Voglia di fuga

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 8/05/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Una famiglia di sole donne che annulla ogni spazio personale. E il salutare (anche se tardivo) desiderio di andarsene. Per affermare la propria identità maschile.

 

"Ho 27 anni, sono medico dentista e vivo con mia madre e tre sorelle. I miei genitori si sono separati, tra liti furibonde, quando avevo nove anni. Poi, fino alla maggiore età, la mia vita è stata minuziosamente organizzata in modo che non vedessi quasi mai mio padre. Ora lavoro nel suo studio. Però detesto la città di provincia in cui risiedo: voglio andarmene. Anche se mi dispiace lasciare mio padre, qualcosa dentro mi dice: "Vai via". Sogno una casa piccola che sia tutta mia, con dentro gli oggetti che amo (come mi è successo solo per un breve periodo, a Milano, mentre preparavo l'esame di stato). Ora non ho nemmeno una camera: dormo nella stanza occupata da armadi, giornali, cassetti, vestiti delle mie sorelle, mentre i miei abiti sono in camera di mia madre, le scarpe in un'altra stanza, lo stereo in salone".

Lettera firmata

Caro amico, quel "qualcosa" che le dice "Vai via" è probabilmente, come di solito succede in questi casi, il suo istinto di sopravvivenza. Vale a dire un insieme di forze fisiche e psichiche che ognuno di noi farebbe bene ad ascoltare quando si manifesta, prima che si zittisca per sempre, lasciandoci privi di ogni orientamento vitale. Lei, caro amico, non ha avuto un'esistenza facile. Anche se, come mi scrive nella sua lettera, "ho sempre fatto una vita agiata, non mi è mai mancato nulla economicamente". Tuttavia racconta: "Mi sono sempre sacrificato a studiare: scuola, università, abilitazione. Con risultati buoni prima, ottimi poi, ma rinunciando a "divertirmi" (viaggi, vita sociale, specie negli ultimi anni di università quando mi sono completamente isolato dagli amici)". Per lei, come per molti ragazzi con esperienze simili alla sua, "l'unico periodo veramente bello della vita è stato il servizio militare come ufficiale dell'Arma a Torino, lontano da casa, dove ho fatto molte esperienze, molte amicizie". Perché nella scuola ufficiali aveva trovato finalmente rispetto e attenzione per la sua identità maschile, un suo spazio, un suo ordine, che le è invece sempre mancato nella casa materna nella quale, da quando suo padre ne è stato espulso con le violenze che racconta, lei è stato trattato come un ospite, privo di qualsiasi spazio e riconoscimento personale. E' stato molto positivo che, in una situazione così affettivamente deprivata, lei abbia continuato a fare il bravo, costruendosi così gli elementi - la laurea, l'abilitazione - per sviluppare poi la propria autonoma vita professionale. Ora però è venuto il momento di ascoltare questo richiamo, che lei esprime nella sua lettera, a vivere in prima persona. Naturalmente adesso per lei è difficile lasciare il padre, che ha finalmente ritrovato, almeno come compagno e maestro nel lavoro. Tuttavia, come dice nella lettera: "Anche ora che si trascorre praticamente tutto il giorno insieme si scambiano solo poche battute; del resto la confidenza non si crea così da un giorno all'altro, ma si sarebbe dovuta creare nel corso di quei 14 anni circa che sono trascorsi mentre eravamo lontani e separati l'uno dall'altro". L'intimità e la  comunicazione tra voi è importante, anche per il suo futuro e la sua sicurezza nell'affrontare la vita, ma andrà costruita poco a poco, senza fretta, cercando di trovare il coraggio di parlarvi. E questo le verrà tanto più naturale quando lei sarà uscito dalla casa della madre e delle sorelle e avrà finalmente una propria abitazione e una propria esistenza autonoma che le permetterà di incontrare e confrontarsi davvero con suo padre. Da uomo a uomo.       

       Claudio Risé

   

Torna all'Archivio Psiche Lui Anno 2004

Vai al sito www.claudio-rise.it