Schiavo di lei

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 27/3/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

La scelta di una fidanzata passiva e debole può derivare dalla subalternità a un'ingombrante figura materna. Che rende difficile progettare il futuro.

Ho 37 anni e sono fidanzato da 10 con una coetanea. L’anno in cui mi sono fidanzato, mi sono anche laureato e ho cominciato a lavorare in un’azienda privata, facendo una discreta carriera. Lei, si è laureata vari  anni dopo di me (col mio aiuto), e dopo forti resistenze ha scelto un lavoro di scarso impegno, a stipendio basso, rifiutando possibilità più coinvolgenti. Sessualmente non va bene: poche volte in 10 anni e quando voleva lei. Non so più se continuare il rapporto, o  romperlo. Mi sento il suo schiavo, il suo autista, quello che le fa i regali senza accontentarla. In famiglia,  dove vivo, mia madre, prepotente e aggressiva, ha ridotto mio padre a un servo fedele. Perdo fiducia in me stesso; esco poco senza di lei, ho perso quasi tutte le amicizie, anche perché il mio lavoro mi impegna molto.

Lettera firmata.

 

Caro amico, credo però che sarebbe sbagliato ritenere questa relazione frustrante la causa dei suoi guai, e soprattutto del suo malessere, che è poi ciò che ci deve preoccupare di più. Vale a dire  il diminuire della sua spinta vitale, la sua perdita di fiducia in se stesso, il suo chiudersi in un rapporto che, peraltro, ha ben poco di soddisfacente. Tutto ciò dipende dalla stessa ragione che l’ha portata a scegliersi una fidanzata così: la sua incapacità di rompere con la figura di “madre padrona” cui è rimasto finora profondamente legato, tanto da vivere ancora nella casa familiare, malgrado abbia quasi quarant’anni. Naturalmente lei avrà tutta una serie di giustificazioni “razionali” per il suo comportamento. Dalla convenienza economica, alla “religiosità”  di facciata  della sua famiglia (di cui mi parla nella lettera), da cui si esce solo per sposarsi. Ma queste, ed altre, sono solo razionalizzazioni superficiali. Nella realtà, come lei stesso riconosce  nella sua lettera, (“forse dentro di me ho paura di fare quella fine?” si chiede), lei, come il padre, è rimasto schiavo di questa madre autoritaria, che ne ha bloccato, anche affettivamente, lo sviluppo vitale. La fidanzata passiva e un po’ sciatta, che fin dall’inizio ha resistito nell’assumersi le sue responsabilità e iniziative di futura compagna, era la figura femminile più funzionale ad un quadro affettivo nel quale, comunque, difficilmente avrebbe potuto assumere un ruolo da protagonista, ancora saldamente occupato dalla prima donna della sua vita: la madre. Ed ora dunque l’iniziativa più urgente, prima  di prendere una decisione su questo strano fidanzamento, è quella di sincronizzare  la sua organizzazione esistenziale con la sua età, ed andarsene rapidamente di casa. Soltanto mettendosi nella sua condizione di uomo che entra ora nella maturità, e assumendosi in prima persona le responsabilità delle relative prove ed opportunità, lei potrà capire se questa è la donna fa per lei. E potrà anche offrire alla sua fidanzata uno spazio in cui esprimere la sua femminilità, al di fuori dell’ingombrante figura della madre. Che  condiziona fortemente, più di quanto lei pensi, le sue aspettative nei confronti della figura femminile: dall’importanza che attribuisce alla pulizie della casa, cura in cui la fidanzata si dimostrava carente nei periodi di vacanza passati insieme, all’attenzione a non spendere troppo per il cibo (“spendiamo più per fare la spesa per una cena per 2 che per andare al ristorante”), nota con stizza nella sua lettera. Cominci insomma a liberarsi, fisicamente e psicologicamente, del “dominio” di sua madre. Solo allora potrà vedere la soluzione giusta per il suo fidanzamento.

        Claudio Risé

   

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