[digilander-ortonadeimarsi/Aggiornamento/menu_pp.htm]

LA BÉTTJIA

L’osteria: un mondo, una cultura, una mentalità, un modo di vivere e di relazionare… ormai tramontati

 

Peppe tornava con l'asino, ché era andato a zappare la vigna Sopra la Selva. Era tra lum' i lustr'. Si fermò sul piazzale davanti al Comune, legò la cavezza dell'asino alla vùcquia attaccata al muraglione della piazza e, con passo stentato, entrò alla béttjia di Ciacciavitt', all'altro angolo della piazza. Si allocò sulla prima sedia a portata di mano, appoggiò il gomito sul tavolinetto davanti a sé, e mise la mano tra il mento e la guancia, appoggiandovi tutta la testa. Poi disse con un filo di voce:

- Pòrtame na' tazza.

Ciacciavitt', lentamente, riempì un bicchiere e lo andò a posare sul tavolinetto:

- Tèh! Remànna l'alma a bball'.

Peppe prese il bicchiere, lo accostò alle labbra, assorbì un piccolo sorso di vino e lo ingoiò: rialzò la testa, distese le braccia, gli si riaccese lo sguardo e disse soddisfatto:

- E' cumm' a quand' remìtt' l'ùjie alla luma!".

 

La béttjia… Un mondo, una cultura, una mentalità, un modo di vivere e di relazionare… ormai tramontati. Era una stanza più o meno capiente, con tavoli e sedie, dove si vendeva il vino al minuto: cioè si poteva acquistare un bicchiere, un quarto, mezzo litro, un litro di vino e berlo in piedi o al tavolo, da solo o con gli amici. Era frequentata solo da uomini. Nella béttjia ci si ritrovava per passare un po' di tempo insieme, per chiacchierare, commentare, criticare, fare progetti, mentre ci si faceva un bicchiere.

Era frequentata i giorni di festa, i giorni di cattivo tempo, la sera quando non c'era troppo da fare.

Tutti conoscevano la béttjia.

In genere non era benvista dalle donne, soprattutto dalle mogli, poiché non raramente gli uomini indugiavano per trattenersi nella béttjia e trascuravano lavoro e famiglia.

Anche gli asini, non tanto i muli e i cavalli, conoscevano la béttjia: tornando da campagna, per abitudine, sostavano davanti alla porta della béttjia, convinti che il loro padrone si sarebbe fermato per un bicchiere.

Quando ancora non c'erano le iscrizioni, come insegna, per indicare che c'era una béttjia, si usava un ramo d'albero posto sopra l'architrave della porta d'entrata: "la frasca". Alla vista della "frasca" uomini ed animali istintivamente si fermavano e si decideva di entrare o meno.

A Ortona ancora mezzo secolo fa c'erano diverse béttjie: la béttjia di Giulietto Taglieri all'inizio di via Roma, la béttjia di Mastr'Alfonso a via Piano, la béttjia di Salasso all'inizio di via S. Onofrio, la béttjia di Palmaccìtt' alle Mandrille detta “I Torc”, la béttjia di Flania in via Melonia accanto al vecchio forno, caratterizzata da un catino verde nel quale venivano lavati i bicchieri e dove sulle pareti vi erano appesi fogli con frasi divertenti come le seguenti: “Qui credenza si farà quando questo gallo canterà” – “Oggi si paga domani no!”, e poi anche se non proprio béttija nel senso tradizionale del termine c’era l’Albergo Tripoli in Via Roma, che era caffè, mescita di vino e liquori e disponeva di quattro stanze citato anche nella Guida del Touring Club Italiano. Ma la più celebre di tutte, rimasta nella storia del costume e delle usanze di Ortona e già scomparsa cinquant'anni fa, era la béttjia di Ciacciavìtt', come abbiamo detto, sulla piazza davanti al Comune.

Ciacciavìtt' era per Ortona quello che si dice "un tipo". Persona cordiale, aperta, spiritosa, intraprendente, estrosa. Egli era anche… musicista: suonava il tamburo e la mattina dell'8 Settembre, all'alba, insieme al Compare di Anversa, che suonava il piffero, facevano il giro del Paese, svegliando la gente e annunciando l'inizio della festa.

 

Quando un marito usciva la sera per andare alla béttjia, per evitare scenate, diceva alla moglie che sarebbe andato in chiesa. La moglie, che aveva capito tutto, ribatteva: "So capìt’! Alla chiesa di Cicciavìtt'".

Erano tempi che di soldi non ce n'erano tanti, anzi diciamo che si vedevano di rado e sempre pochi e non sempre si poteva andare alla béttjia, e bere un quarto. Spesso gruppi di uomini sostavano in piazza, appoggiati alla ferrata che si affaccia sul piazzale, proprio davanti e sopra la béttjia di Ciacciavìtt, e dentro non c'era nessuno, per la disperazione del gestore. Una volta Ciacciavìtt', non potendone più di quello spettacolo, prese una decisione drastica: diede fuoco al camino, dicendo:” T’net’ da corre a smurzà i' foch'!”.

Un altro locale celebre di Ortona, scomparso sempre più di mezzo secolo fa, era la béttjia di Rosa D'Aschi. Veramente quella di Rosa era qualche cosa di più d'una béttjia: Rosa faceva anche il caffè alla caffettiera napoletana. Essa era una donna aperta, oggi diremmo emancipata, ma allora dava occasione a qualche chiacchiera. Rosa aveva un fratello che risiedeva a Casali d'Aschi, allora frazione di Ortona, e si chiamava Amadio. Un martedì s'incontrarono al mercato a Pescina. Si salutarono, s'informarono reciprocamente della salute, parlarono degli altri parenti e a un certo punto Rosa chiese al fratello:

- Eh! Amadi', cu' sse fa' ai Casali?.

- Ro', prima ire sola tu, mo' sò tutte cumm'a ti'".

 

Allora - cinquant'anni fa - la frazione di Santa Maria era popolatissima, c'erano intorno ai 150 abitanti e la maggior parte erano famiglie giovani: c'era la scuola e anche il seggio elettorale in occasione delle elezioni. Da Santa Maria la domenica la gente veniva, naturalmente a piedi o con l'asino, alla messa a Ortona, perché lì non c'era la chiesa costruita solo nel 1975. Chi aveva portato l'asino lo posteggiava sullo spiazzo tra la casa di Giulietto Taglieri e l'edificio delle Elementari, dove adesso c'è il ristorante, la farmacia e il medico, cioè l'ex-scuola materna, costruita intorno agli anni Settanta. Dopo la messa riempivano le béttjie; le donne tornavano a casa, ma molti uomini si intrattenevano fino alla sera; e più di qualcuno doveva essere riaccompagnato, perché difficilmente riusciva a reggersi in piedi.

 

La béttjia ormai è scomparsa anche dalla memoria, insieme con la società e la coltura che la esprimeva e che essa rappresentava. Ma è bello rievocare qualche volta l'ambiente di vita dei nostri avi.

 

Tiziana Di Iacovo

 

Bettjia d' Ciacciavitt'

Bettjia d' Salass'

 

 

 

Mastr'Alfons'

Bettjia d' Flania

 

 

 

Bettjia d' Giuliett'

 

Bettjia d' Palmaccitt'