Un solo grande amore        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera".

"Ho 43 anni e vengo da un rapporto cominciato quando ne avevo 23. Lei, la donna  che ho amato per 40 anni, è morta da un anno.  Non ne avrò altre; non lo desidero. Era straordinaria, aveva vent’anni più di me, ed è stata nello stesso tempo amante, compagna, maestra di vita. Una donna di mondo, ma con un cuore semplice, da contadina onesta. Ciò che ho vissuto è così ricco che  non sono neppure disperato; la vita finisce, ed ho avuto moltissimo. Gli amici, tra i quali anche qualche psicologo, dicono però  che dovrei ricominciare una vita sentimentale, pena la depressione. A me invece sembra di avere già un sacco di sentimenti, per amici, parenti, il mondo in generale. Non voglio un'altra donna, perché quella che ho avuto, mi ha riempito la vita". 

Caro amico, la parola maggiormente ricorrente, nella sua toccante lettera, é ”pienezza”. Lei insiste sul fatto che la vostra è stata un’esperienza di pienezza. E questo spiega bene il suo atteggiamento: una relazione piena è irripetibile. Non si desidera ripeterla perché, come lei insiste nella sua lettera, siamo già stati riempiti, e questo senso di totale realizzazione dura anche quando l’altro non c’è più. La straordinarietà della sua storia d’amore, oltre alla personalità  molto speciale della sua compagna, è dovuta al fatto che essa è stata, anche, una completa esperienza  di formazione della personalità. Lei si è formato come individuo adulto proprio nella storia con questa donna speciale che è stata per lei, come racconta nella sua  lettera, anche una madre accogliente, e, nello stesso tempo,  un padre davvero saggio, pieno di preziosi consigli di vita. Sommare in sé tutte queste figure fondamentali della vita, la madre, il padre, l’amante, la compagna di vita, il maestro iniziatore, l’amica e complice, è tutt’altro che semplice, e può essere anche molto pericoloso per l’altro. Il rischio maggiore, naturalmente, è che la personalità del più giovane venga completamente soverchiata dalla figura più grande, che ne diventa anche la “padrona”, soffocandone la crescita. Ciò non è avvenuto nella vostra storia perché la sua donna l’amava davvero, e quindi le ha offerto tutto il fascino, e il suo saper vivere, per farla crescere, correndo anche il rischio che lei poi, una volta imparato a volare, se ne andasse altrove, in altre storie. Il che, naturalmente, non è avvenuto perché quando l’amore raggiunge questo livello di generosità non può venire abbandonato, se non per qualche spinta autodistruttiva. Un problema che non si è presentato, forse perché questo appagamento totale l’ha anche psicologicamente curato, ha nutrito la sua anima. Il suo ottimo istinto vitale, che l’ha spinta a vivere fino in fondo questa storia, infischiandosene degli stereotipi contro le differenze d’età, è lo stesso che la sostiene, oggi,  nel suo rimanere nella pienezza vissuta (che è ormai dentro di lei), invece di affannarsi a trovare una donna a tutti i costi, perché il pregiudizio sociale (e psicologico), così richiede.   Nella realtà della vita una storia piena, e felice, continua a svilupparsi  nell’anima  delle persone, anche  dopo la scomparsa di uno dei due. Il nutrimento di un grande amore è di tipo affettivo, e simbolico, e continua a prodursi nel tempo, soprattutto quando ha potuto consolidarsi ed esprimersi anche in una lunga condivisione fisica. Non c’é quindi nessun rischio depressivo nel restare fedele al suo sentimento e al suo istinto, ampiamente giustificato dalla storia che ha vissuto.

Claudio Risé

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