Il tredicenne mammone   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 9/12/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Faccio di tutto perché mio figlio tredicenne divenga uomo. Anche se il padre finge di nulla, lo stimolo alla sua paternità. Luca ora dimostra un innamoramento per me, e gelosia verso il padre. Desidera che io l'accarezzi e giochi con lui a "botte", gli stia vicino, mi dice spesso "mamma come si sta bene vicino a te”, non vuole vedermi triste. Io sfuggo a queste richieste, gli dico che non è più un bambino, che più tardi troverà una ragazza che gli vorrà bene. Lui  finge di non capire". Marusca

Cara amica, dalla sua lettera mi sembra che a questo figlio tredicenne manchino un po’ di amici, e che tutto tenda a svolgersi nel triangolo un po' asfissiante: figlio –madre - padre. Che il figlio ora sia geloso del padre, e non più indifferente a lui, è un buon indizio. Significa che sta uscendo dalla simbiosi con la madre, che comincia a vederla come altro da sé (per esempio come qualcuno da cui farsi toccare), e quindi diventa geloso del padre, legittimo “titolare” di questi contatti affettuosi. Non c’è più, insomma, una dominante  identificazione con la madre e con il suo mondo femminile, che è il guaio peggiore per un ragazzo, e comincia la fatale competizione col padre. Manca però un mondo maschile in cui scaricare pulsioni aggressive, e anche affettive: insomma con cui “fare a botte”. Non si tratta di  bullismo. Il fatto è che qualsiasi adolescente non autistico ha sempre avuto bisogno di contatti fisici coi propri coetanei, soddisfatti, anche, dal “fare a botte.” Per lo meno fino a quando i nostri ragazzi non sono diventati così insicuri da non poterlo più fare, se non sotto la forma della sopraffazione del più debole: sette contro uno, magari disabile, o femmina. Mentre ogni ragazzo ha bisogno di un mondo maschile con cui confrontarsi, negli sport, nelle prove fisiche, o anche in qualche scazzottata. Naturalmente però è il padre che ti ci deve introdurre, iniziandoti a qualche sport, introducendoti in quelle situazioni maschili dove poi questi confronti accadono naturalmente, e poi controllandoli da lontano, discretamente. Se il padre fa finta di nulla, accade invece, come forse nel caso di suo figlio, che ci sia una sorta di ripiegamento verso la madre, che viene invece vista come il “porto sicuro” dove il confronto fisico può avvenire senza rischi, anzi piacevolmente. L’incontro con l’altro tende quindi a non realizzarsi, ed a regredire verso un ritorno al materno, erotizzata sì come altro da sé, ma contemporaneamente apprezzata per la sicurezza affettiva che garantisce. Il ragazzo così, preoccupato di legare il soddisfacimento fisico alla garanzia affettiva che solo una madre buona può dare, non sviluppa il gusto dell’incontro con l’altro   come avventura e scoperta, non esente da quei rischi che sono poi un elemento costitutivo della vita. E’ proprio all’avventura e al rischio che va interessato. Per questo, fatalmente, servono altri ragazzi, e uomini. Lei ha intuito molte cose, ma è ancora molto, forse troppo, presente. Lo lasci più solo. Imparerà a cercare gli altri, e le altre.

Claudio Risé

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