La tasca segreta   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 6/05/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Il mio amico sostiene che nei rapporti, e nell’accompagnarsi nelle difficoltà: “non bisogna mai   vuotare completamente lo zaino”. Dice che “bisogna sempre conservarci dentro qualcosa” (bisognerebbe però che io capissi davvero cos’è questo “zaino”) perché altrimenti ci si sente svuotati, senza energia, tristi, e con un senso di disagio e smarrimento addosso. E’ giusto, o si tratta solo di avarizia di sé? La mia personale esperienza mi dice invece che tutto quel che non si mette in comune, e  che non si gioca, si perde".

Alba Chiara

Cara amica, questa è una questione molto importante nelle relazioni, ed in particolare tra uomo e donna. Innanzitutto: non siamo tutti uguali. L’umanità si divide in persone estroverse, ed introverse: nessuna di queste due tipologie è in sé patologica, ma ognuna rischia qualcosa, se segue in modo unilaterale la sua tendenza. L’estroverso, come lei, che vive in un ciclo di alimentazione diretta attraverso la comunicazione con gli altri, rischia di diventare superficiale, o convenzionale, e smarrire o non trovare aspetti di sé. L’introverso, come il suo amico, rischia  di lasciare nel suo sacco, o zaino, un po’ troppe cose, finendo col dimenticarsele lì dentro, in questa riserva personale che diventa un peso che si tira dietro. Trasforma così uno “zaino”, come acutamente lo chiama, qualcosa cioé in cui conservare le cose  indispensabili per i passaggi più impervi, in un “Ombra”, un insieme di emozioni, tendenze, pulsioni, aspirazioni, rimosse, che trascini dietro di te avanzando sempre più lentamente e faticosamente. Ma, mi ricorda Alba Chiara, tenersi delle cose nello zaino non significa proprio sottrarsi a quel “dono di sé” che io sostengo essere  condizione necessaria di ogni rapporto significativo?  Bisogna vedere cosa si trattiene, e perché. Lo psicologo Carl Gustav Jung, ad esempio, metteva in guardia gli allievi dal forzare i pazienti a spiattellare le zone più segrete della psiche, che potevano far parte, lui diceva, del “mito personale”. Da quelle parti infatti poteva trovarsi proprio quella personale “acqua di vita”, che uno mette nella borraccia dello zaino “segreto”, e che non può essere completamente rovesciata  senza poi sentirsi “svuotati, senza energia, tristi e con un senso di disagio e smarrimento addosso.” Anche Gesù, l’uomo che dà la sua vita per gli altri, alla sera, a volte, manda via tutti, e resta solo. Per parlare col Padre, che è (direbbe il suo amico), dentro, e naturalmente anche fuori, lo zaino. La riflessione occidentale ha chiamato lo “zaino” del suo amico: il Sé. Quel centro profondo della personalità che dobbiamo il più possibile conoscere e realizzare, ma per questo anche conservare, con cura. Del resto, lei mi scrive che, infatti: “questo amico non è un “micragnoso” ed ha anche momenti in cui dona eroicamente se stesso.” Per poterci donare, dobbiamo prima “possederci”. Non vuotando completamente lo zaino. Soprattutto se maschi, fisicamente e psichicamente estroflessi, e quindi bisognosi di “zaini”, di cavità in cui raccoglierci. Che le donne possiedono invece naturalmente, nel loro corpo-psiche.

Claudio Risé

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