La
personalità si forma nelle scomode trincee del conflitto, non tra le braccia
del consumismo
Schiavi,
Cavalieri o “Nuovi Re”
Da
Area, aprile 1999
E'
il conflitto, la presa di distanza
e la separazione dall'altro, la valorizzazione della differenza, che fonda la
personalità. Fin dall'inizio: il bambino si separa dalla madre, come ha
mostrato molto bene la scuola di Melanie Klein, incominciando a vederla come oggetto persecutorio e
pericoloso. Altrimenti non riuscirebbe a staccarsene, rimarrebbe nella simbiosi,
che significa, dal punto di vista psicologico, psicosi, follia. Ma già
l'osservazione antropologica ci aveva informato di questo: i mille riti che
nelle culture tradizionali accompagnano il processo di formazione della
personalità rappresentano sempre un conflitto. Fino all'iniziazione vera e
propria nella quale gli uomini strappano il bimbo alla madre piangente, per
farne un adulto. Naturalmente il mito e la leggenda ha dato di questo processo
una rappresentazione sapiente e chiara. Quando il cavaliere irrompe nella
fattoria di Soltane, dove Herzeloyde, la madre, ha rinchiuso Parsifal perché
non combatta e non muoia, come accadde al padre e ai fratelli cavalieri, il
giovane Parsifal lo segue alla reggia di Artù, anche se la sua partenza fa
morire di crepacuore la madre. Senza quella partenza sarebbe sempre rimasto il
"bon fils, cher fils, beau fils," della mamma, senza neppure un
proprio nome, una propria identità. Il conflitto che oppone il bambino, poi il
ragazzo, alla madre, fonda le basi per l'identità e la stessa sopravvivenza del
giovane, ma non è certo l'unico (anche se è quello più legato alla possibilità
di vita. Quando non viene attraversato si hanno patologie fisiche gravissime,
bulimia-anoressia, tossicodipendenza, e/o psicosi). Altrettanto importante,
anche se successivo è il conflitto col padre, e la società. Anche qui il mito
è eloquente. Come ho provato a raccontare (nel mio Parsifal,
red Edizioni), quando Parsifal arriva alla reggia di Artù, conquistata con
l'abbandono e la morte della madre, non vi si trattiene neppure una notte, e la
lascia subito lanciando una sfida al ministro del Re, e non curandosi del
rincrescimento del Sovrano. La viltà della corte, e soprattutto la brutalità
del ministro verso "la fanciulla che non aveva mai riso" (figura della
stessa anima di Parsifal) gli presentano subito il conflitto, che il giovane
eroe non esita a raccogliere. Tornerà alla corte (manda a dire ad Artù), solo
dopo essersi battuto col suo ministro, e averlo lasciato nella polvere. E
costringerà poi ognuno dei contendenti vinti durante la sua Quest a portare
ad Artù questo stesso messaggio: una sfida al Re decaduto, figura
paterna ormai svilita, attraverso l'interposta persona del ministro indegno.
E' indispensabile questo secondo conflitto, col padre e con la società
(nel Parsifal: il ministro)? Sì, è indispensabile. Naturalmente il livello di
evidenza e di drammaticità varia, a seconda della degradazione maggiore o
minore del mondo paterno e istituzionale. Ma il padre e la sua società sono
sempre un' immagine del Vecchio Re che il Nuovo Re deve abbattere, se non vuole
esserne divorato e corrotto, come nelle rappresentazioni simboliche e
alchemiche. In questo processo il giovane è tuttavia costretto ad avvalersi di
altre figure paterne, non istituzionali e per così dire "pure" (nella
leggenda di Parsifal il cavaliere
Gurnemanz, il monaco Trevrizent, lo stesso Galvano), per ottenere quella
formazione e iniziazione superiore che il mondo delle istituzioni, fondato sul
compromesso e la svalutazione dell'autenticità tradizionale, non può per sua
natura fornire. E' l'attingere energia a queste fonti eterne che
consente al giovane ribelle di reggere e vincere il conflitto col
"Vecchio Re". Altrimenti non potrebbe sfuggire all'aridità, pur
"integra", della protesta nichilista. Nell'osservazione clinica è
noto che il "bravo ragazzo", quello che non ha mai meritato il
rimprovero del genitore, che
non ha mai appartenuto a una "banda" di trasgressori suoi simili, che
non ha insomma riconosciuto e organizzato il conflitto col mondo del
"Vecchio Re", è un soggetto a rischio psichico grave, se non già
compromesso. E' nelle scomode trincee del conflitto che si sviluppano gli
anticorpi contro i manierismi, i comportamenti stereotipati, anticamera della costruzione di
una personalità falsa, e dunque scissa tra il nucleo autentico (il Sé), che
viene negato, e quello fasullo, che viene invece
agito e dichiarato (il falso Sé, o Sé " grandioso").
Naturalmente ci sono dei rischi. E' soprattutto in questo secondo conflitto,
quello contro il mondo dei "vecchi re" (o delle "vecchie
repubbliche"), che si rischia di diventare, anziché "Nuovi Re",
delle personalità caratteriali, incapaci di qualsiasi ordine e disciplina.
Per questo sono cos“
importanti i " maestri nascosti", non ufficiali,
che ognuno si cerca e si trova da sé, senza il confronto coi quali la
personalità cade appunto nel nichilismo, o nello scetticismo.
Anch'essi
tuttavia non potranno evitare comunque il sale dell' esercizio
del conflitto, che brucia sulle ferite: la solitudine, e la depressione.
Uno dei massaggi più avvelenati della società del consenso è "be happy
and smile", la consegna alla felicità obbligatoria, "chi non ride non
è di moda", come diceva la pubblicità
di un giaccone di piuma, morbido come una mamma.
Tutto ciò è parente dell'idea, come dice Flores d'Arcais nel suo ultimo
libro: "l'uomo è l'animale che rifiuta la morte". E' vero il
contrario, naturalmente: l'uomo è l'unico animale che può guardare la morte
negli occhi, consapevolmente, sapendo cos'è. Ma
per farlo deve essere un uomo. E accettare, da sperimentatore, la
solitudine, la ricerca che sembra impossibile, il castello del Graal ormai
scomparso, e soprattutto la Terra Desolata: la sua. Senza esorcizzare la fatica
con redenzioni di cartapesta e buoni sconto sull'incerto esito della Quest.
Senza "punti qualità" ricevuti per ogni nemico
abbattuto con fragore: magari facile,
ma non veramente nemico, o non veramente importante. Ma se il conflitto fonda la
costruzione della personalità, la società che lo nega, anzi lo criminalizza,
perché "politicamente scorretto", la società che nega le differenze
che lo costituiscono, e rende quindi impossibili autentiche appartenenze, e
partecipate identità, è una società che la personalità la distrugge. Una
società psicotizzante. Una Grande Madre
produttrice di identità deboli, che non reggono il conflitto, bisognose di
costanti consolazioni e rassicurazioni. La Grande Madre degli schiavi di fine
millennio: i docili, timorosi, fragili, obbedienti, consumatori.
Claudio Risé