Relazioni interminabili         

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera". 

"A Bagno a Ripoli (Firenze), un mio  coetaneo (27 anni) ha ucciso la ex ragazza e se stesso, perchè rifiutava la fine della relazione, dopo continui tira e molla. Anch’io, come molti, sono stato colpito, anche perché, come tanti non riesco a chiudere una storia. La mia ex mi dice di non amarmi più, ma poi non accetta che non ci si veda. Se la incontro, ogni volta che da parte mia esce un: ti amo, lei si allontana, e poi rompe. Però poi mi cerca; e io mi lascio trovare. Come se ne esce?"

Caro amico, a provocare questa difficoltà di uscire da una relazione che ci provoca sofferenza concorrono fattori diversi. Il più importante è l’assenza di un chiaro orientamento al piacere, che è la base forte dello sviluppo di una personalità sana. L’essere umano è predisposto per godersi la vita, non per soffrirla, è per così dire programmato per essere felice, il più possibile. Può anche realizzare questo destino curando i lebbrosi, ma questo, appunto, è la sua felicità. L’allontanamento della vita quotidiana dai suoi aspetti elementari (la fame, la relazione con la natura, i bisogni vitali), ha fatto sbiadire questa consapevolezza, e ci portato ad accettare tormenti del tutto inutili. Ciò è particolarmente evidente nella giovinezza, periodo da sempre affascinato anche dai chiaroscuri della sofferenza. In queste relazioni la predisposizione al tormento reciproco è maggiore della ricerca del piacere e della soddisfazione, e rende impossibile una netta scelta a favore del godersi la vita. In esse compare però anche un altro aspetto decisivo: l’incapacità attuale di rinunciare a qualcuno, anche se porta soprattutto problemi. La relazione tra lei e la sua ex non soddisfa nessuno di voi due, ma nessuno di voi è davvero disposto a rinunciarvi davvero. Questo fenomeno, diffusissimo, deriva dal fatto che le trasformazioni familiari e sociali fanno sì che nella maggior parte dei casi il padre non separa più, nell’adolescenza, i figli dal legame fusionale col primo oggetto d’amore: la madre. Ogni successiva separazione diventa quindi traumatica e inaccettabile, e a volte finisce in tragedie come quella che coinvolto i vostri concittadini. Il giovane postmoderno, mai veramente separato  dalla madre, vive un’identità fusionale, caratterizzata dalla continua pulsione a liberarsi dell’altro, e dall’incapacità di farlo. La via d’uscita è dunque rinunciare a rimanere all’orizzonte psicologicamente “materno”, dove l’altro deve provvedere ai tuoi bisogni (di compagnia, d’ascolto, di consolazione), e prendersi invece la responsabilità di una navigazione anche in solitario, che sappia scoprire le proprie rotte, affrontare personalmente le proprie difficoltà, con le proprie forze.  E’ un percorso di crescita personale, che può avvalersi del contributo di amici impegnati nella stessa direzione, maestri, e passioni ed idee proprie, scoperte strada facendo. Lo scopo  è semplicemente costruire e rafforzare la nostra capacità di godere, indebolita dalla continua mediazione di una figura “materna” che lo consenta.

 Claudio Risé

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