LA NOVENA A SULLA VILLA

Nove giorni alla festa di Ferragosto: un momento di preghiera e di aggregazione

 

Sono una “ragazza” degli anni ’70. Anch’io conservo dei ricordi dolcissimi legati alla novena di Sulla Villa, chissà se dovuti al fatto che quando si è bambini o adolescenti si percepisce il mondo circostante attraverso dimensioni diverse sia di spazio che di tempo.

Ricordo la trebbia “all’era”, il grande albero vicino alla Romitella, la strada bianca, i cespugli pieni di polvere sollevata dal passaggio delle auto, della corriera e degli asini; i “giardinetti” con i pini appena piantati, l’affollatissimo bar di Melone, il campo di bocce!

Riaffiorano nella mia mente estati calde e lunghe il cui epilogo era legato alla novena.

Ci organizzavamo in tempo per andare a Sulla Villa tutti insieme, amiche e amici, lasciando in largo anticipo il nostro ritrovo sotto gli alberi di “tra i cancelli”. Noi ragazzi degli anni ’70 abbiamo passato molte estati insieme sotto quegli alberi a parlare, a cantare, ad ascoltare musica con il “mangiadischi” color arancione, a ridere e scherzare.

Il tragitto che ci portava su costituiva ancora un momento per socializzare, per stare insieme a raccontare qualche storia, era anche un’occasione per conoscere i ragazzi che venivano da fuori e che si aggregavano al gruppo. I ragazzi ortonesi erano particolarmente attratti dalle “romane” e noi facevamo altrettanto con i “romani”. Ci arrampicavamo lungo la salita, all’epoca la strada era più scoscesa e piena di sassi. A metà strada, poco prima del bivio per Santa Maria, raccoglievamo le prugne e le more, più su, dopo il bivio, la trebbia all’opera macinava e sfornava grano e paglia. Arrivati nella piazzetta, dopo aver rivolto un’occhiata furtiva alla chiesetta, quasi per farci perdonare, giravamo rigorosamente verso la fontana a bere acqua fresca e ad aspettare quelli che arrivavano più tardi.

In nessuno di noi a quei tempi albergavano particolari sentimenti religiosi legati alla novena, Don Vincenzo lo sapeva, ma comprendeva benissimo lo scompiglio e i fermenti della nostra adolescenza e non ci ha mai rimproverato la scarsa partecipazione ai rosari, anche perché il coro, che allora avevamo formato, era costantemente presente a celebrare le festività più importanti di Ortona.

Quindi molte volte, anzi diciamo sempre, anziché assistere alla funzione religiosa, preferivamo passare il tempo sul muretto della fontana a parlare, a guardare il tramonto, a bagnarci, ad aspettare l’imbrunire per tornare giù in paese. Eravamo gli ultimi a percorrere la strada in discesa, forse volutamente, perché il crepuscolo e poi il buio e l’odore del fieno diventavano complici dei nostri segreti, davano coraggio per dichiarare un amore appena nato, per dire un sì, un no, per nascondere il rossore delle guance, per sfiorare una mano, per dare una carezza o un bacio…, fino al momento in cui dietro i cespugli si sentiva prima bisbigliare e poi sghignazzare forte! Erano i bambini più piccoli che tendevano il “cappio” con l’intento di far ruzzolare i malcapitati che non si accorgevano della loro presenza!!!!

 

Antonella Castrucci