LA FONTANA D’ORTONA
Dalla piazza di Ortona, Clelia ci osserva da più di un secolo
La piazza principale di Ortona, San Giovanni Battista, è dominata senz’altro dalla facciata trecentesca, con il suo splendido rosone, della chiesa Parrocchiale che, dedicata a San Giovanni, dà anche il nome alla piazza.
Ma non secondaria e meno importante è la presenza di un altro elemento che ormai da più di 100 anni orna la piazza e ne costituisce parte integrante. E’ Clelia, la fontana che sorge quasi al centro della piazza.
Ebbene sì, Clelia, perché la nostra fontana ha un nome e così come è irriguardoso rivolgersi a qualcuno che si conosce bene appellandolo genericamente così lo sarebbe per la nostra fontana che è inconfondibilmente per tutti gli Ortonesi Clelia.
E infatti l’ortonese che passando per la piazza non incontra alcuno, dirà:“ Non c’è che Clelia!”
Clelia perché gli scapoli ortonesi, in attesa di trovare moglie, si intrattenevano presso la fontana per trovare conforto alle pene d’amore e quindi considerandola una donna cui confidarsi la ribattezzarono affettuosamente Clelia.
In realtà la statua posta sulla sommità della fontana non è una donna bensì un uomo, e infatti, non ha il seno. L’Artista cui fu commissionata ha forgiato nel bronzo un mietitore che tiene sotto il braccio un “manoppio” di grano e nella mano un falcetto. Essa, che ha sempre rappresentato la dea Cerere, dea dell’abbondanza, in effetti non si smentisce perché le spighe di grano ne costituiscono proprio il simbolo.
La costruzione della fontana fu deliberata dal Consiglio Comunale di Ortona nella seduta del 25.02.1888. Per far fronte alla spesa necessaria alla realizzazione dell’opera il Comune decise di accendere un prestito di £. 20.000,00 con la Cassa DD.PP.. La Deputazione Provinciale di L’Aquila nella seduta del 19.03.1888, all’unanimità, approvò l’attuazione delle procedure affinché il prestito potesse essere concesso.
Nel provvedimento sopra citato sono riportate le motivazioni che indussero l’Amministrazione di Ortona a costruire la fontana che così recita: “La costruzione della fontana è un’opera non solo di pubblica utilità ma anche reclamata dalle esigenze dell’igiene”.
E in effetti queste ragioni non ci stupiscono. Se proviamo a calarci nella realtà ortonese dell’epoca, siamo nel 1888, ci troviamo di fronte ad un paese dove le abitazioni sono sprovviste di acqua in quanto manca un acquedotto e di energia elettrica, servizi di prima necessità, fondamentali per la vita di tutti i giorni senza i quali al giorno d’oggi saremmo in serie difficoltà. Dunque la costruzione della fontana era un bene pubblico ma anche reclamata dall’esigenze dell’igiene perché avrebbe consentito a tutti di provvedere alla pulizia personale e domestica e di salvaguardare e tutelare meglio la salute della popolazione di Ortona.
La fontana venne realizzata l’anno seguente alla sua deliberazione, nel 1889, con un costo complessivo di £. 23.800,00.
Da allora e per oltre 60 anni essa è stata meta obbligata delle donne ortonesi, in prevalenza ragazze, cui era stato affidato il compito di recarsi alla fontana a cogliere l’acqua e riempire la conca di rame.
In qualsiasi stagione, che ci fosse il sole o la pioggia, la neve o il gelo, queste ragazze non potevano esimersi dal loro impegno. Almeno due volte al giorno, secondo le necessità, al mattino e alla sera, esse uscivano di casa e si recavano da Clelia con la conca di rame sulla testa o appesa al braccio. Giunte presso la fontana riempivano la conca, si risistemavano la “spara” (canovaccio attorcigliato a mo’ di ciambella) sulla testa come base di appoggio e rimettevano la conca sulla testa e con un perfetto equilibrio, degno dei migliori acrobati, si rincamminavano verso casa.
Andare a prendere l’acqua alla fontana era un modo di assaporare qualche momento di libertà, di scambiare quattro chiacchiere con la campagna vicina di casa che doveva riempire anch’ella la sua conca, di cominciare ad adocchiare i giovanotti che passavano, un po’ per necessità un po’ per piacere, vicino alla piazza.
Quante parole avrà udito Clelia, quanti sospiri per il freddo, per il caldo, per la fatica, per il rimpianto di non aver incontrato o semplicemente visto passare la persona desiderata o per averla incontrata e non essere stata notata o notato.
Talvolta, pur di rimanere più tempo in piazza o di ritornarci, qualche giovinetta svuotava la conca prima di giungere a casa così da essere costretta a tornare da Clelia per riempirla di nuovo.
Questa situazione è durata per oltre 60 anni fino a quando negli anni 1952/1953 è stato costruito l’acquedotto cosiddetto della Ferriera che dalla centrale di San Sebastiano portava l’acqua ad Ortona, Aschi, Pescina e anche all’Aquila.
In realtà già prima della 2° guerra mondiale negli anni 1934/1935 era stato costruito un acquedotto che partiva da Compomizzo e passando per “Sotto la Costa” arrivava sino al serbatoio sopra la Torre; le sue tubature si diramavano poi nel paese ma le condotte si rompevano continuamente e il suo uso fu quindi molto limitato.
La disponibilità dell’acqua in casa ridusse notevolmente, intorno agli anni ’50, la necessità di recarsi a cogliere l’acqua alla fontana in piazza.
Ma Clelia non rimase sola a lungo, perché divenne il luogo di ritrovo di tutti i “giovanotti”, gli scapoli di Ortona che si sedevano in piazza presso la fontana e sospirando, nell’attesa di trovare presto una moglie, la compagna di tutta la vita, “facevano all’amore con Clelia” (in dialetto ortonese l’espressione “fare all’amore” significa “essere fidanzati”), ed ad essa confidavano le proprie pene e i propri turbamenti.
Dalla sua posizione privilegiata Clelia è stata muta testimone di quasi tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la vita di Ortona e degli ortonesi. In special modo per tutte quelle manifestazioni che si sono svolte in piazza. Quante feste dedicate a San Generoso, quante feste di settembre, quante mammocce avrà visto: da quelle svoltesi nell’austerità e nelle ristrettezze del periodo bellico a quelle ricche e sempre più fastose realizzate quando sono migliorate le condizioni economiche, alle feste di Sant’Antonio, nei primi decenni del novecento, cui partecipavano prevalentemente donne e bambini e anziani, perché gli uomini, quelli forti e vigorosi, stavano a Frascati a guadagnarsi il pane.
Quanti schiamazzi, risate, urla, pianti ha udito Clelia: quelle dei bambini ortonesi che di generazione in generazione hanno utilizzato la piazza come ritrovo per i loro giochi , prima di tutto per giocare a pallone e poi ad acchiapparella, a nascondino.
E poi sempre e comunque Clelia per le migliori e dissetanti bevute dalle sue cannelle, in estate e in inverno. Quando si ha sete si dice sempre “ andiamo a farci una bevuta in piazza”.
Ma nella piazza vuota il lento zampillare dell’acqua che sgorga dalle cannelle di Clelia ha ritmato spesso i nostri pensieri e ha creato un clima particolare per le nostre riflessioni, ci ha restituito serenità e continua a farlo.
Si potrebbe dire che Clelia emani un fluido particolare che crea nella piazza un’atmosfera magica e piena di calore che ti avvolge e ti fa sentire sempre a casa.
Tiziana Di Iacovo |