L'übersexual che è in me         

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 18/08/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Mia madre  pensa che io sia un po’ scemo. Eppure a me, 23 anni, questo tipo che va di moda oggi, l’ ubersexual,  che non si depila, si veste un po’ come gli pare, mi va finalmente a genio. Funziona con le ragazze, è simpatico ai maschi,  se non esagera fa tenerezza anche ai capi. Insomma è comodo. Sempre la madre, ma  anche il padre, dicono però che così si diventa dipendenti dalle mode, e che dovrei pensare con la mia testa. Ma è proprio quello che faccio".

Lettera firmata

Caro amico, i giovani hanno sempre avuto modelli, o “tipi” di riferimento, anche se quando invecchiano poi non se ne ricordano più, e trovano stupidi i giovani che lo fanno. Il modello iscritto ai fasci littori dei nonni, ma anche il maoista dei fine anni 60 dei padri, non erano meglio dell’uber o metrosexual cui molti di  voi, più o meno liberamente, si ispirano. La psiche individuale si collega con quella collettiva  attraverso modelli di riferimento proposti dal modello di cultura, che consentono agli individui di parteciparvi, con alcune mediazioni personali, scegliendo tra le tipologie a disposizione. Questi “tipi” arricchiscono il prezioso campo della Persona, così la chiama Carl Gustav Jung, o “maschera sociale”, aspetti di noi che ci servono nel relazionarci con gli altri, per farci capire meglio, ed accettare più volentieri. Jung paragona  la Persona alla maschera, od anche al vestito, potente strumento di comunicazione che, contemporaneamente, nasconde alcune cose,  e ne  mostra altre. Infatti, questi tipi collettivi sono sempre, più o meno collegati alle mode. Comportamenti imposti, nelle dittature, e mode suggerite  nell’ attuale società dei consumi. Il rischio, come sempre nella comunicazione psicologica tra l’individuo e il collettivo,  è quello di venire fagocitati,  sopraffatti, da elementi dell’inconscio collettivo, rafforzati da suggestioni pubblicitarie e tendenze  di massa. L’esempio più noto è quello del fan della star, che cade a volte in un atteggiamento delirante, immaginando di vivere un’intimità con il suo idolo, che nella realtà non c’è affatto. L’adesione a tipologie collettive richiede dunque una buona dose di presenza critica, sia per non ridurre la nostra individualità alle sagome di cartone tracciate dai trend setters della moda, sia per rimanere fedeli agli aspetti che meglio ci rappresentano dei modelli che adottiamo, e che fatalmente nella stagione successiva verranno accantonati, per promuoverne altri, portatori di  nuovi tipi di consumo. Tra le tipologie oggi proposte da moda e sistema delle comunicazioni poi, il suo prediletto ubersexual mi sembra in effetti uno di quelli con meno rischi di contraffazione ed alienazione. Salvo il pericolo  di farsi un po’ troppe birre, per il resto ubersexual mi sembra  un aggiornamento modaiolo del vecchio archetipo del Selvatico, un tipo maschile che, grazie alla sua fedeltà al corpo, all’istinto, ed alla natura, è  generalmente al riparo dai rischi psicologici ed affettivi più gravi. E consente, più di altri, di essere sé stessi.

Claudio Risé

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