Sono stufa di mio figlio   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 2/12/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"Sono stufa di mio figlio. 17 anni, liceale, ottimo nelle materie scientifiche. CentoVetrine, la telenovela, con manager rampanti e di successo, è il suo modello. Sano, sportivo, dosa con precisione   pallavolo, studio, sonno, alimentazione. Io sono assistente sociale, mi sono separata che lui aveva 2 anni, lavoro tutto il giorno. Le sue cose sono in ordine perfetto... il resto è come non esistesse, e protesta per la mia mancanza di perfezione... Devo davvero impegnare la mia vita futura, anche economica, per mantenerlo all'università?"

Mamma esasperata

Cara amica, nella sua lettera lei mi racconta anche che suo figlio passa ore girando per negozi a provare l'abbigliamento di grido, commentando: "...tanto noi non ce lo possiamo permettere vero”? Lo descrive “davanti allo specchio a rimirarsi, o a cercare il parrucchiere che esegue il taglio alla moda.” Suo figlio, insomma, la provoca, come molti ragazzi oggi fanno coi genitori, cercando di farla sentire in colpa per le sue entrate ridotte, rispetto ai personaggi delle sitcom. E lei cade in questa  trappola, frequente nella relazione della madre singola, col figlio senza padre. Esca dall’ansia. Anche se il figlio le ricorda “che comunque è mio dovere provvedere a lui in tutti i sensi, e che questo lo sancisce la Costituzione” (e alcune assurde sentenze che amplifichino i conseguenti terrori genitoriali), questo impegno è sottoposto a dei limiti: per esempio le sue forze fisiche, psichiche ed economiche. Inoltre, soprattutto dopo la maggiore età, comporta degli impegni anche per il figlio: quello di studiare con profitto, o accettare le opportunità di lavoro offerte dal mercato. Fra un anno dunque, se la passione per la matematica vincerà su quella per il parrucchiere, il figlio potrà darsi da fare con borse di studio, e università serali; ed il graduale ritrarsi materno permetterà finalmente al ragazzo di costruire una personalità responsabile, anziché vanagloriosa e ricattatoria. Se poi l’aggressività del figlio non diminuisce, lo  lasci pure giocare al “povero ma bello”, spingendolo però lentamente, ma fermamente, a cercarsi un altro spazio per le sue recriminazioni, facendo valere,  le sue  personali esigenze di sopravvivenza. I suoi “doveri”, hanno generato fin troppi sensi di colpa, autorizzando così implicitamente l’atteggiamento richiedente e arrogante del figlio. Il quale però, mostra anche  alcune cose importanti. La “cura di sé” che egli manifesta, sul piano fisico, scolastico, e dell’ordine personale, è una conquista significativa, che lei come genitore dovrebbe valorizzare, non criticare o deridere. Giustamente gli amici ricordano che “non si prende pasticche, non si ubriaca, va bene a scuola”. E’ possibile che per il ragazzo questo stile ordinato, secondo lei “arido”, serva anche per  distanziarsi da una madre: “eclettica, spontanea, creativa”. Questa presa di distanza è probabilmente indispensabile per realizzare  quella separazione dal materno cui il padre non ha provveduto, ma necessaria a costruire un soggetto autonomo.

 Claudio Risé

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