Scuola senza sfide
Dalla
rubrica info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 11
gennaio 2003. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io
donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano oppure collegandosi al
sito www.claudio-rise.it
Esami
svuotati di contenuto. Verifiche soft. Il sistema formativo non invita più i
giovani a mettersi alla prova. E una delle cause è lo scarso peso di un punto
di vista maschile tra gli insegnanti.
«Sono
uno dei pochi insegnanti maschi rimasti, spesso unico uomo in consigli di classe
di sette persone. Grazie all'assenza di docenti maschi,
fenomeno da lei più volte segnalato, la scuola sta perdendo ogni
dimensione di sfida e di confronto, di prova. Negli ultimi anni ci sono stati
propinati infiniti corsi, sempre con la raccomandazione di evitare ogni
carattere “traumatico” alle verifiche da svolgere, di proporle nella forma
più soft e amichevole. Mi risulta invece che in altri Paesi anche europei gli
esami siano addirittura semestrali. Abbiamo di fatto eliminato anche gli esami
di maturità, perché un esame fatto esclusivamente con i propri insegnanti è
poco diverso dall'attività didattica quotidiana degli anni precedenti. E’
vero che le donne, per le quali il mettersi alla prova, la sfida, il
combattimento, sembra meno importante che per i maschi, si trovano meglio in
questo sistema formativo. C’é però un rischio: nella vita lavorativa e nella
carriera gli "esami" non siano stati soppressi. E forse un percorso
formativo così concepito non prepara né uomini né donne ad affrontarli».
Claudio B., Frascati
Caro amico, il “mettere alla prova” é in realtà uno dei servizi specifici che la scuola, in quanto esperienza formativa, dovrebbe fornire agli allievi, piccoli e grandi. Vediamo dunque insieme le conseguenze psicologiche del suo accantonamento. Nello sviluppo psicologico individuale, la “prova” scolastica, l’esame, é chiamata ad integrare le prove che dovrebbero essere offerte all’individuo giovane già nella famiglia. Mentre queste seconde prove sono fatalmente condizionate dai legami, e dagli eventuali complessi, familiari, la scuola offre un teatro idoneo per una prova più vasta, transpersonale, dove viene valutato, si spera con equità, un vasto numero di persone. Insomma é a scuola, e proprio nell’esperienza della prova, che il giovane compie l’importante passaggio dalla valutazione affettiva-familiare, a quella, più oggettiva, della società, che la scuola appunto dovrebbe rappresentare. Quest’esperienza, della prova, e della competizione che si sviluppa nell’affrontarla e superarla, é decisiva nella formazione dell’autostima dell’individuo. Negli ultimi decenni la cultura della prova, dell’agone, così importante nel mondo classico in cui affondano le nostre radici, ha subito forti attacchi; fino a coltivare l’utopia di una vita senza prove, senza valutazioni, senza esami. La femminilizzazione del corpo insegnante ha certamente contribuito a questo fenomeno, anche per l’ attribuzione, superficiale, dell’esperienza della “prova” al lato aggressivo della maschilità, che ha quindi rafforzato la fantasia di poterne fare a meno. I giovani, che non trovavano più quest’esperienza proprio nella scuola, ambito destinato a fornirgliela, hanno quindi cercato di procurasela comunque, a loro modo. Le esperienze psichiche fondamentali, infatti, non sono mai sostituibili con affermazioni ideologiche: se l’individuo non trova più in una situazione ciò di cui ha bisogno, se la cerca da un altra parte. Sono nate così le tragiche prove “da branco”, dai sassi sull’autostrada alle drammatiche “gare di velocità” notturne di auto e moto che falciano i passanti sulle nostre strade. Per non parlare delle ‘iniziazioni’ alle droghe, anch’esse molto spesso sostitutive di prove, iniziazioni e riti di passaggio che la scuola non offre più. Naturalmente però queste prove, che i giovani si fabbricano da soli, sono fortemente distruttive. Segnate dalla rabbia inconscia contro una società che non offre loro l’esperienza della prova (vissuta a livello profondo come manifestazione di una figura paterna positiva e responsabile), sono espressioni di negazione e trasgressione, che li allontana, anziché avvicinarli, alla comunità allargata. Su queste “prove” non si fonda nessuna reale autostima: al massimo una fragile gratificazione narcisistica. Destinata a cadere al primo esame reale, imposto dalla vita.
Claudio Risé
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