Un figlio all'improvviso        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 14/04/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"Non era in programma, ma forse sarò padre. Ho quasi trent'anni, sono avvocato da poco e vivo ancora a casa con i miei genitori, anche per via dello stipendio da fame. Al momento sono in ansia. Orgoglioso e vagamente felice, ho anche una gran paura. Mio padre è stato bravo con me. Io, però, ho paura del distacco e del passaggio di condizione da figlio a padre. Non vorrei che ciò mi condizioni negativamente. Come fare?"  Tino

Caro amico, la paura è naturale, e va accolta con simpatia. Come ogni altro aspetto della personalità che, nel momento in cui si affaccia il cambiamento, lotta strenuamente per mantenere la situazione precedente, alle cui comodità eravamo abituati. Quindi sono inutili le indignazioni con noi stessi, gli “sforzi di volontà”, puramente astratti, le considerazioni di principio. Molto più utile un sano, razionale, realismo. Che ci aiuti ad accorgerci che noi, come ogni altro organismo vivente, siamo in continuo mutamento, fisico e psichico, dalla nascita, alla vecchiaia, alla morte. Un aspetto significativo, e non evitabile, di questo mutamento, è proprio il passaggio dallo stato di figlio, a quello di padre. Certo, non è obbligatorio che ciò avvenga in senso biologico, possiamo anche diventare padri simbolici, prima di noi stessi e poi di altri di cui ci prendiamo cura. E’ tuttavia certo, perché iscritto nell’ordine naturale e simbolico della nostra vita umana, che figli non potremo più esserlo. I nostri genitori ci lasceranno soli, e dovremo accettare di  prenderci cura di noi, come, appunto, un buon padre. Il suo tentativo di rimanere figlio (o filius, come mi scrive), è quindi comunque destinato allo scacco. Dargli spazio equivale a dare campo ad una spinta regressiva, che come tutte le altre, simili, tende a chiuderci in una situazione di immobilità e di malessere. Quelle in cui si sviluppano poi le fobie, gli attacchi di panico, tutti quei sintomi che la psiche produce quando ci siamo cacciati in una situazione senza uscita. Certo, accettare di diventare padri non è facile. Significa, innanzitutto, prendersi la responsabilità della propria vita, per poter poi badare a quella del bimbo che abbiamo generato. Quest’assunzione di responsabilità è carica di conseguenze, psicologiche, e pratiche. E’ destinata a modificare totalmente, ad esempio, la relazione coi genitori, dove noi diventiamo gradualmente, da oggetti delle loro cure, attenti ai loro bisogni, assumendo nei loro confronti un’attenzione genitoriale. Cambia la relazione con la donna, che non è più solo amante, ma compagna, e madre dei nostri figli. In questo rovesciamento, noi passiamo da una posizione passiva, di chi riceve e viene alimentato, ad una attiva, di chi dà, ed alimenta. E’ solo accettando di compiere (con tremore, ma anche con coraggio) questo processo, che la personalità maschile si sviluppa pienamente, passando da uno stato ancora parzialmente infantile ad uno pienamente virile, caratterizzato dalla capacità di donare se stessi, e la propria vita, all’altro. Molto difficile. Ma anche bello.

Claudio Risé

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