L'uomo che fugge         

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 19/11/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"Amare un uomo problematico significa lasciarlo andare, o stargli accanto, per quel che si può? Con uno studioso che mi ha aiutato nella mia tesi è nata attrazione e comprensione reciproca. L'ho conosciuto e, poco alla volta, amato. I suoi genitori l’hanno abbandonato, si sente un bambino (ha 46 anni), non desidera figli. Ma dopo essersi raccontato, cerca di allontanarsi. Dice che mi fa solo del male. In realtà, mi ha aiutata a crescere. Come essergli utile, e non  fonte di disagio?"

Diana

Cara amica, la sua storia col professore è un altro capitolo della narrazione contemporanea sulla donna che ama, e l’uomo che la fugge. Una vicenda che pone alla donna la scelta tra rimanere fedele al suo sentimento d’amore, o accantonarlo, come l’uomo le chiede. In queste vicende  l’uomo appare come un personaggio indecifrabile, che prima manifesta il suo bisogno d’amore e poi, quando l’ottiene fugge impaurito, come fosse affezionato al suo malessere. Nella sua lettera lei racconta che il suo maturo amico: “dice che non parlerà più con nessuno di sé. Ho provato a dirgli di farsi aiutare. Niente. Dice che si sente sospeso”. Un’immagine frequente, quella di questi “maschi sospesi”, che dopo essersi aperti ad una donna dichiarano di fare  voto di silenzio perpetuo, e rifiutano ogni lavoro psicologico su di sé (ma questo rifiuto di conoscersi,  era molto più diffuso qualche decennio fa). Poiché l’essere umano non può vivere senza amare, e comunicare, questa chiusura si appoggia spesso a sostanze consolatorie, e  maschere antisociali. Infatti il suo amico,  mi racconta: “porta la barba incolta come simbolo del suo disagio… A volte eccede con l'alcool. Mangia dolciumi e si sente in soprappeso”. Un bambino ingordo e infelice, nel quale è difficile distinguere un certo istrionismo vittimario, messo in scena per mantenere l’attenzione compassionevole dell’altro, da una vera pulsione autodistruttiva, comunque presente. Lei chiede: che fare per un uomo così? C’è però un’altra domanda, da porci quando pensiamo di amare qualcuno: qual è il nostro dovere  verso il nostro sé? Non potremo, infatti, aiutare nessuno, se non ci prendiamo, innanzitutto, cura di noi stessi, badando bene a non contraddire  la bussola elementare del benessere, vale a dire il principio di realtà. Nel quale ciò che l’altro dice, e fa, ha una posizione centrale. In questo caso, l’altro dice che non vuole parlare, e le chiede di allontanarsi. Questo è il limite che la realtà le pone, e non si può che rispettarlo. A meno di considerarlo un delirio, a cui contrapporre una propria interpretazione della realtà (“mi chiede questo, ma in realtà vuole altro”), che la farebbe entrare in un “délire à deux” altamente pericoloso. Ciò che forse può aiutare quest’uomo è, invece, che lei rimanga fedele a sé stessa, senza rinnegare la realtà. E quindi lo ami, fino a quando  così sente, ma rispettando la sua richiesta di distanza. Se quest’uomo ha una possibilità di salvarsi dall’isolamento, è un amore forte, e rispettoso dell’altro, che potrà forse risvegliarla.

Claudio Risé

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