Sotto l'ala di papà     

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 29/07/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

"I figli d’estate: tenerli vicini o lontani? Finora il problema non si poneva, perché erano piccoli, ma adesso il più grande ha 14 anni, e il più piccolo 12. A me fa piacere trovarli lì, quando la sera li raggiungo sul lago, e passarci assieme  qualche settimana al mare. Mia moglie però sostiene che sono un mammone, che bisogna mandarli un po’ in giro, tipo scuola d’inglese per il grande e campeggi sportivi per il piccolo. Secondo lei,  io dovrei prendere l’iniziativa di emanciparli, invece di coccolarmeli. Ma  a me non viene". Lettera firmata 

 

Caro amico, non c’è una regola precisa, sulla vicinanza o lontananza dei figli d’estate. Però c’è qualche punto di riferimento. Per esempio: d’inverno si sta insieme, tutti in città a lavorare (i grandi), ed a studiare (i figli). E’ quindi sensato profittare della maggiore elasticità degli impegni estivi, e della fine delle scuole,  per sperimentare un po’ più di distanza nel rapporto con i figli, e iniziarli gradualmente ad una (protetta) scoperta del mondo. D’altra parte, solo d’estate si può stare veramente coi figli, appunto perché l’apparente vicinanza invernale è però limitata dagli impegni sia dei grandi, che dei piccoli; in vacanza invece si può sperimentare una presenza più piena. La cosa migliore sarebbe dunque approfittare dei mesi estivi per vivere entrambi questi momenti: la pienezza della condivisione familiare al di fuori dei troppi impegni che la  indeboliscono d’inverno, e la possibilità di esercitarsi reciprocamente ad una strategia di distanziamento  tra genitori e figli. Che, come le fa notare sua moglie, è quanto mai necessaria. Non solo perché i figli vanno “messi nel mondo”, il che significa anche addestrati a stare in situazioni fisiche e psicologiche diverse dalla casa familiare. Abituati a stare dunque nella natura (come avviene appunto nei campeggi sportivi), o/e in altri paesi, a contatto con bambini di altre lingue e  culture, senza i ruoli ben stabiliti del multiculturalismo (spesso più recitato che reale) delle nostre città.  Operazione questa, della messa nel mondo, cui è psicologicamente  e simbolicamente opportuno che presieda il padre (se vuole svolgere nella vita dei figli le funzioni emancipatorie di cui abbisognano), tanto quanto la madre ha presieduto alla messa al mondo dei figli. Il distanziamento dei figli non è però necessario solo ai piccoli, ma anche ai grandi. Anche i genitori hanno  bisogno di ritrovare e far crescere spazi psicologici ed espressivi personali, e di coppia, che la comunità genitori-figli tende spesso a far dimenticare, e perdere. Con gravi rischi sia per il continuo, necessario sviluppo dell’intimità di coppia, sia per la continuazione della crescita della personalità adulta. Infatti, come i figli rischiano di “adultizzarsi”, adottando costantemente il punto di vista dei grandi, così i genitori rischiano di infantilizzarsi guardando alla vita sempre dalla prospettiva delle necessità e dei bisogni dei bambini. Emanciparli fa dunque bene, se è chiaro lo scopo di questo sforzo: l’affetto per i figli, e per noi stessi.

Claudio Risé

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