Quel cattivo di papà      

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 23/09/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

"Sono un "ragazzo" di 38 anni. "Uomo" non sarebbe vero. Dal 2004 all’inferno dei padri separati. Un figlio di 9 anni e una bimba di 5. Moglie psicoterapeuta onnisciente. Sberla al figlio che buttava un vaso dal 4° piano. Scandalo, mediatore familiare... Mi sento il lupo cattivo che chi lo avvista gli spara. Lupo anche perchè la doctora ha sempre voluto "addomesticarmi". Cosa dirò ai miei figli da grandi? M'hanno cacciato,  ma ero buono, e lei è cattiva? Poco costruttivo. Intanto lascerò che il piccolo tiri i vasi che vuole?"

Alex

Caro amico, cominciamo dai suoi torti. Forse si poteva togliere il vaso al piccolo senza sberle. Inoltre, “l’onniscenza psicologica” di sua moglie le fa perdere del tutto le staffe, e l’uomo che perde la calma è perduto. Al maschio è richiesta la forza, dunque la calma. Se la perde, perde anche prestigio, e interesse. Tra lei e sua moglie, come in altre coppie, c’è un problema di potere, che è anche quello del sapere psicologico. Sua moglie, come tante altre donne, è psicologa (altre si interessano di psicologia), e si è costruita attorno un ambiente omogeneo, che parla e discute di psiche, di affetti, di comportamenti. Lei, come tanti altri uomini, disprezza l’importanza di questo campo. Naturalmente ciò  rivela una posizione difensiva: la psiche, e il suo sapere, viene negata perché ammetterla ci obbligherebbe a confrontarci coi nostri problemi. Quindi niente psicologia, e, come mi racconta lei nella sua lettera, dopo la separazione, invece, lampade, fitness, cura di sé. Mi guardo bene dallo svalutare queste strategie. Dopo una perdita grave, una separazione, queste attenzioni per la propria persona possono aiutarci (come dopo altre esperienze estreme) a ritrovare autostima, sintonia con sé stessi, comunicazione con gli altri. Dopodichè, in ogni caso, occorrerà affrontare i problemi di fondo. Quelli della nostra insicurezza, della nostra bisognosità verso l’altro, del nostro non farcela da soli. Insomma dell’essere, come lei dice, ancora ragazzi, più che uomini. Fino a quando questo abnorme prolungamento dell’adolescenza non verrà chiuso, non si troveranno le parole per parlare davvero coi propri figli. Perché i “ragazzi” non hanno figli: sono loro i figli. E quindi non riescono ad essere adulti, e padri. Detto questo, la sua immagine del “lupo cattivo” è significativa, e autentica. Esprime una sofferenza maschile diffusa, di cui ancora troppo poche donne si fanno carico, e che fa male a tutti: a questi uomini lupi, che spesso vogliono solo evitare che i bambini si facciano male, o si mettano nei guai; ai bambini; e naturalmente anche alle donne. L’opposizione alla norma paterna, che spesso è semplicemente buonsenso, o allenamento al contenimento, crea bimbi inquieti, a disagio, incontentabili, che diventano spesso dei ragazzi-uomini bisognosi, e reattivi nei confronti della donna. Come lei. Se siamo consapevoli della trappola educativa che ci ha danneggiato, sviluppare tenerezza per il nostro lupo cattivo può diventare il primo passo del cambiamento, e del benessere.

Claudio Risé

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