TRA FANTASIA E REALTà

Una triste storia immaginaria riaffiora in un momento malinconico

 

Passeggiare per Via Roma in una fresca serata del dopo feste di Settembre non è proprio il massimo dell’allegria. Se poi aggiungiamo pure un cielo coperto da nuvole gonfie di pioggia, Ernesto, Marco, Massimo e il resto della vecchia storica guardia già partiti ed ormai lontani…Beh, allora il quadro è proprio completo!

Eppure i miei passi non si fermano. Eccomi arrivato ai giardinetti. Davanti alla Romitella, un grosso cane pastore, bianco come la neve, affamato di coccole e non solo si avvicina scodinzolando speranzoso. Mi annusa, mi segue per qualche metro e poi, deluso, si allontana alla ricerca di quel nugolo di ragazzi che, solo qualche giorno prima, erano il suo particolare gregge da proteggere. Continuo a camminare. Eccomi al boschetto con le sue file di alberi perfettamente allineati come i vecchi soldati di cui sono il ricordo. Ecco il busto fiero dell’alpino che la vandala mano di un povero imbecille ha deturpato, privandolo della sua penna. Ancora qualche passo e poi, all’altezza del bivio per Sulla Villa, repentina virata e via verso la piazza. Taciturno più del solito, riesco a sentire il vento che scompiglia i famosi e già ingialliti tigli e le risate di uno sparuto gruppo di giovani irriducibili seduti sulle ormai sovrabbondanti sedie di Frangiò. All’incrocio tra Via Roma e la circonvallazione, il vento freddo è più fastidioso del solito, le finestre della casa di Ernesto sono malinconicamente chiuse e non c’è nessuno all’orizzonte. Mani in tasca e bavero alzato, arrivo in piazza. Mi accomodo là sulla nostra panchina e il campanile, quasi in forma di saluto, rintocca le ventitre. Escludendo Clelia e ciò che resta della pupazza che qui ha ballato la sera prima, non c’è nessun altro.

Seduto in piazza al riparo del vento fastidioso con l’accondiscendente rumore dell’acqua della fontana come sottofondo, la mia mente, come incoraggiata, ritorna ad un vecchio progetto. E piano piano dal profondo della memoria riemerge la trama di una vecchia storia che la mia fantasia aveva generato non ricordo più quando e di cui, in quel preciso momento, si riappropria e porta avanti…

 

“Con passo lento e stanco, il vecchio uscì dalla cucina della sua casa. Aveva appena finito di cenare e, come sempre nelle sere d’estate, andò a sedersi sui blocchi in pietra bianca della scala che dalla strada conducevano in casa. Dopo essersi seduto, non soddisfatto di quella posizione, si sdraiò sulla fresca pietra poggiando il gomito sinistro più in alto della testa, in modo tale che la mano dello stesso braccio gli servisse, se non proprio da cuscino, almeno da sostegno; allungò le gambe verso il basso e su di esse adagiò l’altro braccio. Sembrava un antico romano, un patrizio romano pronto per una grande cena. Ma il vecchio non era romano né, tanto meno nobile.

Era un vecchio contadino. Uno come tanti in quel paese di montagna, anzi come tutti. Mugugnato uno stanco saluto ai vicini di casa che, come lui, cercavano un poco di fresco sulle rocce che da decenni servivano da sedile; tirò un lungo e profondo sospiro dando quasi l’impressione di voler iniziare, da lì a poco, chissà quale gran discorso, oppure annunciare ai presenti una chissà quale strabiliante notizia. Invece tacque come sempre. E questo  tacere durava ormai da dieci anni.

Era, quello del vecchio Lorenzo, un silenzio pressoché assoluto iniziato nei giorni immediatamente successivi alla morte di sua moglie. Una morte, questa, che dieci anni prima aveva scosso tutto il paese e l’ombra del sospetto aveva accompagnato Lorenzo per molti anni. Nessuno, badate bene, che gli avesse mai detto qualcosa in modo diretto, palese. Del resto l’inchiesta della magistratura si era ben presto conclusa e il caso archiviato come: “Incidente sul lavoro”. Ma. Ed era questo ma, così piccolo e allo stesso tempo così  pesante, che aveva cominciato a gravare nella mente di Lorenzo. Ora dopo ora, giorno dopo giorno sempre più ingombrante, sempre più pesante. Mille volte aveva rivissuto ogni particolare di quell’infelice mattino di Novembre. Si era rivisto alla guida del suo trattore con sua moglie accanto,  seduta alla meglio sull’alto parafango di quel mezzo cigolante. Aveva mentalmente ripercorso la strada che conduce al suo podere e che chissà quante volte aveva già percorso prima di quella mattina e mai, mai era successo nulla. Conosceva la strada meglio delle sue tasche, conosceva il suo trattore come la sua coscienza, conosceva se stesso. Non c’era niente di cui si doveva  pentire di aver fatto o non aver fatto. Eppure quella mattina accadde l’imprevedibile. La pioggia abbondantissima della notte precedente aveva aggiunto nuovi solchi a quelli già esistenti. Nuove pietre e terra si erano fermate là, sulla strada, dove l’acqua piovana non aveva avuto più la forza di trascinarle oltre. Dietro quella curva poi…”

 

…Poi, ecco la voce di Mimmo di Michella che dalla birreria sovrastante mi chiama a gran voce e mi riporta alla realtà. Il mio giovane amico, pure lui solo, mi invita per una spina. Lo raggiungo di buon grado perché, nonostante la differenza di età a suo favore, tra me e Mimmo c’è sempre stato un ottimo rapporto di amicizia e stima reciproca, forse perchè siamo entrambi di Via Piano.

Seduti sugli sgabelli del bancone col boccale di gelida birra davanti, inevitabilmente il nostro discorrere ricade sull’evento appena consumatosi.

   “Allora, Mimmo, come è stata la festa?”

   “Bella, Vincè, come al solito. Ma perché tu non c’eri?”

   “Mimmo, lo sai com’è la vita, il lavoro. Proprio non ho potuto.”

   “Ma non sarà per il fatto che a te l’8 Settembre non piace e allora…”

   “Ma che dici, Mimmo. Se fosse stato possibile sarei tornato pure a piedi.”

   “Lo so, Vincè. Io scherzo. E se vuoi ti racconto tutto per filo e per segno.”

   “Grazie, Mimmo, ma preferisco di no. Certe cose o le vivi o niente.”

   “Hai ragione, Vincè. Però se tornavi…”  

   “…Un’altra birra, Mimmo?”

E dopo quella birra ce ne fu anche un’altra, poi un’altra e poi…finimmo la serata parlando di stelle e di donne orientali.

 

                                                                                                                                                            Vincenzo