CONTROCORRENTE

La Festa delle Feste da un’altra prospettiva

 

Probabilmente quello che mi appresto a scrivere non sarà molto popolare e per qualcuno rasenterà addirittura l’eresia. Ma non credo di meritare il rogo e non è la popolarità che io cerco.

Con quello che scrivo voglio solo esternare ciò che sento; credo, infatti, di riuscire a farlo senz’altro meglio con la penna che non a voce. Non sono e non sarò mai un buon oratore!

Scriverò dell’Otto settembre. Una data cruciale per tutti coloro che sono nati ad Ortona oppure che ad Ortona sono arrivati, magari per caso, e vi si sono fermati. Per tutti costoro, per tutti noi, l’Otto settembre significa solo “La Festa” e per questo non ce ne vogliano gli storici o chi ha vissuto i giorni di badogliana memoria.

Io non amo l’Otto settembre o, per meglio dire, non mi piacciono alcune cose che dell’Otto settembre fanno parte. Non escludo, però, che questa cosa alla metà di chi legge potrà interessare poco, mentre alla rimanente metà forse non interesserà per niente.

Ma questo è quello che sento e quindi scrivo.

Chi non è interessato passi oltre; chi non è d’accordo accetti l’opinione di chi la pensa in maniera diversa.

Non mi piace l’Otto settembre perché, com’è già stato scritto su queste pagine, per quelli come noi che hanno avuto la fortuna di vivere gli anni belli della vita in modo sereno e tranquillo, l’arrivo di questo giorno, agognato e temuto, significava la fine dell’estate con tutto quello che ne consegue.

Niente più partite, niente più gavettoni, saluti, lacrime e... arrivederci a Novembre.

Si, lacrime. A Settembre ne ho visti parecchi di occhi rossi e lacrimanti; ebbene si, ho visto luccicare gli occhi anche a chi, per carisma o quant’altro, non lo avrebbe mai creduto possibile; ed erano gli occhi di capi e sottocapi, di vice e reclutacce... (Brigata N.O.P., presente!…sempre operativa e mai doma.)

Ma mi domando: se, in un ipotetico rapporto, l’estate può essere vista come la giovinezza dell’uomo e noi, quando essa (l’estate e la giovinezza) volgeva al termine eravamo così tristi, era forse perché, inconsciamente, avevamo semplicemente paura di crescere??

Mah, potrebbe pure essere!!?

Non amo l’Otto settembre anche per un altro motivo che, rispetto al precedente, si potrebbe definire più personale, più caratteriale.

Non mi piace l’esibizionismo. Non mi entusiasma fare delle cose nelle quali non credo e, soprattutto, non sopporto di doverle fare perché gli altri si aspettano che io le faccia. Credo, purtroppo, di non sbagliare affermando che durante le feste di Settembre di cose forzate ed esibizioni ce ne siano più d’una. Qualche esempio?

Cravatte e vestiti (scarpe, borse ed accessori vari) che più di qualcuno tira fuori dall’armadio ed indossa appositamente ed esclusivamente per quest’imperdibile occasione; e se ciò non bastasse a rendere l’idea, che dire del fatto che gli stessi indumenti cominciano a sparire piano piano col passare delle ore. Si comincia con l’allargare il nodo della cravatta (ore dodici circa) per passare poi alla sparizione della stessa se l’asta preprocessione va troppo per le lunghe e infine si tocca l’apice nel dopo (o addirittura prima) pranzo quando anche l’ultima giacca, gonna o pantalone ha ripreso il suo abituale posto all’interno dell’armadio di cui sopra.

Anche questo è Otto settembre. Ma c’è dell’altro. Prima ho accennato all’esibizionismo e a tal proposito potremmo parlare dell’uso dei famigerati cuscini che precedono i Santi durante la processione e sui quali mani pie e caritatevoli fissano banconote di più o meno grande taglio. Prestando attenzione però, badate bene, che nelle vicinanze ci sia almeno una o, meglio, più persone in grado di vedere il bel gesto e di riferirlo poi. E quelli che compiono (compivano?) quest’operazione addirittura sul sagrato della chiesa con la piazza gremita di gente??

Certamente esistono molti altri modi di fare offerte (pro festa, pro chiesa oppure pro chi volete voi) ugualmente meritori ma meno, terribilmente meno sbandierati.

Pongo fine a questa mia personalissima opinione pensando alle cose vere della festa, quelle che ho nel cuore: la mammoccia o, per chi preferisce, la pupazza e la fantasia infinita di chi la realizza; gli spari ed il brivido d’ammirazione e di piacere che mi corre sulla schiena, quando li vedo e li sento; l’impegno e la voglia di fare (leggi passione) di chi organizza la festa (il comitato); ma, prima d’ogni cosa, la bellezza inarrivabile della Madonna che, dal buio della chiesa, appare quasi improvvisamente nella luce della piazza, annunciata dalla festosità delle campane ed innalzata verso il cielo dalle orgogliose braccia dei portatori.

Senti dentro una commozione inarrestabile che sale al pari di un rispettoso, spontaneo e doverosissimo segno di croce.

 

 

                                                                                                                                                             Vincenzo Buccella