Origini

Nel 2004, un gruppo di psicoterapeuti liguri, tutti dotati di lunga e approfondita formazione psicoanalitica, da molti anni operanti nel campo della psicoanalisi, della psicoterapia psicoanalitica e nel lavoro pubblico dei servizi consultoriali per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia, ha dato vita ad Orpha, gruppo di letture ferencziane, allo scopo di approfondire l’opera e la vicenda professionale e umana di Sàndor Ferenczi.

Scopo principale di tale percorso di studi é stato quello di verificare il senso dello scarto percepito da tutti i partecipanti tra quanto era stato appreso in lunghi anni di partecipazione a seminari e a supervisioni, e la realtà del lavoro clinico, così come si era presentata all’esperienza di ciascuno, al punto di dover riscontrare non pochi aspetti di inapplicabilità negli insegnamenti tecnici ricevuti, nell’ambito di scuole di pensiero psicoanalitico anche diverse tra loro.

 

Ferenczi, mentore dell’individuazione dello psicoanalista

 L’incontro con Ferenczi si mostrò ben presto rivelatore della necessità di abbandonare, una volta raggiunta una sufficiente maturazione professionale, le più vincolanti e limitative obbedienze di scuola, per far fronte ad una realtà mutevole, imprevedibile, da ripensare in ogni momento, in un rapporto di collaborazione “quasi paritaria” (anche se costantemente asimmetrica) con il paziente, nel tentativo di creare una coppia, sia pure conflittuale, orientata alla ricerca sul mondo interno del paziente. Ciò avrebbe significato, sul versante dello psicoanalista, un’ampia riflessione sulle proprie residue istanze narcisistiche e di onnipotenza, nella prospettiva di aiutarlo a sentirsi profondamente “paziente”, sia pure in una prospettiva adulta e responsabile, e non inutilmente masochistica e sostanzialmente abbandonica nei confronti del paziente ufficiale. Si trattava di assumere su di sé la responsabilità “genitoriale”, in senso compiuto, convinti come siamo del principio che tale atteggiamento emotivo, in analisi, venga “prima” dell’interpretazione di transfert e dell’interpretazione tout-court.



L’apporto affettivo dello psicoanalista” (1)

 L’opzione uniformemente condivisa era quindi a favore di un controtransfert prevalentemente “materno”, anziché “paterno”, nell’intima convinzione che, nella prospettiva della “madre sufficientemente buona” teorizzata da Winnicott, dovesse prevalere in modo assoluto il rapporto con il lattante sul rapporto di coppia; e analogamente, nella triade psicoanalitica (paziente, analista, “famiglia” psicoanalitica), il rapporto con il paziente dovesse essere costantemente rappresentato come “più importante” rispetto al rapporto “familiare” dello psicoanalista con le proprie radici (e le proprie opzioni attuali) di scuola, d’istituto, o semplicemente di dottrina.

Tali obbiettivi, sono raggiungibili attraverso il costante confronto con le emozioni di chi, come Ferenczi, tentò più di ogni altro, anche con una sofferenza personale drammaticamente portata all’estremo, di sottrarsi ai vincoli di una comunità psicoanalitica che, temendo non senza ragione per la propria sopravvivenza, tendeva a costituirsi come “chiesa”, giungendo, in casi assolutamente estremi, ad adottare alcuni stilemi espressivi caratteristici della repressione staliniana (l’uso calunnioso della diagnosi psichiatrica a fini di discredito ed emarginazione dell’avversario politico: Jones a proposito della presunta psicosi di Ferenczi).

 

Per una psicoanalisi laica, cioé “non clericale”

 In tal senso, anche oggi in Italia, dove il problema dell’analisi condotta da non medici é stato felicemente risolto da una legge sufficientemente avanzata, la questione relativa all’affermazione di una “psicoanalisi laica” appare ciononostante attuale, nel senso più ampio e tutt’altro che giunto a buon fine, della necessità di affermazione di una psicoanalisi “non clericale”.

 

La nostra ricerca

 Finalizzata a scoprire in un rapporto di mutuo confronto il valore delle nostre quotidiane intuizioni terapeutiche e delle strategie consce ed inconsce che andiamo adottando, la nostra ricerca si basa essenzialmente su due filoni: la lettura dei testi ferencziani unita allo sviluppo del carteggio con Freud mediata dalla riflessione sulle nostre esperienze professionali; lo studio delle vicende del movimento psicoanalitico.

In altre parole il nostro interesse verte essenzialmente sulla teoria della tecnica (studiata attraverso il filtro dell’esperienza clinica), e sulla storia della psicoanalisi, intesa come strumento irrinunciabile alla comprensione dell’evoluzione delle idee.

 

Il valore irrinunciabile di una Storia

In particolare, consideriamo la Storia della Psicoanalisi, non un orpello culturale accademicamente decorativo o inutilmente panegiristico, e neppure il terreno dell’indiscrezione e del pettegolezzo, ovvero dello sguardo infantilmente curioso nella stanza dei genitori.

Al contrario, lo studio approfondito e privo di censura delle vicende personali dei pionieri della psicoanalisi ci aiuta ad affrontare i temi ancor oggi irrisolti con tutto il rispetto e la consapevolezza del fatto che essi non furono frutto di fredde indagini di laboratorio, ma che nacquero da sofferenze personali grandissime (di Freud in primo luogo), e persino mortali (pensiamo alle biografie di Tausk, di Hermine von Hug-Helmutt, dello stesso Ferenczi e di molti altri di cui non sappiamo né forse sapremo mai). La loro conoscenza ci restituisce dei maestri diventati compagni di strada: valga per tutti l’approccio all’opera di Melanie Klein, passata, dopo la lettura della biografia scritta da Phyllis Grosskurth, da vangelo inappellabile, quale appariva nei primi insegnamenti (una sorta di sfinge onnisciente e un po’ odiosa) ad un’opera, entro precisi limiti, grandiosa, perché frutto di un dolore immenso e mai del tutto elaborato.

Di questa psicoanalisi, umanamente tragica e dolorosamente creativa, vogliamo continuare a sentirci figli e continuatori, nell’autonomia delle forze dell’intuizione individuale e, per quanto possibile, priva di interdetti non coscienti e deliberatamente assunti.


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 (1) Il titolo scelto per questo paragrafo, rievoca “La partecipazione emotiva dell’analista”, una raccolta di saggi su Ferenczi, curata da Franco Borgogno per l’editore Franco Angeli; un libro, e più in generale un Autore, al quale siamo debitori di molte riflessioni.

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