GIOCHI DI UNA VOLTA
Il ricordo di un’adolescenza semplice ma eternamente scolpita nel profondo del cuore
Il gioco è una componente essenziale della vita di ogni bambino, è per loro un’azione seria, naturale che provoca una sensazione di benessere.
I bambini del duemila sono circondati da giochi elettronici ai limiti della fantascienza.
Adeguati ai tempi, hanno più dimestichezza con i computer anziché con i trenini o le costruzioni.
Ma in ogni tempo il gioco è stato teso a sviluppare le abilità cognitive per capire come funzionano le cose e attraverso esso, scaricare la propria istintualità ed emotività.
Su questo principio hanno giocato tutti i bambini di ogni epoca: ma come hanno giocato i nostri nonni?
Tanto e bene (vogliamo pensare) perché la fantasia, la creatività, la voglia di imparare è sempre la stessa per tutti i bambini da che mondo è mondo.
Volgiamo la mente indietro e proviamo a visitare il mondo ludico di una volta, facendoci a nostra volta bambini, in una Ortona per certi versi scomparsa o nascosta.
Ma chi li comprava i giocattoli e le numerose botteghe del paese li vendevano?
Non saprei dirlo ma credo proprio di no!
In una Ortona rurale, dove il vivere quotidiano era difficile, i giocattoli non si compravano ma si fabbricavano da sé a volte aiutati dai nonni, dai padri, dalle mamme, dai fratelli maggiori.
E allora da qualche straccio, ormai inservibile, con ago e filo nascevano bamboline di pezza con gli occhi di bottoni oppure palloni colorati, da un fazzoletto e da mani abili prendeva vita un topo con tanto di orecchie e di coda che si animava nelle mani dei bambini.
Ci viene da pensare che il tempo del gioco per le bambine di allora era alternato a momenti di aiuto alle mamme o a badare ai fratelli più piccoli, mentre i ragazzi facevano più vita di gruppo.
Li vediamo alla “Rota” o “N’goppa a casacalla” a giocare a lizza, a urz, a batt’mur’.
Fionde e mazzafionde venivano costruite con abilità, tanto che colpivano i bersagli con precisione millimetrica.
Cocci e sassi piatti fatti girare vorticosamente a fare la “vindiarola” a chi arriva più lontano, i “vurravurra” costruiti con bottoni e spaghi, il trattore con i”rizichigl”, ma anche fischiare con i fili d’erba.
E quando calava la Befana? Sì, perché anche per i nostri nonni e genitori calava la Befana.
Le calze appese ai neri camini aspettavano la vecchia signora.
Qualche sorbo, qualche noce, una mela, un’arancia e quella volta a mio padre… meraviglia … una coda di volpe!
Cose semplici specchio di una vita semplice.
Ma fatemi dire anche i giochi della mia generazione: certo non appartiene ad un’epoca lontana, un’infanzia vissuta trenta-trentacinque anni fa. Un’infanzia bellissima, allegra, spensierata, vissuta fino in fondo dove il gioco e lo stare insieme era vitale.
Siria, Gianna, Santina, Maria, Anna, Maria Antonietta, Carla, io, sempre insieme dalla mattina alla fine della giornata.
Senza giocattoli, qualche bambola ormai passata di moda ma con una fantasia prepotente, una creatività che veniva fuori dalla necessità.
Sotto “casacalla” era la nostra seconda casa, la piccola discarica di rifiuti domestici il nostro negozio di giocattoli.
Acquisita una buone dose di anticorpi, si andava alla ricerca di un piattino rotto, di una tazzina sbeccata, di un bicchiere, i tappi rossi dei tubetti di conserva di pomodoro diventavano il servizio da liquore, le scatoline di carne in conserva pentoline, i sassi piatti si trasformavano in sedie e tavoli… e poi a fine giornata tutto veniva raccolto e nascosto perché i maschi (non li cito per nome perché per noi erano solo… “i maschi”) potevano prenderceli.
E poi la piazza con Clelia che ci ha visto giocare a palla, a mondo, a campana, a padre Gilorma… e poi Ortona attraversata per lungo e largo, ogni rione, ogni ruva senza segreti, Ortona che ci offriva luoghi, spunti, nascondigli, punti di ritrovo, Ortona che ci dava gli appuntamenti, Ortona che ci ha cresciuto.
Vorrei dedicare queste poche righe alle compagne della mia infanzia, con l’augurio che il ricordo dei nostri giochi, la voglia di stare insieme, i sorrisi dei nostri visi bambini non ci abbandonino mai e che l’affetto e la stima che abbiamo l’una all’altra ci accompagnino fino alla vecchiaia.
M. Eramo |
I giochi che vi abbiamo raccontato nell’articolo, sono ormai in disuso e sarebbe un peccato perderne la memoria.
Sui giochi di urz e batt’mur, prevalentemente maschili, si puntavano dei soldini, e consistevano nell’avvicinarsi ad un punto di riferimento fissato prima con bilie e sassi.
La lizza invece consisteva nel colpire al volo con un bastoncino un altro bastoncino lanciato in aria.
Con la vindiarola si lanciava qualunque oggetto possibilmente piatto e rotondo e vinceva chi lo mandava più lontano, sull’acqua, quasi sempre al fiume, il divertimento era quello di far rimbalzare a pelo d’acqua sassi e ciottoli.
Il vurravurra era costruito con filo e un bottone: il filo passato nei buchi dei bottoni, una volta tirato, faceva girare vorticosamente il bottone che vibrava e, fendendo l’aria, produceva un rumore particolare da cui il nome del gioco.
Il rocchetto del filo vuoto diventava un piccolo trattore che riusciva anche a salire le scale, azionato da un sistema di fili che una volta allentati, una volta stretti, lo mettevano in movimento.
Vogliamo anche ricordare che esisteva un bel repertorio di canzoncine e filastrocche che di solito le nonne insegnavano ai bambini.
Alcune sono molto antiche come “Pizzippizella… colore e così bella…”oppure “Fiocca… fiocca… Maria della Rocca…” altre più recenti come “Ma che bel castello… marcondirondirondella…”insomma il mondo affascinante e sconfinato della fantasia dei bambini ma anche di quel mondo rurale che del poco riesce a fare tanto.