CRESCIUTI IN VIA PIANO

Qualche ricordo nostalgico di una giovinezza vissuta in Via Piano

 

E’ arrivato l’autunno.

Dalla finestra guardo con quanta maestria distribuisce i colori nella mia valle.

Il giallo, il rosso, il verde diventato stanco, danno al panorama un’aria malinconica, come di chi si appresta al riposo.

Le nuvole si rincorrono, forse arriverà la pioggia…

La mente vaga, torna indietro, si riaccendono le fiaccole del ricordo.

Nessuna nostalgia, solo la voglia di ricordare: ricordare per ricordare.

Ortona anni ’70: primavere di cieli azzurri, immensi, tagliati dalle rondini… estati color arancio nell’erba gialla… autunni che sanno di polvere di gesso, di quaderni, di campanello che suona… inverni con i piedi rossi dal freddo, scarpe bagnate, neve fino alle ginocchia…

Ortona che non finisce mai, senza confini, il tempo che non basta, il gioco in piazza, tra “i cancelli”, tra le ruve.

Al numero 7 di via Piano c’è “Alfonso”, classe 1896: osteria, bar, bettola, chiamatelo come volete; punto d’incontro, centro nevralgico, luogo di svago e di attese, di interminabili parole, di risate, di liti accese.

“Alfonso” piano terra, anni ’70: tavoli di legno, sedie pieghevoli, panche, litri e mezzo, litri scintillanti di rosso e di bianco, in fondo la piccola cucina che sa di basilico e di chiodi di garofano, il camino, la stufa di terracotta.

Ortona anni ’70, dalle Mandrille: mamma mi tiene per mano e mi porta a comprare le scarpe da “Alfonso”…

Un momento… ma “Alfonso” non è il bar di via Piano?

Sì, certo, al piano terra c’è il bar ma al primo piano si apre un altro mondo.

Si sale la scala: due grandi finestre danno luce ad un ampio locale; il desco del calzolaio, la macchina per cucire le suole, quadri di cuoio, spago, subbie, chiodi, scarpe da aggiustare, scarpe fatte su misura, l’odore della colla, del cuoio e della pece che si mescolano tra loro, fraganza del lavoro fatto con le mani.

Addossati alla parete, gli scaffali per la rivendita delle scarpe nuove: scarpe per i bambini e per i grandi, pantofole, stivali, scarponi, sandali, ognuno nella propria scatola, tutte in ordine.

Di fronte, i lunghi tavoli di legno scuro, con le panche, dove gli avventori si fermano se sotto non c’è posto.

Mamma mi fa sedere su uno di questi tavoli per misurarmi le scarpe nuove che poi mi compra: sono color verde pistacchio, punta larga, cinturino alla caviglia. Che belle!

In questo universo, compresso nel cerchio magico di Ortona, sono cresciuta, siamo cresciute: bambine vivaci, compagne di giochi, complici di ingenui segreti, padrone del mondo.

L’appuntamento quotidiano per noi, dopo la scuola, era da “Alfonso”, ogni giorno, compreso la domenica.

Le piccole mani di Gianna, bambina paffuta, mente allenata nei conti a memoria, servivano i tavoli durante l’assenza dei suoi genitori. Sorvegliava, mesceva, riscuoteva e noi lì, insieme a lei, aspettavamo che si liberasse per correre al gioco.

L’attesa a via Piano, era una bicicletta rossa, marca Torpado, che, tra ginocchia escoriate nell’equilibrio instabile, abbiamo imparato a guidare tra risate, strilli e lividi.

L’attesa a via Piano erano le merendine di “Papà Barzetti”, la gassosa frizzante, i golosini che vendeva Evelina, i gelati alla banana.

L’attesa a via Piano era andarsi a misurare le scarpe da aggiustare delle signore di Ortona al piano di sopra, piccoli piedi in scarpe enormi, camminata barcollante sui tacchi alti, non vedere l’ora di essere grandi per poterle portare.

Carnevale, dopo la scuola, tutti pronti per fare i “mascheri”. Rimediati i vestiti, tutte da “Alfonso” primo piano, per la vestizione. Ed ecco la fata, il soldato, la vecchia, la sposa, lo sposo che scendono le scale e iniziano la sfilata tra le vie d’Ortona. Bussano a tutte le porte: qualche soldo, tante uova, le frittate per la sera saranno buonissime.

Natale, tutte a messa a mezzanotte, appuntamento alle 22,30 da “Alfonso”, neve o non neve, con in testa l’Adeste Fideles e Tu Scendi dalle Stelle, le vacanze a giocare a tombola e a sette e mezzo.

Pasqua: tutte con i calzettoni e le scarpe nuove, vestitini leggeri, libertà tra i prati, al fiume, sotto Casacalla. Pasquetta a Fonte Giusta con il ciambellato, mezzo salamino e la salsiccia.

Otto settembre: appuntamento a Via Piano nr 7, messa, processione, autoscontro, giostra, bancarelle, sfavillio di luci, musica nell’aria e nei nostri cuori.

Nove settembre: oddio no!!!

Il tempo passa inesorabile, lasciamo gli abiti dell’infanzia per indossare quelli dell’adolescenza, diventiamo grandi: la scuola superiore ci impegna ma non ci toglie la condivisione del tempo libero.

Ancora insieme, ancora da “Alfonso”, ancora ad aspettare Gianna con il venticello che tira sempre a via Piano, sedute sullo scalino della porta della cantina.

E poi i giardinetti con la musica di Battisti, dei Pooh, di Venditti…il primo amore che ti resta dentro per sempre, le cocenti delusioni, le grandi aspettative per il futuro, il progetto per la vita.

Ortona, oggi: il bar di “Alfonso” è un po’ cambiato; non c’è più la cucina in fondo, i tavoli, le sedie, il bancone sono moderni. Al piano di sopra non è cambiato quasi nulla, tranne la vendita delle scarpe che non c’è più da anni.

Oggi si chiama “Sorelle Rosati G&A snc” ma per tutti è e resta “Alfonso”.

Clientela varia: gente di passaggio, i soliti di sempre, i nostri figli che lo preferiscono a discoteche o altro, il caffè di Angela diventato famoso, gli aperitivi della domenica, i fichi e le uova sode dell’Otto settembre, il profumo della cucina trasferita al piano di sopra, la marsala siciliana vera delizia del palato. E noi ancora siamo lì, ad aspettare Gianna.

Dalle quattro alle cinque del pomeriggio il bar è ancora nostro, come sempre, tra un gelato, un caffè ed un’acqua minerale.

Quattro chiacchiere fra noi, preambolo della sacrosanta passeggiata domenicale, abitudine vecchia dura a morire. Non è cambiato nulla: ”Alfonso” ancora ci accoglie, ci ascolta, ci abbraccia.

Qualcuno mi chiama, ho come un sussulto, svaniscono i ricordi. Fuori l’autunno continua a dipingere. La leggera pioggia che cade, esalta i colori, li fa lucidi, vivi.

Di che colore sono i miei ricordi: oggi sono color verde pistacchio come quelle piccole scarpe a punta larga e con il cinturino alla caviglia…

 

                                                                                                                                                             Marina Eramo