tempo. Lo so. Eppure, da bambina ignara, l’ho desiderato più volte in questi ultimi giorni. L’otto settembre è la festa delle feste, la festa di Ortona e di tutta la valle, la festa che attendiamo e che prepariamo con trepidazione per un anno intero, che unisce tutti, giovani e vecchi, che ci lega ancora di più alla nostra Ortona, che porta con sé tanti ricordi. E’ il traguardo finale che segna la fine di un anno e l’inizio di uno nuovo, il giorno dei bilanci e delle prospettive future, il più atteso, il più bello. Otto settembre: lo aspetto facendo il conto alla rovescia e nello stesso tempo vorrei arrivasse il più tardi possibile perché, a Ortona, significa fine di un’estate. Otto settembre: il giorno della famiglia, perché ci unisce con parenti vicini e lontani, degli amici, perché è forse l’unico dell’anno in cui si ritrovano tutti insieme (ma proprio tutti) a festeggiare. Il giorno delle tradizioni più vere e più sentite, ma anche quello delle ultime follie e bravate d’estate. Per questi motivi l’otto settembre è un appuntamento al quale non possiamo dire di no. Mancare a Ortona in questa data è come far mancare qualcosa a noi stessi e incrinare il legame forte con la nostra Ortona. L’ortonese vero evita qualsiasi tipo di impegno in questo giorno. A me non è mai capitato di non esserci e spero non mi capiti mai, perché immagino il sentimento di rabbia misto a nostalgia che prova chi è costretto a star lontano da Ortona in questa data così importante. Non potrei mai tradire la mia Ortona nel giorno in cui mi si offre più bella che mai. E come può sentirsi l’artefice di un tradimento? Ma questi discorsi potrebbero essere incomprensibili a chi non è ortonese. Allo stesso modo è inspiegabile quell’emozione forte che ci prende l’animo e che si rinnova ogni anno. Come far capire agli amici dell’università che devo per forza rimandare quell’esame fissato per l’otto settembre? Forse spiegarlo sarebbe come rompere un incantesimo. Non ci sono parole per farlo, bisogna viverli e averli vissuti da sempre quei momenti, bisogna essere parte dell’incantesimo. E forse quell’illusione che l’otto settembre possa durare in eterno è parte dell’incantesimo. Ma è un’illusione destinata a svanire. L’otto settembre finisce ogni anno, ed è forse proprio questa consapevolezza che ce lo fa vivere così intensamente. Non posso perdere nulla del giorno più bello: ecco perché le tradizioni vecchie di secoli si arricchiscono ogni anno di nuovi significati. Ecco perché mi entusiasma la banda che onora l’uscita dei Santi dalla Chiesa, l’asta sempre molto combattuta, lo sparo che fa rimbombare la valle, i fuochi d’artificio che rischiarano il cielo e i volti della gente. Ecco perché non mi arrabbio se i colpi scuri della mattina mi fanno cadere dal letto, ma mi affretto a scegliere il vestito più bello per uscire e incontrare la banda o per non perdere la tradizionale colazione a base di uova e fichi. Ecco perché mi faccio in mille con i miei amici per finire in tempo quelle “mammocce” che dovranno sorprendere tutti la sera dell’otto. Ecco perché non sento la stanchezza e il sonno accumulati (avrò un’invernata per recuperare!). Ecco perchè me la prendo con il tempo se le nuvole scure minacciano pioggia da un momento all’altro. Sebbene quest’anno le previsioni non facessero ben sperare, la pioggia ha impedito solo l’esibizione in piazza, il quattro settembre, del gruppo folkloristico degli Zig-Zaghini, che hanno dovuto accontentarsi del ristretto palcoscenico del Centro Anziani, per mostrare solo una parte del loro bellissimo spettacolo di balli e canti. La pioggia è tornata a guastare i programmi il pomeriggio del sette, costringendo la banda di Rutigliano a presentare il proprio concerto dentro la Chiesa (l’effetto è stato comunque straordinario date la perfetta acustica della nostra Chiesa e la presenza di un nutritissimo pubblico). Negli altri giorni fortunatamente un sole un po’ capriccioso ha mostrato il suo faccione: anche quel sole che non doveva esserci e, invece, c’è stato era parte di un incantesimo impenetrabile?

Guardo di nuovo l’orologio del campanile: la campana suona mezzogiorno. E’ ora di tornare a casa, ma il pensiero torna per un attimo a quelle due gigantesche pupazze dal sorriso gioioso e beffardo insieme, che ballavano al ritmo di walzer e tarantelle, con una folta schiera di giovani a far loro da cornice. Nel ballo della “mammoccia” sfogavamo tutti l’attesa del momento più bello, da godere fino in fondo, perché quando quei pupazzi di carta e di legno sarebbero stati bruciati, l’estate sarebbe veramente finita. Ma non c’era tempo per la tristezza; mi affrettavo a raggiungere il piazzale insieme ad un fiume di gente e dal solito posto, lo stesso di ogni anno, mi godevo lo spettacolo dei fuochi pirotecnici. Era di nuovo il nove settembre, il giorno dei saluti e delle partenze, il più malinconico dell’anno, il triste, ma doveroso ritorno alla normalità della vita quotidiana, la fine di una magia… Mi faceva venire da piangere il mucchio di cenere ancora acceso in piazza. Ripensavo a qualche ora prima, alla frenesia che aveva preceduto il ballo della “mammoccia”, ai giorni passati, all’estate che se ne andava con un sacco di ricordi. Il ritorno alla normalità mi rattristava, ma era necessario. Non può essere sempre otto settembre e se lo fosse, ci vedremmo tolto il piacere di aspettarlo. Sarebbe tutto terribilmente noioso.

Il ricordo dell’otto settembre è vivissimo ancora oggi e mi rimarrà stampato nella mente per un po’, ma presto, lo so, volgerò già il pensiero al prossimo. Un anno passerà velocemente e di nuovo mi ritroverò a guardare l’orologio del campanile, la notte dell’ otto settembre 2006, a essere parte di un magico incantesimo.

 

                                                                                                                                                             Francesca

 

 

Alcuni momenti del sei settembre...

Alcuni momenti del sette settembre...

Alcuni momenti della mattinata dell'otto settembre...

Alcuni momenti del pomeriggio e della serata dell'otto settembre...